UNA SOTTILE STRISCIA DI FUTURO

relazione  per il seminario delle cdb “Si fa presto a dire Dio” del 1-3 novembre elaborato dal gruppo donne di Roma con l’aiuto delle donne di Pinerolo e gli interventi di Mira Furlani e di Catti Cifatte.

Ci piace iniziare questa narrazione partendo dagli eventi più vicini, dalle riflessioni e dai nodi che ne sono emersi, ben consapevoli del fatto che raccontare al plurale “chi siamo” è sempre un’opera soggettiva e limitata.

SMONTANDO IMPALCATURE, TESSENDO RELAZIONI. Dove ci portano i soffi leggeri del divino?” Questo il titolo del XX incontro nazionale dei Gruppi donne cdb e non solo (°) del maggio scorso a Cattolica avvenuto a 25 anni dal seminario nazionale delle Cdb Le scomode figlie di Eva (Brescia, aprile 1988) e a 10 anni dal Sinodo europeo delle donne Condividere le differenze (Barcellona, agosto 2003): due eventi importanti in un percorso, dunque, pluriennale, che si è svolto con un andamento a spirale – sia nelle tematiche che nella metodologia – caratterizzato dalla pratica dello “smontare impalcature” intrecciata ad una “tessitura di relazioni”.

Nella lettera di convocazione all’incontro di Cattolica si diceva: “Non siamo approdate, non stiamo per salpare: siamo nel luogo privilegiato dell’incontro fra terra e mare, dove ciò che era consolidato diventa fluido e l’acqua perde parte della sua limpidezza; dove il peso fa affondare, ma il segno lasciato perde rapidamente le sue asperità e prende nuove forme, in un continuo andare/venire”.

Questa libertà di movimento ci ha permesso di metterci in una posizione mobile e dislocata, caratterizzata da un andare e venire, dal continuo porsi dentro e fuori dalla tradizione, consentendoci di partecipare alla vita comunitaria ma anche di criticarla pur standoci dentro.

In questo senso crediamo nella forza che può esserci in una presenza “divina” dentro di noi. Se ne siamo consapevoli il presente cambia già, lo sguardo sulla realtà è già diverso.

Abbiamo trovato forza nelle relazioni corporee e in quelle di pensiero, nelle pratiche con altre donne nei luoghi più diversi, con la consapevolezza della nostra differenza.

Pur nella diversità dei percorsi, elemento comune al loro avvio è stata la presa di coscienza di forza e valore femminile attraverso la ricerca di una genealogia femminile: ciò è servito a riallacciare i nodi e continuare a tessere relazioni con le donne della tradizione cristiana che ci hanno preceduto nei secoli (dalle donne del primo testamento, a quelle dei vangeli, alle mistiche, e non solo …). E in questo abbiamo trovato appoggio negli studi delle teologhe e delle storiche.

Il nostro percorso di donne è servito prima di tutto a mostrare a noi stesse  che l’universale neutro è una gabbia illusoria, una costruzione cultural- patriarcale. Esistono invece uomini e donne nella loro differenza, e possono avere cose diverse da dire; di conseguenza il percorso è servito a creare un luogo dove fare società, comunità, dandoci forza e autorità e libertà da portare poi nei luoghi misti come misura femminile del mondo. E questo luogo, fin che lo desideriamo, continuerà ad esistere e a dare i suoi frutti come fonte che ci alimenta.

(°)Donne in Cerchio, Donne in ricerca di Padova, Ravenna, Verona,
Identità e Differenza, Il Graal-Italia, Thea teologia al femminile

A un certo punto il nostro percorso ha trovato un ingombro, un masso da rimuovere. Un’esigenza profonda ci ha fatto capire che dovevamo spingerci un po’ più in là, che non ci bastava più cercare

immagini bibliche di un Dio materno che confortasse il nostro desiderio di libertà; che non fosse più sufficiente fare emergere dall’oblio alcune donne della bibbia sia pure significative,

trasgressive e ispiratrici di libertà. Incoraggiate dalnostro far comunitàe dalla “maschilità esemplare” di Gesù, abbiamo cominciato a indagare su Dio.

Monteortone 2001, XII Incontro nazionale: Il divino: come liberarlo, come dirlo, come condividerlo. AL DI LA’ DI PADRE NOSTRO.

Due donne insieme: “Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno…”. (le voci si vanno spegnendo mentre subentra una terza voce)

Terza donna: Mi è sempre più difficile pregarti, Dio, chiamandoti “Padre”. Quando nella nostra Comunità si prega, io preferisco stare in silenzio. A volte il mio silenzio è pieno di rabbia, sento che quello che mi è stato tramandato non corrisponde a ciò che provo dentro di me.

Anche se mi commuove pensare che queste parole sono state dette da Gesù e che recitarle insieme può essere un segno di condivisione, io sono ancora condizionata dalle immagini della mia infanzia .…

Prima donna: Dobbiamo avere pazienza: c’è un tempo per guarire l’immaginario che ci è stato tramandato e un tempo di incubazione del nuovo.

Le tre donne insieme: Io sono la prima e l’ultima. Sono l’onorata e la disprezzata. Sono la prostituta e la santa. Sono la sposa e la vergine. Sono la madre e la figlia. Sono colei il cui sposalizio è grande, e non ho preso marito. Sono conoscenza e ignoranza. Sono spudorata e sono vergognosa. Sono forza, e sono paura. Sono insensata e sono saggia. Sono senza Dio e sono una il cui Dio è grande. (“Il tuono, la mente perfetta” poema gnostico).

In quell’incontro abbiamo cominciato a mettere in discussione la figura del Dio patriarcale, nel nome del quale le genti si sono sempre divise; un Dio usato a supporto di guerre e conflitti, un Dio usato per vincolare la libertà femminile. Insieme, attraverso questa indagine, abbiamo preso coscienza del fatto che queste immagini non corrispondono a nostre esperienze vitali, e della profonda relazione esistente tra le religioni del Padre e la violenza.

Abbiamo anche avvertito il disagio della “mancanza” di pezzi di tradizione, di simboli, di parole, di relazioni, e la difficoltà a trovare segni, gesti e parole “incarnate” per s-velare e dire il divino che è in noi.

Abbiamo visitato il patrimonio di miti e simboli che provengono dalle ricerche sulle grandi madri delle religioni pre-patriarcali; abbiamo anche seguito le tracce del sacro nell’inconscio.

Siamo arrivate alla consapevolezza che il nostro teologare richiede i linguaggi sorgivi del racconto, della parabola, della pittura, della danza, della poesia. Da queste pratiche potranno forse nascere i simboli e un nuovo linguaggio.

In un contesto, come quello delle cdb, fortemente connotato dalla connessione tra fede e politica, ci ha costantemente accompagnato il dubbio che il nostro percorso potesse, in qualche modo, rappresentare una fuga dalla realtà, un abbandono del terreno di partecipazione attiva e concreta all’esistente. Non sono mancate, in questo senso, critiche, obiezioni e conflitti al nostro interno:

perché non affrontare questioni del nostro tempo unendo lo sguardo femminile alla fede cristiana?

perché non affrontare questioni ecclesiali da un punto di vista femminile? non è questo, forse, esercizio d’obbligo del magistero femminile e della sua profezia nella chiesa?

se la ricerca femminile va per questa strada di interiorità, quasi di mistica, che ne è della politica?

Ma, a fianco dei dubbi, c’è stata anche la convinzione che il discorso sulla spiritualità non sia astratto e che il senso di mancanza, di disagio avvertito e sofferto, non si riferisca a qualcosa di sottratto dall’esterno e da riconquistare, bensì nasca dal nostro essere più profondo, costretto in ruoli che bloccano la libertà personale. E questa pratica è sì interiore e personale, ma allo stesso tempo politica e pubblica, come ci ha insegnato il femminismo.

Frascati 2002, XIII Incontro: Il divino: come liberarlo, come dirlo, come condividerlo. IN UN CORPO SESSUATO.

Una donna: Solo ora mi rendo conto che il mio corpo di donna è la realtà più fortemente mortificata e negata di tutti i tempi. E che sul corpo delle donne si sono sempre espresse e continuano a esprimersi signorie e appartenenze. Come si può esprimere il divino se non si tiene conto dei corpi che hanno fame e sete, che vengono stuprati in tempo di guerra e di pace, che sono velati dal burqa o violentemente svelati su uno schermo, martoriati dalle mutilazioni genitali, esposti nella sessualità coatta della prostituzione, uccisi in nome dell’amore?

Altra donna: Mi viene sempre in mente il brano dell’unzione di Betania. Quella donna era lì, Gesù stava per essere ucciso, e lei cosa fa? Gli versa un unguento prezioso sul capo. Gesù dice: “ha fatto un’azione buona verso di me”. Non ha potuto salvarlo. Ci sono delle azioni che non siamo in grado di fare. Facciamo quello che possiamo, ma dobbiamo essere consapevoli che facciamo veramente quello che possiamo. E’ questa la resurrezione per noi, la trasformazione”.

(Nel frattempo alcune donne, portando vasetti di unguento, cominciano a passarli sulle mani dei/delle presenti accarezzandole, lasciando poi che ognuno/a li passi alle altre e agli altri – Musica )

In quel convegno è stato evidenziato come il corpo non racchiuda solo energia, sessualità, potenza, ma rappresenti anche la cifra del limite, della finitezza, della malattia. Ha il bisogno profondo di praticare la cura di sé e delle altre e degli altri. E quando prendiamo cura dei nostri corpi sappiamo che essi sono inseriti in un ben più ampio contesto naturale che va salvaguardato, che va curato.

Trento 2004 – XIV Incontro nazionale: Il divino: come liberarlo, come dirlo, come condividerlo. QUEL DIVINO TRA NOI LEGGERO

 

 

Prima donna: Il divino che desidero condividere con le altre donne è come un vento leggero, una brezza che rinfresca, un riferimento che mi piace e non mi angustia, una realtà che mi intriga ma non mi condiziona rigidamente, un desiderio che mi dona libertà di pensiero e di viaggio …

Desidero condividere con le altre donne il mio sogno, poiché il sogno è il lievito della creazione. Tessiamo il nostro sogno e la nostra visione perché la creazione non si fermi.

 

Seconda donna: Non dimentichiamo il debito di riconoscenza che abbiamo nei confronti di tante donne che, sporgendosi verso di noi, con la loro presenza, con la loro esperienza, con i loro scritti, ci hanno prese per mano e accompagnate per un pezzo di strada.

 

 

Quell’ incontro è stato organizzato e pensato insieme alle donne che con noi avevano partecipato al Sinodo europeo di Barcellona del 2003. Fu un evento di grande impatto che rispecchiava lo spirito dei tempi perché, anche a grandi distanze, era evidente che le donne stavano compiendo percorsi molto vicini tra loro.

Si è cercato quindi di consolidare le relazioni nate con altre donne partecipanti al Sinodo. Una ricerca di agio condiviso. L’humus è stato proprio questo desiderio condiviso.

Genova 2006 – XV Incontro nazionale: Il divino : abitare il vuoto

Una donna: L’abbandono delle immagini convenzionali per dire Dio ha scardinato le mie certezze e mi ha fatto temere di aver avere perso il divino precipitandomi in un vuoto esistenziale. Tuttavia capisco che non si tratta di un “niente” creato dallo sradicamento, ma dell’esperienza di un vuoto che mi avvicina alle origini della vita, che mi aiuta a sottrarmi al mondo convenzionale già dato.

Altra donna: Capisco cosa intendi. A volte mi trovo in certe situazioni in cui tutto è già regolamentato, pensato in anticipo, codificato, e allora il desiderio di altro si spegne e non si aprono momenti di vuoto e di silenzio creativo. Tutto è inesorabilmente pieno.

Prima donna: Penso alla lettera di Paolo ai Filippesi. Quando dice che Gesù svuotò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini. E’ come se Gesù ci stesse proponendo il vuoto per immergerci nella nostra spiritualità

In quell’incontro abbiamo avviato una nuova fase della nostra ricerca in cui il “ritorno a sé”, alla propria interezza di corpo-mente-emozioni, diventa anche la strada per confliggere con il “falso pieno” che ci circonda, sfuggendo agli autoritarismi di ogni genere: “fare il vuoto” per riscoprire una spiritualità altra.

Abbiamo cercato, nei nostri incontri, di vivere anche fisicamente il divino attraverso il silenzio, la meditazione, la danza, la lavorazione della creta, l’immersione nella carezza dell’acqua: momenti liberanti che ci hanno fatto scoprire nuove dimensioni dell’umano.

Questo è ciò che intendiamo quando parliamo di smantellare le impalcature che sono servite a sostenere le istituzioni ecclesiali, mentre hanno rappresentato – per le donne – solo una gabbia.

Questo è il contributo che vorremmo portare per uno stile nuovo nella polis, che sappia intendere l’ordine non come gerarchia o semplicemente insieme di leggi, bensì come spazio adeguato dato a ciascuna/o e regolato dal principio, sicuramente più complesso e sapienziale, delle relazioni.

Questa è la strada che ci consente di lasciarci alle spalle i valori non negoziabili, le esclusioni e le ripulse a cui ci hanno abituate/i i modelli di una chiesa fondata sull’apartheid (a cominciare dall’esclusione delle donne), di una società caratterizzata dalle chiusure (a partire da quella delle frontiere) di una cultura che forza all’omologazione (come per il modello familiare) e di un esercizio del potere nato e cresciuto nell’uso della violenza (tanto da far dire a qualcuno che la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi…)

Noi a questo stiamo lavorando: ad un mutamento epocale in cui, attraverso le nostre piccole quotidiane sottrazioni non arrivino più mattoni per riparare strutture estranee al nostro essere donne, dando invece ali al soffio di quel divino che tra noi abbiamo scoperto “leggero”, fondato sull’irriducibile differenza fra uomo e donna.

Ci sarà tempo nei nostri luoghi e nei nostri spazi per riprendere questi temi. Per ora abbiamo visto che le orme dei nostri passi sulla sabbia possono diventare un percorso se, facendo nostro l’esempio di Rut e Noemi, sappiamo sostenerci a vicenda nel cammino con la forza delle donne.

Elizabeth Green, teologa protestante che ha condiviso con noi molti tratti del percorso, dava alcune indicazioni su come liberare e dire il divino che è in noi: vivendo in pienezza l’autorità, l’energia e la potenza che mi appartengono; imparando a percepire che, a partire da qualsiasi altro luogo in cui esso si trovi, il divino è anche dentro di me; in un modo che sostenga la nostra forza e permetta il riconoscimento dell’ autorevolezza tra noi circolante; in un modo che permetta al rapporto tra i generi di trasformarsi; in modo che i nostri corpi e la nostra sessualità siano onorati.

Pensiamo che non sia facile mettere in campo dinamiche nuove né sul piano delle relazioni personali né, tantomeno, su quello dei rapporti politico-sociali. Ma è proprio su questi terreni che dobbiamo misurarci.

Intanto, nelle menti e nelle esperienze di molte donne il patriarcato non ha più credito come forma di dominio sui nostri corpi e, anche dove i comportamenti maschili sono ancora fortemente patriarcali, sempre più donne, in tutto il mondo, si sono liberate, si liberano e lavorano insieme perché le loro madri, le loro sorelle e le loro amatissime figlie si liberino. La forza e la libertà delle donne sono già nel qui e ora, come il regno dei cieli. Sono nate, sono visibili e soprattutto contagiose.

Questa è la libertà” ha detto Alessandra Bocchetti nel suo intervento a Paestum del 2012 “che noi della vecchia generazione consegniamo alle giovani donne, con l’avvertenza di tenere ben presente che la società e la cultura a cui apparteniamo è ancora impreparata alla nostra libertà”.

Da sempre gli uomini sono stati sotto lo sguardo e il giudizio inespresso femminile, da sempre le donne, pur amandoli e generandoli, hanno fatto i conti con la pericolosità di padri, di fratelli e dei loro stessi figli senza poter dare misura, attraverso la loro autorità, ad una società di uomini.

Oggi questo sguardo è entrato nella sfera pubblica e non senza conseguenze. Sta dissolvendo la capacità del patriarcato di ordinare secondo le sue leggi i legami sociali e assistiamo quotidianamente all’unico modo rimasto agli uomini di negare la libertà alle donne: attraverso l’orrore del femminicidio.

Non possiamo però dire che il patriarcato è concretamente finito sino a quando non verrà praticata l’attenzione alle relazioni paritarie e non verrà abbandonata l’abitudine alla delega per assumerci personalmente, tutti e tutte, le responsabilità che ci competono. Ancora emerge, nei periodi di crisi, l’attribuzione alle donne di un ruolo salvifico, in un ipotetico processo di femminilizzazione della società e delle istituzioni, quasi fossimo considerate portatrici di un rinnovamento morale o di una missione civilizzatrice, negati peraltro nel concreto del vivere quotidiano. Questo vale anche per la chiesa cattolica, l’istituzione maschile che nella storia ha assunto più di ogni altra connotazioni culturali patriarcali.

Il divino non potrà espandersi senza una trasformazione radicale della società e delle chiese.

Le crepe ci sono, sta a noi saperle allargare.

 

Telmo Pievani, in La vita inaspettata – Il fascino di un’evoluzione che non ci aveva previsto, ci dice che, finiti i grandi racconti, resta il bisogno di cercare nuove “iconografie della speranza”.

A noi piace riprendere la forte, cruda immagine di speranza che simbolicamente abbiamo legato altre volte all’esperienza delle Donne dello Scamandro fuori delle mura di Troia (Christa Wolf, Cassandra, 1994).

Mi stupì che ogni donna dello Scamandro, per quanto fossimo diverse tra noi, avvertisse che tutte stavamo sperimentando qualcosa. E che questo non dipendeva dal tempo a disposizione. O dal persuadere o meno la maggioranza dei nostri troiani, che ovviamente restavano nella cupa città. Non ci consideravamo un esempio. Eravamo grate perché era concesso proprio a noi di godere del massimo privilegio che esista, far avanzare una sottile striscia di futuro dentro l’oscuro presente che occupa ogni tempo”.

Dentro l’oscuro presente che occupa questo nostro tempo, come riuscire a far avanzare “una sottile striscia di futuro”?

Se la follia dell’annuncio di Maria di Magdala è un annuncio di speranza di un mondo altro, quali sono le “strade della Galilea” su cui camminare? Quali compagne/i di strada? Quali soffi leggeri di divino captare per alzare le vele, non per sfuggire alla realtà ma per sapere affrontare le onde della vita in piena consapevolezza dell’importanza di ognuna di noi nella complessa rete della polis?

A noi sembra che la sottile striscia di futuro, tra mille difficoltà e reazioni sconnesse, si stia già allargando!