Laicità: tema del prossimo Incontro nazionale cdb

 

Laicità è il tema del prossimo incontro nazionale delle comunità di base. E non a caso. Laicità è infatti uno dei temi che più stanno a cuore a realtà come le nostre fondate sul valore primario dell’autonomia delle coscienze in un quadro non individualistico ma di relazioni di base. Inoltre la stagione storica che stiamo vivendo è segnata dall’emergere di eventi che riportano la laicità in primo piano. Tutte le comunità sono impegnate a socializzare le loro riflessioni e prassi perché il Convegno di fine anno sia davvero, come sempre si è cercato che fossero i nostri incontri, un fatto comunitario e quindi partecipato: un incontro di attori e non di spettatori, un punto di arrivo di percorsi di scambio, confronto, ricerca pratica dal basso e non solo una sequenza, per non dire passerella, di esperti. Quest’ultima frase non vuole deprezzare la funzione preziosa degli esperti, il servizio di persone che mettono a disposizione le loro conoscenze e saperi. Intende però valorizzare il sapere che viene dal basso, dalle relazioni, dalle esperienze di vita: un sapere spesso deprezzato, umiliato, oscurato, eppure un sapere indispensabile nella sua umiltà per dare anima e senso al cammino umano e alla stessa ricerca degli esperti.

Il Notiziario intende fare la sua parte insieme al sito informatico delle cdb e ai siti collegati.

Già il numero precedente è stato dedicato a "Laicità: quello sguardo dal basso che non è solo vedere/parlare ma è prassi di vita quotidiana". Su tale linea ponevamo alcuni interrogativi. Li riproponiamo: "E’ questa riappropriazione, dal basso, della esistenza in tutti i suoi aspetti e non solo nell’aspetto politico, la radice storica più profonda della laicità? E’ questo sguardo dal basso, è questa prassi di vita a partire dagli esclusi che costituisce l’anima profonda e autentica della laicità? Su domande come questa si è snodata fino ad oggi l’esperienza delle comunità di base italiane e del mondo, esperienza critica, contraddittoria, in perenne divenire … Non solo laicità della politica ma nella politica, cioè laicità interna alle modalità di fare politica; e così pure laicità nella fede religiosa, nelle religioni di chiesa, nell’etica, nelle relazioni, nella quotidianità …Dobbiamo forse mettere in gioco in modo nuovo la nostra esperienza, di "comunità di base", intensificarla, comunicarla".

Da lì ripartiamo, cioè dagli spunti proposti nel precedente numero.

 

Laicità dell’eucarestia? Un interrogativo perennemente aperto

 

Uno degli aspetti non secondari della esperienza di laicità delle comunità di base è certamente l’eucarestia. I luoghi, i tempi, i contenuti, i soggetti della prassi eucaristica delle comunità hanno perso il carattere di sacralità separata dalla vita e hanno assunto un nuovo modo di essere che si può definire di laicità.

Qualcuno può dubitare che possa esistere una laicità della eucarestia.

L’eucaristia, come normalmente viene concepita e vissuta, e cioè come sacrificio perenne, è la codificazione del legame inscindibile fra esistenza, peccato e sacrificio e in tal modo è il sanzionamento della perennità della violenza nel mondo. Se uno vuole essere laico deve sbarazzarsi dell’eucarestia e di tutti i suoi contorni di ritualità e simbologia: così ragionano in tanti. Le comunità hanno invece scommesso sulla possibilità di riappropriarsi dal basso dell’eucarestia. Il che vuol dire sostanzialmente recuperare la laicità dell’eucarestia. Sbarazzarsi del sacrificio e del dominio del sacro, che è cosa importantissima, non significa annullare tutta la storia di millenni che è anche storia di liberazione dal sacro. Perché lasciare in mano al dominio del sacro e quindi alla casta del clero questa forte sorgente di senso che è stata nella storia ed è attualmente l’eucarestia?

 

Cominciamo dal Vangelo.

 

Tradotto in termini espliciti, e quindi riduttivi, il messaggio che emana dalla simbologia evangelica dell’ultima cena potrebbe essere questo: la via della salvezza non passa attraverso il sacrificio rituale, che è solo consolatorio, anzi è un imbroglio mascherato di sacro (il Tempio ridotto a spelonca di ladri e destinato alla distruzione). La via della salvezza sta nella condivisione degli elementi offerti dalla natura e dal lavoro dell’uomo, essenziali alla vita, simboleggiati dal pane e dal vino. E’ l’eucarestia come condivisione. C’è una cosa più laica della condivisione? Dello spartire pane e vino come simbolo dello spartire la vita? E il sacrificio? E’ scomparso? Certo che è scomparso. Ma in qualche modo si può anche dire che resta. In che senso resta? Come segno della sacralità generalizzata della realtà umana e in particolare della condivisione che è l’anima dell’umano. Se tutto è sacro sparisce il "sacro" separato. E questa sacralità della condivisione forse è il significato più profondo si direbbe ancestrale del sacrificio: privarsi di qualche cosa per farne dono all’altro/a.

Un certa antropologia ci dice che all’origine del sacrificio non sempre c’è la colpa, la paura e l’offerta di una vittima sacrificata. In alcuni casi il sacrificio sta proprio nel solo gesto semplice ed essenziale del dono, noi diremmo nel gesto del condividere. Ad esempio nei Veda, i libri sacri indiani, e nelle tradizioni ad essi collegati. L’officiante dei riti vedici pronuncia due sillabe, "svaha", preliminari a qualsiasi offerta. Secondo i rituali vedici, anche in mancanza di qualsiasi sostanza da offrire, pronunciare quelle due sillabe è sufficiente per compiere il sacrificio. "Su questo punto lo Shatapatha Brahmana (antica opera indù che tratta di cosmogenesi – ndr.) è drastico e dice: ‘Lo svaha è il sacrificio’ …Prima di ogni pensiero, quella rete (di riti e miti dei Veda – ndr) era definita da un gesto: il puro gesto di offrire, anche quando non vi è quasi nulla da offrire. …Che cosa vada offerto e a chi, in certo modo è secondario, rispetto al gesto di quella invocazione preliminare" (Roberto Calasso, la Repubblica, 6 dicembre 2006).

Ma non vale lo stesso per l’eucarestia? La condivisione in se stessa "è" il sacrificio: "questo è il mio corpo…".

Il sacrificio rivisitato così non è più il prezzo del peccato e l’esorcismo della paura e della morte. E’ anzi inserito, ma con un significato rovesciato, come elemento essenziale nella profondità del significato della condivisione. La condivisione eucaristica del pane e del vino non è una qualsiasi spartizione contrattuale: io do una cosa a te e tu dai una cosa a me. "Condividere" non è scambiare, non è mercato. O se si vuole non è solo mercato, dal momento che anche il mercato ha i suoi valori. La eucaristia è una condivisione esistenziale che viene prima e va oltre i valori del mercato. E’ una condivisione che non è mai appagata dai livelli di giustizia raggiunti storicamente dalle spartizioni contrattuali. Cerca e vuole livelli sempre più alti di giustizia e quindi tende di continuo a un "oltre" che sfugge a ogni possesso e a ogni scambio. Perché il corpo e il sangue, la vita umana, non si possono esaurire mai in un contratto o in un programma politico di giusta distribuzione di beni: non sono oggetti di scambio. Il corpo e il sangue sono l’anima della trasformazione continua della storia. Sono il motore intimo della lotta inesausta per la giustizia.

E’ sottile e profondo questo significato della eucaristia nel Vangelo.

Condividere il pane e il vino è salvifico, produce salvezza, perché è condividere corpo e sangue, è condividere la vita.

E condividere la vita, ecco un ulteriore passaggio, è accettare che la vita sia limitata e mortale. E quindi in qualche modo è anche vincere la morte. E’ un vincere pieno di drammaticità ma anche di positività: è gestire e superare l’angoscia della morte. Tant’è vero che il Gesù dei Vangeli affronta la conflittualità, con cui i dominatori del Tempio tentano di contenere e reprimere il carattere destabilizzante di quella condivisione, affronta lo scontro mettendo in gioco il proprio corpo e il proprio sangue. E così poi faranno i primi cristiani che affronteranno col martirio la conflittualità con la cultura e il potere dell’Impero, che vuole dominio sulla spartizione e non vuole condivisione.

L’eucaristia è l’anima della ricerca inesausta e anche della lotta pacifica per la giustizia. Non si può condividere pane e vino, i simboli della eucaristia, come puro rito sacrificale, senza condividere corpo e sangue.

E venne però la transustanziazione a devitalizzare l’eucaristia.

Quando è avvenuto l'inserimento delle comunità cristiane negli spazi del potere c'è stata la sacralizzazione della Chiesa. E' cominciata l'avventura della fede dentro le categorie del sacro. Il cristianesimo-potere ha rovesciato il senso di questa simbologia insita nell’ultima cena. E’ stata sancita la transustanziazione. Il pane eucaristico non è più condivisione perché non è più pane ma è il sacro corpo di Cristo. Il pane è annullato per rendere perenne la necessità del sacrificio. Il pane e il corpo sono stati di nuovo contrapposti. La vita, la natura e il sacro sono stati di nuovo separati. E all’ansia inesausta di giustizia e alla lotta pacifica per una giustizia sempre più grande è stata tolta una parte dell’anima. E l’eucaristia è stata devitalizzata. E al posto della lotta per la giustizia e il diritto si è insediata la "carità cristiana".

 

Le comunità di base hanno assunto la sfida della laicità: recuperare tutte le gocce, le briciole, i germi di laicità di cui è disseminata la storia della eucarestia.

 

Offriamo una panoramica del punto a cui siamo nella nostra (Comunità Isolotto) esperienza di celebrazione eucaristica con esempi concreti. Alcuni spunti di valutazione dell’esperienza stessa e di suoi aspetti particolari sono il frutto di una specie di rumore di fondo della socializzazione comunitaria. Non tutti noi potremo riconoscersi in pieno. Tutti però siamo interessati a discuterne e a confrontarsi costruttivamente con le altre comunità.

 

Pubblichiamo inoltre il resoconto dell’incontro di collegamento nazionale delle comunità di base che si è svolto a Firenze 1l 18-19 febbraio 2006, per preparare il Convegno di fine anno sulla laicità.

 

[torna indietro]