IL DIVINO, L’AURORA: VEDERE, SENTIRE

Paola Zanchi

 

Da anni le donne si interrogano su Dio, non tanto sul suo nome, ma sul divino che è in noi e fuori di noi.

Il libro di Giuliana Savelli sulla filosofa Maria Zambrano, che quest’anno il nostro gruppo ha letto e commentato, ci dà l’occasione per proseguire su questa esperienza che ci appassiona e ci conduce per vie ardue ma anche sorprendenti.

Nell’introduzione di Chiara Zamboni si dice che l’essere umano è una creatura non del tutto nata, è incompiuta. Egli vive, senza aver scelto, un movimento verso l’essere, un movimento di trascendenza; egli sperimenta un percorso, imbocca più strade, le abbandona, ne tenta altre, in un continuo mettersi alla prova, ma ciò non è senza frutto. Così facendo, trasforma l’esperienza del tempo, del soggetto, dell’altro, del linguaggio, dell’essere in rapporto alla storia, alla vita. E’ una sperimentazione esistenziale.

Nel corso dell’esperienza i concetti metafisici si modificano, non sono dati in modo statico ma sono in circolo con il percorso di vita. E’ un percorso esistenziale che i singoli hanno bisogno di compiere per essere persone. E’ un processo di individuazione che ogni essere umano è chiamato a percorrere.

Per la filosofa spagnola, il divino non è qualcosa di alieno, esterno all’essere umano, ma è insito nella costituzione del suo corpo e che si può rintracciare nelle metafore da lei usate.

“Cosa vediamo?” – chiede la filosofa … Dipende dal modo in cui guardiamo : se guardiamo all’esterno, senza nessuna consapevolezza della nostra vita interiore, vedremo in un modo, se guardiamo all’interno, dentro di noi, vediamo qualcosa che prima non era visibile, perchè entrare nel cammino interiore significa in primo luogo recupero del vedere. Implica un ampliamento dei livelli di coscienza, un aprirsi ai sensi sottili tra i vari piani dell’essere. In questo processo Zambrano prende la via del cuore per decantare e trasformare le passioni, senza abbandonare il corpo che in questo processo si ritrova ad un livello più intenso e vivo.

La grande novità della sua filosofia è una concezione trasformativa dell’essere umano e del suo modo attivo di pensare che è trasformazione dal sacro al divino e da una metafora di luce. Non più la sfolgorante luce del sole, ma è l’aurora a segnare il cammino personale che l’individuo traccia dentro di sé fra l’ombra (il sacro, il reale) e la luce (il divino, il pensiero), un cammino ignoto alla filosofia tradizionale.

Zambrano usa l’espressione “divino” come la proprietà essenziale del pensiero, nel senso etimologico di fare luce, schiarire. Un pensiero da abitare in proprio, da allenare, educare e come in un’avventura scoprire il formarsi del pensiero dentro di noi. Il pensare è conoscere e contemporaneamente risveglio di una consapevolezza di sé.

Guiliana Savelli ci segnala con quale fervore la filosofa ricorda la sua prima scoperta: il pensiero è vita, è sentire nascere dal di dentro la chiarezza ordinatrice della mente, come una forma di grazia. Più volte ricorderà la preghiera tratta da un versetto dei Rig Veda e recitata dal suo maestro Ortega y Gasset: “Signore, risvegliaci in letizia e dacci la conoscenza”.

Con “Finalmente l’aurora” titolo della parte conclusiva di “Dell’aurora” la filosofa annuncia la figura poetica e filosofica del suo pensiero, rievoca l’antico mito del sorgere della luce, quando separata dall’ombra, e insieme all’ombra, ha generato l’universo e la vita. La filosofa recupera la divina potenza dell’aurora e mira a farla diventare guida di una nuova forma di ragione, divina e femminile.

Nel chiarore diffuso dal giorno nascente sono rappresentati i palpiti, i rumori del mondo naturale al suo risveglio mattutino, che trasposti in ambito umano diventano intuizioni aspirazioni sollecitate dal sentire e che possono giungere alla parola una volta illuminata dal pensiero.

La filosofa Zambrano si vuole distaccare da una scrittura sistematica, da una filosofia intesa come episteme, ma vuole giungere ad una ragione che si diffonde senza prevaricare, insinuandosi nelle fessure come la luce, lambendo le superfici e non per mettere a tacere gli appelli del sentire e la libertà dei sensi.

Perché ciò possa accadere l’aurora “richiede sollecita esige” – scrive Zambrano- che l’individuo abbia fatto un passo verso la propria interiorità, abbia risvegliato dentro di sé la capacità di vedere e sentire. L’essere umano deve radicare la ragione al “sentidos”, cioè dare forma al sentire individuandolo attraverso la percezione dei sensi, attraverso il contatto di qualcosa che oppone resistenza, l’altro da noi.

E’ indispensabile che la luce si affacci alla fine di ogni notte e torni giorno dopo giorno come mediatrice tra gli opposti. Nel suo risorgere mostra come il polo dell’oscurità si trasformi nel suo polo opposto, la luce pura, in una visione fluida e dinamica della vita che non irrigidisce le contraddizioni ma ci dà la possibilità di abitarle e trascenderle.