Libertà femminile occasione anche per gli uomini

Alberto Leiss
Il Quotidiano della Calabria – 11 giugno 2013

Ha ragione Franca Fortunato, nel suo intervento dello scorso 30 maggio: la violenza contro le donne non finirà mai se non cambiamo noi uomini. Se non diventiamo consapevoli dei meccanismi che questa violenza genera. È un lavoro molto difficile, che dobbiamo fare tutti, perché non basta sentirsi non colpevoli e condannare la violenza che fanno altri. Ma qualcosa comincia a muoversi. Non solo da parte dei non moltissimi maschi che da tempo stanno tentando anche pubblicamente questo lavoro: e ringrazio Franca per aver citato le iniziative di Maschileplurale, di cui anch’io faccio parte.

Non meritano quasi risposta le parole di chi ha pensato di inserire il barbaro femminicidio di Fabiana in una cultura delle relazioni tra uomini e donne “calabrese”. Lo dico solo perché mi piace accennare qui al particolare affetto che mi lega alla Calabria, terra bellissima che ho scoperto da ragazzo quando con la famiglia passavamo vacanze meravigliose alla scoperta delle spiagge del Sud, dove allora (metà degli anni ’60) si poteva campeggiare liberamente e solitariamente, conoscendo persone ospitalissime.

Poi ho ritrovato Cosenza, amici e amiche, nei tanti anni, dopo il 2000, in cui ho tenuto corsi di storia del giornalismo all’Università della Calabria. Anche grazie all’amicizia e collaborazione con un uomo come Mario Alcaro, filosofo, e la moglie Amelia Paparazzo, storica: Alcaro l’avevo conosciuto anni prima in occasione della pubblicazione del suo libro sull’“Identità meridionale” dove si sfatano molti pregiudizi negativi sulla cultura e il modo di vivere nel Sud. Un testo che fece discutere.

Con alcuni amici di Maschileplurale scrivemmo nel 2006 un testo, un appello rivolto agli altri uomini per affermare una elementare verità quasi sempre rimossa: la violenza contro le donne è un problema nostro, di noi uomini. Dobbiamo rendercene conto e farcene carico (www.maschileplurale.it).

Allora lo dicemmo anche per reagire al clima mediatico che enfatizzava episodi come l’uccisione della giovane Hina da parte del padre immigrato e musulmano. Quasi che la minaccia della violenza venisse solo o prevalentemente da culture straniere, diverse dalla nostra. No: i nemici violenti delle donne italiane erano e sono per lo più i loro mariti, fidanzati, parenti e conoscenti italiani. I delitti si compiono “normalmente” tra le mura domestiche.

Su un punto toccato da Franca vale la pena di discutere: non serve a nulla fare leggi e firmare convenzioni internazionali o formare task-force governative? Certo non serve se non ci si interroga “sulle radici profonde della violenza”. Ma il dibattito politico e mediatico, anche se non privo di ambiguità e strumentalismi, è utile proprio per approfondire la discussione. Negli ultimi tempi anche uomini che hanno uno “statuto mediatico” ampio – giornalisti come Gad Lerner o Riccardo Iacona, un intellettuale come Adriano Sofri, scrittori come Francesco Piccolo e Massimo Carlotto – hanno affrontato esplicitamente il tema partendo dalla propria condizione di uomini.

Nel dibattito alla Camera sull’approvazione della convenzione di Istanbul non solo molte donne, ma anche qualche uomo – ricordo Gennaro Migliore, esponente di Sel – ha affrontato il tema della violenza legandolo al più generale contesto politico e sociale in cui le posizioni di potere gestite prevalentemente da noi maschi stanno dando pessima prova. Contribuendo a disegnare quel modello sociale e simbolico “patriarcale” che non regge più e che è alla radice anche delle violenze contro le donne dei singoli.