Speranza nel Mediterraneo

Luca Maria Negro
www.riforma.it

Speranza nel Mediterraneo – in inglese Mediterranean Hope (Mh) – è il nome del progetto di accoglienza e informazione sui movimenti migratori verso l’isola di Lampedusa e la Sicilia che la Federazione delle chiese evangeliche ha lanciato il 20 maggio a Roma, con un seminario su «Politiche e modelli di accoglienza». L’incontro si è aperto con un intervento del pastore Massimo Aquilante, presidente della Fcei, che ha sottolineato il carattere «fortemente vocazionale» del progetto, che è sostenuto dall’otto per mille delle chiese metodiste e valdesi. «La nostra mente non deve essere istituzionalizzata», ha detto il presidente Fcei; «un progetto vocazionale è costantemente in movimento; è una chiamata per noi che ne portiamo la responsabilità ma anche per gli altri: cittadini di Lampedusa, rifugiati, le nostre chiese in Italia e in Europa, i responsabili politici… È un progetto che vuole interpellare e coinvolgere».

Le caratteristiche concrete del progetto sono state illustrate da Paolo Naso, responsabile del programma «Essere chiesa insieme» della Fcei. Mediterranean Hope, ha spiegato, è un progetto con tre «vettori»: un centro di accoglienza a Scicli (Ragusa), un osservatorio sull’immigrazione a Lampedusa, e l’azione pubblica della Fcei per la giustizia e il rispetto dei diritti umani. Si tratta di un progetto integrato: «Se togliamo un pezzo, il sistema perde la sua funzionalità».

La filosofia di Mediterranean Hope per Naso è affine a quella linea di pensiero, ben visibile nella storia delle chiese protestanti degli Stati Uniti, che cerca di coniugare le attività di accoglienza e assistenza con un’azione politica precisa. Naso ha inoltre sottolineato l’importanza di «fare rete» a diversi livelli: sul piano locale, creando saldi rapporti con le associazioni e i volontari presenti a Lampedusa e in Sicilia; e poi a livello dei media e nello spazio pubblico.

L’osservatorio lampedusano è già partito ai primi di maggio con la presenza sull’isola di due operatori: Marta Bernardini e Francesco Piobbichi, che hanno iniziato a curare una rubrica regolare sull’agenzia stampa Nev – Notizie evangeliche (www.nev.it). «In queste prime settimane stiamo iniziando a intessere le relazioni con le realtà presenti sul territorio», ci ha detto Marta Bernardini, valdese di Milano che è anche vicesegretaria della Federazione giovanile evangelica in Italia. «A Lampedusa esistono molte realtà associative, e dopo la tragedia del 3 ottobre 2013 si è costituito un “Comitato 3 ottobre”, di cui fa parte anche la Fcei, che sostiene tra l’altro la proposta di creare dei “canali umanitari controllati” che eviterebbero che si intraprendano viaggi pericolosi e disumani. Abbiamo anche stabilito un buon rapporto con la Chiesa cattolica di Lampedusa. In generale siamo stati accolti molto bene, anche perché da subito si è capito che la nostra non è una presenza di passaggio: il nostro obiettivo è di rimanere a Lampedusa per almeno un anno».

Il centro di accoglienza per rifugiati di Scicli, centro agricolo del ragusano con circa 25.000 abitanti, partirà fra poche settimane. «Stiamo perfezionando l’ affitto e l’arredamento di una palazzina che include quattro appartamenti e dei locali da adibire a mensa, attività comunitarie e ufficio», ci ha detto Giovannella Scifo, membro della locale Chiesa metodista e operatrice distaccata dalla Commissione sinodale per la diaconia (Csd). «In totale prevediamo di accogliere 35-40 persone. Per Scicli si tratta della prima esperienza di questo genere: anche il Comune si sta muovendo per aprire un centro, ma una parte della popolazione si oppone perché ha paura degli immigrati. Molti altri invece sono positivi, e si interrogano su come rispondere ai bisogni degli immigrati».

Al seminario di Roma sono intervenuti numerosi esperti del tema delle migrazioni, operatori sociali e rappresentanti delle chiese evangeliche siciliane. Ricordiamo, tra gli altri, l’intervento del prefetto Riccardo Compagnucci, del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’interno; quello di Alessio Mennona, dell’Ismu (Iniziative e studi sulla multietnicità), che ha illustrato una previsione di flussi migratori dall’Africa verso l’Europa nei prossimi anni, evidenziando una previsione di aumento contenuto che ridimensiona le logiche emergenziali; e quello di Massimo Gnone, che ha illustrato i vari progetti di accoglienza e sostegno a richiedenti asilo e rifugiati realizzati dalla Csd dal 2011 a oggi, in Piemonte (Prali, Torre Pellice, Torino) e Sicilia (Vittoria).

«La questione dell’accoglienza dei rifugiati e richiedenti asilo in Italia è da sempre critica e problematica», ha detto nel suo intervento Franca Di Lecce, direttore del Servizio rifugiati e migranti della Fcei. «Da anni esprimiamo preoccupazione per la mancanza di pianificazione dell’accoglienza e per l’inadeguatezza di un sistema frammentario, disomogeneo e insufficiente, sempre e ancora improntato ad una logica emergenziale e completamente svincolata da una progettualità di lungo periodo». Di Lecce ha proseguito indicando una serie di «trappole»: oltre a quella di un approccio «emergenziale», l’uso strumentale di numeri e statistiche, e un linguaggio «bellicoso» che induce a «sentirsi sotto assedio» e normalizza l’odio e l’esclusione.

Nelle sue conclusioni, il segretario del Servizio rifugiati e migranti della Fcei, Roberto Vitelli, ha affermato che il progetto Mediterranean Hope è «l’occasione per costruire una rete di diaconia forte in Sicilia e in Italia delle nostre chiese, andando oltre le denominazioni che aderiscono alla Federazione per costruire una collaborazione concreta con altre chiese evangeliche, quali quelle pentecostali e avventiste. Una rete capace di prefigurare in futuro interventi anche di diversa natura da quelli della risposta alle migrazioni. Una rete che testimoni la Parola così come noi protestanti la comprendiamo: come annuncio del Regno che viene».