Laicità, autonomia e libertà .... condizionata

 

Non sempre “liberarsi dalla dipendenza e acquisire autonomia” ha guadagnato un senso di consapevole progresso culturale nella storia del genere umano: più volte al contrario è sembrato non solo rischioso per i destini di una comunità che volesse camminare sulle orme di valori condivisi, ma addirittura aberrante.

Molto dipendeva dagli orizzonti culturali prescelti o da scelte linguistiche, dal fatto che fossero comprensibili, mutuabili all’interno del gruppo cui l’invito si rivolgeva, che avessero relazione con i bisogni maggiormente avvertiti, con un linguaggio rassicurante, anche in rapporto con le tradizioni, la mitologia, il patrimonio simbolico comune.

La famosa parrhesia ateniese (libertà di parola), scuola di democrazia praticata poi occasionalmente nel corso della storia, valevaentro termini e confini ben precisi; la stessa democrazia ha cambiato di significato più volte per le comunità che l’hanno praticata e per quelle che ancor oggi, pur usando il nome, intendono ben altro rispetto al significato che aveva per coloro che l’hanno inventata.

In generale, pare di poter dire che ogni gruppo umano, per crescere nella dimensione della “humanitas”, debba confrontarsi con un limite, di volta in volta diverso, rispetto al quale le cristallizzazioni culturali siano avvertite come un carcere da un buon numero dei suoi componenti. Nemmeno la memoria del rogo di Giordano Bruno si sarebbe conservata, nonostante la relativa vicinanza dell’evento ai nostri tempi, se appunto i contemporanei ed i posteri immediati non avessero avvertito l’urgenza e la necessità di non cancellarlo dalla coscienza collettiva, di salvarlo dall’oblio, come forse non è avvenuto per chissà quanti altri esempi altrettanto generosi, ma troppo titanici per essere compresi e apprezzati.

È d’altra parte necessario, tuttavia, riempire di connotazione attualizzante il termine “laicità” che abbiamo ereditato, assieme al patrimonio concettuale, culturalmente significativo, con cui ci è stato consegnato.

In ciascuno di noi, l’autonomia di giudizio rappresenta, per così dire, l’ipostasi di una somma di esperienze e valutazioni che si sono via via stratificate, dopo essersi arricchite e interrelate con quelle della realtà socioculturale in cui siamo vissuti e che, disponendosi in una scala di valori, costituisce il referente identitario delle nostre scelte etiche: scala di valori destinata a mutare in relazione alla densità e alla ricchezza di quelle interrelazioni. Quando ciò non avviene, o per pigrizia o sfiducia o un qualsiasi problema di fragilità interiore, si sclerotizza, e si costruisce a difesa un rigido sistema di “valori immutabili”. Ai nostri giorni, questa deriva può essere facilitata dalle velocissime trasformazioni culturali, che spesso sollecitano risposte troppo rapide rispetto ai tempi necessari per una loro meditata elaborazione etica.

Allora il problema è mantenere una condizione etica di “equilibrio instabile” saldamente governato: quello di un marinaio che sulla tolda della nave finisce per controllare automaticamente beccheggio e rollio avendo ben saldi i punti di riferimento essenziali per non perdere il proprio baricentro.

Questo, secondo me, il significato di quell’espressione convincente, ma un po’ laconica di “laicità nella laicità” che trovo nell’articolo intitolato “La laicità è un tema perenne”, nel n°3 del Notiziario della Comunità dell’Isolotto (dicembre 2005).

Così, a mio avviso, la parola autonomia ha senso solo in quel provvisorio metro di giudizio che “quel” precario equilibrio può indicare.

In questo senso il relativismo etico che tanto scandalizza larga partedel mondo cattolico sembra l’unica forma autentica di assunzione di responsabilità rispetto al patrimonio di valori che la nostra società esprime, soprattutto in relazione al profondo rispetto per il diverso, per il punto di vista dell’altro con il quale metto in gioco il mio, misurandolo in relazione ad un bene comune considerato qui ed ora, nell’ambito concreto delle disponibilità umane e sociali del tempo in cui ci è dato vivere.

Rosaria de Felice, Gruppo di Controinformazione ecclesiale di Roma.

 

 

 

[torna indietro]