Potere? Mamma mia!!

Paola Morini – Trento

“Tu non avresti alcun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall’alto”.

Queste parole che Gesù rivolge a Pilato, secondo il vangelo di Giovanni (19,11) ci mostrano due aspetti fondamentali del potere patriarcale: esso è gerarchico e si esercita “su” qualcuno o qualcosa. Ma poi Gesù aggiunge anche “Perciò chi mi ha messo nelle tue mani è più colpevole di te” e qui ci dice che senza connivenza questo potere patriarcale non si reggerebbe. Detto in altri termini: se non ci sottraiamo a questa logica siamo colpevoli. Sarebbe un messaggio chiaro, eppure Gesù non si accontenta, insiste ancora e rivolgendosi alle donne di Gerusalemme dice: “Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli” (Luca 23,28), sottolineando questa responsabilità collettiva nel tramandare e nel vivere l’ordine e la cultura patriarcale. Lui, il maschio che ha annunciato l’uscita da quel sistema di valori, muore vittima innocente, ma avverte le donne sulla sua strada della necessità di non costituirsi vittime quando si è complici. Alcune capiranno (quelle che già avevano condiviso la novità della relazione con lui) e sapranno annunciare la resurrezione, cioè la continuazione della sua presenza, del suo messaggio, della relazione nuova vissuta come “buona novella – evangelo”. Ma saranno poche a trovare questa forza e sempre più schiacciate da quegli uomini che, tradendo Gesù, hanno sepolto il messaggio di liberazione sotto pietre e gerarchie.

Oggi finalmente sembrano aprirsi delle crepe nelle mura della costruzione patriarcale, molte donne hanno smesso di portare i mattoni per riparare la costruzione, ma si guardano ancora attorno disorientate…

Sembra di udire il lamento della Madonna secondo Jacopone:

“Figlio bianco e vermiglio,

figlio senza simiglio,

figlio, e a cui m’appiglio?

Figlio, pur m’ài lassato!”

È facile sottomettersi nella ricerca della sicurezza, della guida, del capo…. e Gesù ancora una volta indica la via della relazione, della reciprocità: “Gesù vide sua madre e accanto a lei il discepolo preferito. Allora disse a sua madre: ‘Donna ecco tuo figlio’. Poi disse al discepolo: ‘Ecco tua madre’” (Giovanni 19,26).

Solo nei rapporti di riconoscimento reciproco potranno svilupparsi relazioni caratterizzate dall’autorevolezza e non dal potere. Il mancato riconoscimento della parità dell’altro, sia esso donna o schiavo o immigrato od omosessuale, è infatti il tratto distintivo del potere patriarcale capace solo purtroppo di generare oppressione e ribellione.

Non credo sia facile mettere in campo dinamiche nuove né sul piano delle relazioni personali, né tantomeno su quello dei rapporti politico-sociali. Ma è proprio su questi terreni che dobbiamo misurarci. Non basta dire “il patriarcato è finito, non ha più il credito femminile ed è finito”. Bisogna saper praticare l’attenzione alle relazioni paritarie (quelle che non sviliscono e non irridono il punto di vista altrui) anche quando ci mettono in rapporto con sensibilità lontanissime dalle nostre. Bisogna saper uscire dall’abitudine alla delega per assumersi la responsabilità del pensiero e dell’azione perché il potere patriarcale, nella famiglia come nella chiesa e nella politica, ci ha abituate/i alla ricerca del leader carismatico e alla sequela acritica capace solo di lamento e mugugno. Bisogna soprattutto saper porre in campo capacità educative che sappiano operare la trasformazione culturale radicale di cui abbiamo tutte/i bisogno.

Le crepe ci sono; sta a noi saperle allargare.