“Beati quelli/e che hanno fame e sete di giustizia”

Carla Galetto

Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati. (Matteo 5,6)
Beati i perseguitati per causa della giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli. (Matteo 5,10)

Vorrei proporre una riflessione soprattutto su questi due versetti che parlano di giustizia. Intanto, perchè non si dice “beati i giusti”? Qual è la giustizia di cui possiamo avere fame e sete? E come  è possibile coniugare l’insulto e la persecuzione con la gioia?

Forse essere affamati e assetati significa provare un grande desiderio per la giustizia, quella che riusciamo a intuire dal racconto dei vangeli e forse ciò che conta è mettersi sulla strada della giustizia, aprirsi a questa possibilità, cercarla.

La giustizia descritta nelle beatitudini è un’altra cosa da quella di questo mondo. Non parla di rispetto delle leggi e delle norme umane.

Oggi, ma anche ieri, vediamo che chi detiene il potere e ha ruoli di comando e di governo, prima o poi manca di giustizia. L’agire politico è sempre più slegato dalla giustizia e sembra che essa sia incompatibile con il potere. L’applicazione delle leggi (un esempio evidente è quella del mercato) porta ad allontanarsi dalla pratica di giustizia. I vincoli, le pressioni, gli opportunismi sono tali che… sì, la giustizia delle beatitudini è proprio un’altra cosa!

Non basta osservare le leggi stabilite, non basta dire belle parole slegate dalla pratica, così come non possiamo far finta di non vedere l’ingiustizia. Nel discorso di Gesù mi sembra che ci sia la sollecitazione ad agire qui e ora per una giustizia che ci cambia dentro e che cambia la nostra pratica quotidiana.

 

Ma oggi è possibile praticare la giustizia così com’è intesa dal vangelo e dai profeti?

Sì, dice Luisa Muraro: “la giustizia che ci è chiesto di praticare dal Vangelo è semplice e fattibile. A una condizione, che compare nel discorso della montagna come una conclusione. Dopo aver esposto la differenza del suo messaggio rispetto alla legge di Mosè, differenza che non è un contro, ma un oltre e un compimento, Gesù conclude: “Voi dunque siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”. (…) Questo comandamento rende possibile quello che i nostri ideali ci presentavano come praticamente impossibile. L’invito alla perfezione divina è l’invito a situarci in un orizzonte di possibilità per le quali ci mancano gli strumenti, delle quali non abbiamo il controllo, ma l’idea sì, il desiderio sì. (…) In quell’orizzonte le nostre azioni, dalle più grandiose alle più esigue, si trovano inscritte in un ordine più grande di quello che noi possiamo pretendere di abbracciare e ancor più realizzare. Esse si trovano esposte alla luce del Sole di giustizia che le renderà opache o brillanti, così come fa il sole che può rifulgere il suo meglio in un minuscolo coccio di vetro” (Luisa Muraro, “Beati i perseguitati per la giustizia, perchè di essi è il regno dei cieli”, Lindau, Torino 2012, scritto con Franco Cardini, pagg. 75-76).

E’ vero: quando riusciamo a fare una scelta giusta… la strada diventa molto chiara, dentro di noi sentiamo che è così, ci sentiamo in pace…

 

Si può fare politica sulla strada della giustizia, senza entrare nelle stanze del potere?

Sono esistite ed esistono persone che, secondo me, riescono a sopportare persecuzione, carcere, soprusi… per rispondere alla domanda di giustizia che viene dall’umanità senza potere. Sono per me profeti e profete, come quelli e quelle citate nell’ultimo versetto.

Penso a Hetty Hillesum, che riesce a scegliere di condividere la deportazione con sorelle e fratelli ebrei, proprio scoprendo la presenza e la forza di Dio dentro di sé. Non scappa davanti a questa prospettiva, che avrebbe potuto anche evitare, perché sa che Dio, con il Suo amore e la Sua libertà, abita il suo cuore e niente e nessuno potrà portarglieLo via.

E nel suo diario scrive: “una volta che si comincia a camminare con Dio, si continua semplicemente a camminare e la vita diventa un’unica, lunga passeggiata”.

“Di nuovo m’inginocchio sul ruvido tappeto, con le mani che coprono il viso, e prego: Signore, fammi vivere di un unico grande sentimento, fa che io compia amorevolmente le mille azioni di ogni giorno, e insieme riconduci tutte queste piccole azioni a un unico centro, a un profondo sentimento di disponibilità e di amore. Allora quel che farò, o il luogo in cui mi troverò, non avrà molta importanza”.

Penso ad Anna Frank con il suo Diario, a Vittorio Arrigoni, ucciso in Palestina, con il suo motto “restiamo umani”.

Queste e altre persone sono passate sicuramente attraverso la dolorosa esperienza della mancanza della giustizia. Ma hanno continuato ad esserne affamate e assetate. Sono entrate nell’ottica del Regno dei cieli, cioè hanno saputo vivere la loro storia a volte faticosa, a volte drammatica, tenendo insieme l’impegno per un mondo migliore e la gioia.

Ma penso anche alle donne No-Dal Molin, che oggi resistono a Vicenza contro la base militare, a chi si impegna contro la TAV, senza violenza ma con determinazione, alle Madri di Plaza de Mayo, agli abitanti dell’Aquila che hanno continuato a cercare una strada per la ricostruzione dei loro luoghi di vita, ai lavoratori dell’ALCOA e di tante altre fabbriche in via di smantellamento, sostenuti dalla loro gente, ecc. ecc….

Forse questo è un altro modo di fare politica sulla strada della giustizia, politica che non esercita il potere, ma che si prende cura delle persone, delle relazioni tra le persone, dei luoghi della vita e del lavoro, del benessere per tutti e tutte…

Certamente di fronte all’ingiustizia, che dilaga nonostante ci siano persone di buona volontà, è facile cadere in un senso di impotenza, di fallimento, di disperazione o depressione…

 

Gesù ci invita a cambiare mente e cuore

L’ultima delle beatitudini ci invita a non disperare, ma a gioire, ad aprirci alla prospettiva del Regno dei cieli: “Rallegratevi e giubilate… perchè il vostro premio è grande nei cieli”.

Il regno dei cieli “è questo salto di essere che si può fare non con la mente soltanto ma anima e corpo, per cui lo sguardo si potenzia con la luce della vita interiore, luce che a quel punto cessa di essere puramente interna per diffondersi e fare uscire le cose dalla loro triste pesantezza” (L. Muraro, ibidem, pag. 93). E’ la posta in gioco di una prospettiva inedita che si apre non a forza di legge, ma con una conversione del cuore e della mente. E’ un modo di essere, anzi, una possibilità di essere e una disponibilità a ricevere essere dall’Essere, amore dall’Amore, luce dalla Luce” (ibidem, pag. 96).

La predicazione di Gesù propone questo salto: di lasciarsi trasformare in profondità, cambiando mente e cuore. Nelle parole di Gesù non troviamo norme per l’osservanza religiosa, ma un invito accorato a non conformarsi alle norme esteriori come se lì si trovasse la perfezione, sconfinando invece nell’interiorità, nel cuore, per misurarsi con la perfezione divina. “Gesù non è un moralista che flagella i mali del suo tempo per ristabilire una moralità superiore. La sua predicazione non mira a un ancora di più o a un ancora meglio, ma a un altrimenti” (L. Muraro, ibidem, pag. 95).

C’è in questo un invito a fare spazio a ciò che c’è di buono, a vederlo e a cercarlo anche nelle situazioni più disperate.

Beati saremo anche noi se riusciremo ad impegnarci perchè a questo mondo ci sia una giustizia coniugabile con la felicità.

 

Alla fine del vangelo di Matteo, al cap. 25, compaiono i giusti:

Venite, voi, i benedetti del Padre mio; ereditate il regno che v’è stato preparato fin dalla fondazione del mondo. Perché ebbi fame e mi deste da mangiare; ebbi sete e mi deste da bere; fui straniero e mi accoglieste; fui nudo e mi vestiste; fui ammalato e mi visitaste; fui in prigione e veniste a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare? O assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto? O nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto ammalato o in prigione e siamo venuti a trovarti? E il re risponderà loro: “In verità vi dico che in quanto lo avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me”.

Ciò che viene annunciato in questo brano non è qualcosa che avverrà nel lontano futuro, ma è qualcosa di imminente, che sta dentro le nostre azioni e in questo nostro mondo. La giustizia non sta tutta nell’osservanza  delle norme e delle leggi giuste, ma va oltre, anche perchè ci sono situazioni in cui nessuna legge e nessuna morale può dire una parola definitiva e universale. La spinta data dall’amore, dalla com-passione, dalla cura e dalla solidarietà non potrà mai essere compresa in leggi e in comandamenti.