Diritti umani e sistema carcerario: sono compatibili?

 

Alcune domande che da tempo il movimento per l'umanizzazione del carcere in prospettiva del suo possibile superamento pone alla città:

 

1) in una condizione personale di privazione della libertà individuale e di impossibilità ad autodeterminarsi in ogni piccolo atto del quotidiano, è possibile garantire i diritti umani elementari delle persone detenute?

 

2) le condizioni gravi di sovraffollamento vissute in alcune carceri, tra cui Sollicciano, non creano di fatto condizioni assimilabili alla tortura?

 

3) esistono esperienze internazionali significative che possano rappresentare un punto di riferimento nella prospettiva del superamento del carcere?

 

4) quale percorso potrebbe essere immaginato per operare concretamente, sia pure nei tempi lunghi, in questa prospettiva (come è avvenuto per l'abolizione dei manicomi?)

 

5) più in generale come possiamo inquadrare il problema dei diritti umani oggi, nel mondo globalizzato e con riferimento al problema delle carceri?

 

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Alcuni dati da cui scaturiscono quelle e altre domande:

 

L'istituzione carcere negli ultimi anni, in conseguenza del mutamento delle condizioni sociali ed economiche, di fenomeni quali l'immigrazione e la tossicodipendenza, ha accentuato ulteriormente la sua funzione di ‘discarica sociale' (al 31 dicembre 2005 il 32,5% dei detenuti erano tossicodipendenti o alcolisti; 30% stranieri, che rappresentano il 45% dei nuovi ingressi nel 2005).

Questa situazione, il sovraffolamento, il bassissimo numero di detenuti che svolge in carcere attività lavorative o di formazione, determina condizioni di "non vita" inutilmente aflittive, non rispettose del dettato costituzionale. Spesso le persone vengono contenute solo grazie al massiccio uso di psicofarmaci (questo tra l'altro determina gravi e giuste preoccupazioni nei familiari dei detenuti stessi), rimesse sulla strada a fine pena senza nessuna misura di accompagnamento e quindi senza nessuna preoccupazione dello Stato (che a volte ha avuto quelle persone in custodia per anni) per il loro futuro. Una spesa enorme é destinata di fatto solo al mantenimento dell'istituzione, senza nessuna attenzione per l'efficacia della spesa, che può essere determinata solo dall'attivazione di processi che evitino nel futuro le recidive.

In queste condizioni il carcere non pare riformabile, i periodici sfollamenti vengono annullati da massicci nuovi ingressi e molte persone si trovano a vivere un'esperienza che ha come unica ragione un 'risarcimento' nei confronti delle persone offese dai reati, che non può però tradursi per loro stesse in reinserimento sociale, in determinazione di condizioni diverse rispetto al vissuto che ha originato il reato.

Possono esserci altre forme di risarcimento o di allontanamento dall'ambiente in cui si é verificato il reato, che permettano di superare il carcere?

Sul piano psicologico la detenzione ha effetti devastanti: molte associazioni di volontariato sottolineano che l'unica cosa che può tirare fuori le persone dalla situazione di disagio che le ha portate in carcere é l'esistenza di rapporti interpersonali e familiari che siano di sostegno, a fronte della totale inadeguatezza dei rapporti con educatori o operatori interni all'istituzione. Si determina in molte persone una regressione e un blocco nella naturale evoluzione e maturazione personale, in fasi cruciali della loro vita.

Tra l'altro Sollicciano é divenuto teatro negli ultimi mesi di proteste clamorose da parte di detenuti di religione islamica che hanno denunciato l'offesa delle loro pratiche religiose da parte degli operatori penitenziari. Un'istituzione che assolve alla funzione primaria di perpetrare se stessa non pare in grado di attrezzare culturalmente i propri operatori rispetto al problema della conoscenza e del confronto con culture e religioni diverse.

 

La Comunità dell'Isolotto

 

 

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