Coincidenze?

di p. Alberto Bruno Simoni op
in “Koinonia-Forum” n. 136

MEMINISSE JUVABIT (Sarà bene ricordarsene – Virgilio, Eneide I, 203): porta questo titolo il
nuovo messaggio di cui Mons. Loris Capovilla ci fa dono e in cui ripropone alla nostra memoria
alcune parole di Giovanni XXIII nella “Allocuzione concistoriale” del 27 marzo 1960.
Rileggiamole insieme, per capire perché cadono opportune in questo momento:
“… Nel presente concistoro, come del resto nei due che l’hanno preceduto, prende posto eminente la
creazione di nuovi cardinali, eletti questa volta con allargamento anche più ardito di orizzonti sino
ad arricchire il sacro collegio di distinti e benemeriti ecclesiastici che appartengono a notevoli
porzioni del gregge di Cristo distribuito in regioni lontane, ma fiorenti di vita e di promesse.
Avremo perciò un cardinale del Giappone, uno delle Filippine, ed un terzo del Tanganica
nell’Africa Orientale, tutti egualmente creati alla gloria del Signore che santifica i popoli senza
discriminazioni di lingua, di ascendenza e di colore, a tutti facendo giungere la stessa buona
novella secondo l’andate in tutto il mondo e proclamate il vangelo ad ogni creatura, insegnando
loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato (Mc 16, 15; Mt 28, 19). Questo evento, nuovissimo
in verità nella storia della chiesa e dei popoli, non è che il suggello di un’antica dottrina e di una
tradizione segnata da due millenni, dal punto preciso e registrato degli Atti degli Apostoli che ci
racconta del battesimo del potente ministro della regina Candace degli Etiopi per le mani del
diacono Filippo, sino alla prodigiosa fioritura delle missioni cattoliche del continente africano, a
cui si volgono il mio sguardo e il mio cuore con letizia confidente e serena. Il Cristo è il redentore
di tutti gli uomini e di tutti i popoli. Egli ha fissato il suo proprio tempo ad ogni nazione e la sua
chiesa ne assiste allo sviluppo, ne piange e ne conforta le molteplici e durissime prove, ne celebra e
ne magnifica esultante i meriti e le spirituali vittorie” (Giovanni XXIII, Allocuzione concistoriale,
27 marzo 1960)
Un primo motivo di questa rilettura sta nel fatto che il messaggio di Mons. Capovilla arriva nello
stesso giorno in cui ci è dato leggere la Lettera di Benedetto XVI ai vescovi sulla remissione della
scomunica ai quattro presuli consacrati dall’arcivescovo Lefebvre. Mentre i due testi interessano il
rapporto interno tra il Papa e Vescovi, viene però subito da cogliere la diversa ispirazione che li
anima: segno dei tempi e di dilatazione il primo, verso tutti gli uomini e tutti i popoli;
preoccupazione istituzionale e recupero disciplinare per decreto il secondo, verso Vescovi in
posizione di rifiuto e di condanna nei confronti della Chiesa e del suo Magistero solenne, il
Concilio. A complicare le cose si aggiunge il caso Williamson, che però è consequenziale rispetto
alle posizioni prese già a suo tempo da Mons. Lefebvre in riferimento al documento “Nostra aetate”
e agli Ebrei. (Si veda il testo riportato di seguito in questo Forum).
Ma il punto più rilevante di confronto e di divaricazione non è solo questo, ma emerge da alcuni
passaggi dei rispettivi documenti, e riguarda il modello di chiesa che ne deriva. Nella Allocuzione
di Giovanni XXIII leggiamo: “Il Cristo è il redentore di tutti gli uomini e di tutti i popoli. Egli ha
fissato il suo proprio tempo ad ogni nazione e la sua chiesa ne assiste allo sviluppo, ne piange e ne
conforta le molteplici e durissime prove, ne celebra e ne magnifica esultante i meriti e le spirituali
vittorie”. Dunque, ci sono i tempi di Dio, o i segni dei tempi, che la comunità dei credenti deve
scrutare e celebrare!
La Lettera di Benedetto XVI si esprime invece in altri termini: “Nel nostro tempo in cui in vaste
zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento,
la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli
uomini l’accesso a Dio. Non ad un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio
il cui volto riconosciamo nell’amore spinto sino alla fine (cfr. Gv 13, 1) – in Gesù Cristo crocifisso e
risorto. Il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall’orizzonte
degli uomini e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla
mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre di più.
Condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla nella Bibbia: questa è la priorità suprema e
fondamentale della Chiesa e del Successore di Pietro in questo tempo. Da qui deriva come logica
conseguenza che dobbiamo avere a cuore l’unità dei credenti. La loro discordia, infatti, la loro
contrapposizione interna mette in dubbio la credibilità del loro parlare di Dio”.
Queste semplici segnalazioni bastino per mettere a confronto orizzonti, metodologie e strategie
pastorali diversi in base a diversi modelli di chiesa: una Chiesa che, rispetto al Cristo Redentore di
tutti i popoli “ne assiste allo sviluppo, ne piange e ne conforta le molteplici e durissime prove, ne
celebra e ne magnifica esultante i meriti e le spirituali vittorie”: una chiesa per la quale “la priorità
che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini
l’accesso a Dio”.
Ad una chiesa cooperatrice dell’opera di redenzione, in atto tra tutti gli uomini e tutti i popoli ad
opera di Cristo, fa riscontro una chiesa che chiama a raccolta i credenti per “rendere Dio presente
in questo mondo e aprire agli uomini l’accesso a Dio”. Una sorta di manifesto, all’insegna del
grido: “Credenti di tutto il mondo unitevi!”. Ma versus chi? Se questo tipo di chiesa ad intra ed
esclusiva è espresso e promosso – sia detto senza ombra di critica – da Benedetto XVI, è altrettanto
vero che rimane valida e praticabile la prospettiva ad extra ed inclusiva espressa da Giovanni
XXIII, senza che per questo ci si debba divorare gli uni gli altri. Ma anche senza che una diversità
di orientamento autorizzi a dare del “cane rabbioso” a qualcuno, come mi è capitato di sentire e
come sembra si autorizzi a fare con le indicazioni che vengono dall’alto! Almeno per come vengono
recepite e utilizzate!
E questo non è esattamente favorire dialogo e riconciliazione nella Chiesa. Forse le lacerazioni
nascono anche dal fatto che si voglia sempre “unanimità” (Enzo Bianchi su la Stampa) e uniformità,
mentre differenze di prospettiva e di orientamento innegabili nei fatti, di diritto vengono
disconosciute e penalizzate. E allora succede che mentre ci si preoccupa di recuperare una
minoranza dichiaratamente avversa e renitente, perché in qualche modo omogenea a sé, si mettono
indiscriminatamente nel novero degli oppositori e denigratori quanti si trovano su altra lunghezza
d’onda. E questo genera appunto un facile e gratuito ostracismo da parte di chi è più papista del
Papa, nei confronti di chi non sia allineato in senso storico e culturale. A quando una sincera e
serena dialettica interna alla Chiesa alla maniera del Concilio?