Dal Chiapas segni di speranza

 

Sabato 5 novembre ore 17.15: nell’accogliente sala del servizio librario di san Benedetto, una trentina di persone facenti parte della Comunità di Oregina, dell’Associazione Ya Basta, dell’Associazione Italia-Cuba, ascoltano con profondo interesse ed emozione la narrazione del viaggio che Haidi Giuliani, la mamma di Carlo, e Rosa Piro, la mamma di Dax, hanno fatto nella prima metà di settembre, dopo l’arrivo delle autoambulanze che portano i nomi dei due giovani assassinati dalla violenza fascista.

La narrazione si snoda da San Cristobal al Caracol di Oventic, poi a quello della Garrucha, passa per la visita al Municipio autonomo di Polhò, alla Comunità di Nueva Libertad e trova un momento intenso nell’incontro con il Subcomandante insorgente Marcos fino all’appuntamento a Carmen Patatè dove si svolge “La sesta della Sesta”.

Haidi mette in luce le esperienze di costruzione di cooperative, di microcredito, di cliniche aperte a tutte/i, la fatica delle donne e degli uomini con i tempi propri di una cultura e di una civiltà che non conosce la fretta e lo stress della civiltà capitalistico-occidentale.

Haidi poi dice: - Quando Amos, il responsabile del gruppo educativo, comincia a parlare di collettivismo, di finalità educative e formative, dell’organizzazione delle classi di insegnamento, delle aree pedagogiche, il mio vecchio cuore di maestra torna indietro di molti anni, ai tempi felici in cui anche noi lavoravamo sodo, senza badare alle ore in più, in condizioni spesso difficili, insegnandoci l’un l’altro, inventando il tempo pieno, rifiutando il voto come strumento di selezione, aprendo le scuole a esperienze diverse, aprendo gli spazi agli abitanti del quartiere, sognando una nuova scuola possibile-.

Qui nel Chiapas c’è la ricerca per la costruzione di un'altra convivenza e si costruiscono spazi come luoghi dove nascano parole di vita, in cui trovino il loro modo di essere nominati la repressione, lo sfruttamento, il cinico disprezzo, ma anche la resistenza, il non arrendersi, la speranza certa in altri mondi possibili.

Quello che ora serve è soprattutto una lotta di parole e di idee, come dice Marcos, per vincere innanzitutto sul piano culturale l’ideologia liberistica, la concezione di una società che mette al centro il mercato e il profitto, che costringe popolazioni a vivere in baracche coperte da semplici lamiere, che distrugge la cultura di intere etnie. Contro questa barbarie moderna la “altra campagna” si propone di organizzare l’ascolto, di organizzare il ponte, la resistenza, la ribellione e di mutarla in un movimento di trasformazione profonda e radicale.

Noi, alla sequela di Gesù, scorgiamo nel movimento delle popolazioni zapatiste “uno dei segni dei tempi” perché i segni, come dice José Comblin, sono le lotte dei poveri, degli esclusi, dei dominati, i segni della lotta della liberazione degli oppressi.

 

Peppino Coscione, comunità cristiana di base Oregina di Genova

 

 

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