Proseguendo il “pensare in presenza”

ELENA LOBINA COCCO ROMA

Carissime,
chiedo scusa se intervengo un po’ in ritardo, ma nei giorni scorsi non ho avuto modo di fermarmi al computer. Peraltro non mi propongo alcuna finalità se non ‘pensare in presenza’, e confrontarmi con voi.
Fin dai giorni in cui lavoravo con Catti alla prima stesura della Lettera aperta ed anche nel periodo successivo ogni tanto mi chiedevo: ma quali, soprattutto quante suore avranno la possibilità di venirne a conoscenza e quindi di leggerla?
La lettera di Ausilia mi conferma nel dubbio: confesso di essere rimasta profondamente impressionata dalla sua denuncia, tanto accorata quanto densa in ogni proposizione, come una grandissima vena d’acqua che riesce a traboccare solo da un piccolo foro.
Pur riconoscendo alla Lettera un suo carattere storicamente radicato, Ausilia impone subito due realtà concrete: quella di chi esce dall’istituzione e quella di chi continua a restare.
Rispetto alla prima leggo una esperienza di grande difficoltà e solitudine nel suo tentativo di tessere trame con le altre donne ‘uscite’, da lei definite disperate a causa dell’emarginazione sociale di cui erano fatte segno, emarginazione addebitabile anche al femminismo.
Quest’ultima affermazione mi fa molto riflettere, ma comunque non è di chi è uscita che vorrei parlare, anche se il problema è tuttora di grande attualità :sappiamo che varie suore hanno avuto necessità di trovare rifugio nei centri antiviolenza, spesso straniere, e questo fa un po’ di luce sulla enorme problematica delle suore provenienti dai Paesi poveri che costituiscono oggi il principale serbatoio per le ‘vocazioni’ e alle quali, se la mia informazione è veritiera, viene sequestrato il passaporto quando arrivano in Italia, e a tutte ci viene in mente l’altro caso in cui questo accade a donne straniere.
Vorrei invece soffermarmi sulle suore che continuano a rimanere nell’istituzione e che, dice Ausilia, sono ‘protette da quelle di potere’….Ho potuto avere contatti personali soltanto con le donne uscite.
Questa ambigua ‘protezione’ fa capire che la piramide kiriarcale è ben radicata nel mondo delle suore e incastra nella sua ferrea struttura delle donne,semplicemente ed enormemente degli esseri umani sessuati al femminile, le cui personali capacità, meriti, ecc. non devono e non possono minacciare la solidità dell’istituzione, per cui, come dice Ausilia, vengono soffocati.
Da qui il suo grido: hanno innanzitutto bisogno di essere liberate.
Sappiamo dalla storia che la libertà non può provenire dall’esterno, ma altri possono aiutarci a conquistarla.
Mi domando se noi, con la nostra Lettera, abbiamo portato almeno un aiuto piccolo, concreto.
Spero di sì: per me almeno questo è lo spirito che mi ha spinto a reagire al discorso del papa, che con tutte le sue esortazioni\direttive\blandizie (quelle che abbiamo preso in esame nella Lettera e molte altre, come spogliarsi da progetti propri per lasciarsi guidare da quelli pensati da altri; voi siete icone di Maria e della chiesa, ecc, fino all’ineffabile richiamo conclusivo alla ‘nostra santa madre chiesa gerarchica’) ha come scopo ben chiaro quello di rammentare alle suore dove e come debbano ritenersi collocate all’interno della chiesa.
Ancora Ausilia, e fa rabbrividire: le migliori rimaste in istituto hanno continuato a fare delle cose buone fino a che hanno potuto godere di privilegi personali (penso io: una certa autonomia, autorevolezza, la possibilità di poter essere in qualche modo se stesse, informarsi, o forse più semplicemente poter fare una telefonata senza chiedere il permesso, avere il telefonino…) mentre le altre, la maggioranza, o si adeguava a vivere dentro l’ immobilità dell’istituzione o impazziva.
Penso che questa espressione riassuma con molta efficacia tante sofferenze del corpo e della mente.
Insomma, sono rimasta molto spiazzata dalla lettera di Ausilia, sentendo come una scollatura, uno straniamento, come se noi fossimo cadute nella tentazione di reagire al discorso del papa seguendolo sul filo delle sue ’dotte’ argomentazioni e perdendo di vista e non stigmatizzando sufficientemente il fine cui tutto il discorso mirava: continuare a tenere schiacciate le suore sotto il potere patriarcale della gerarchia.
Vi saluto con tanto affetto Elena