Spezziamo insieme il pane

Doranna Lupi

Durante la preparazione della Celebrazione Eucaristica per il nostro convegno di Verona, un mio accostamento della metafora eucaristica alla gestazione e alla nascita ha suscitato, in alcune donne del gruppo di Ravenna, con cui abbiamo collaborato, molte perplessità:

Gesù alle donne e agli uomini a lui più vicine/i, durante l’ultima cena, spezzando il pane e porgendo il calice del vino disse: “Mangiatene tutti, questo è il mio corpo, bevetene tutti questo è il mio sangue , fate questo in memoria di me”. Ogni donna che genera condivide corpo e sangue con la vita che nasce nel suo ventre, impasto prezioso della nostra umanità, radice profonda di empatia. Non a caso Gesù usa questo gesto simbolico per ricordare ciò che ha insegnato con la sua stessa esistenza: l’amore incondizionato e universale per la vita e per tutti i viventi, ciascuno e ciascuna amati in modo unico e particolare. 

Gesù, nato di donna, usa una metafora materna e non si smentisce in questo; infatti proprio lui ha saputo gustare l’acqua della Samaritana, ascoltare il lamento dell’emorroissa, accettare il rimprovero della Cananea, riconoscere in Maria Maddalena la discepola prediletta. Il richiamo del corpo e del sangue come metafora non è in chiave sacrificale né cannibalesca, bensì della stessa natura del dare e del condividere della madre, sostanza che dà vita e rende umani. Dalla madre arrivano carne, sangue e l’esperienza del due in uno, dell’essere in totale unione pur essendo singoli e singolari; da lei arriva anche la parola con cui stare in comunicazione con noi stesse e con il mondo.

Rileggendo Rosetta Stella su “Sopportare il disordine, una teologia fatta in casa” ho trovato una sua interpretazione dell’opera d’arte sacra di Armanda Negri Verrà la donna è sarà una pianta, dove esprime accostamenti molto simili ai miei. Dice: “Si tratta di un opera d’arte sacra, che vuole rappresentare ben due misteri, quello femminile e quello dell’eucarestia, l’uno sovrapposto all’altro, entrambi tra loro necessitati da uno scambio di sangue e di carne che li rende vivi e parlanti, dotati di senso solo se abitati entrambi da rimandi reciproci continui e infiniti”. L’opera a cui si riferisce è composta da un trittico su plexiglas dove, al centro, l’ostia eucaristica sta in una sorta di grande utero rosso trasparente, rappresentazione di Maria.

 

Immagini che si aggirano nell’inconscio collettivo femminile un po’ sgombro da rappresentazioni patriarcali?

Doranna Lupi