Peppino Coscione

Quella compagnia tenera e gratuita di Dio

Adista n.43/2008

Anno A 15 giugno 2008 XI Domenica del Tempo Ordinario: Es 19,2-6; Sal 99; Rm 5,6-11 Mt 9,36 - 10,8

Come nell'Esodo, Iahvé mosso a compassione si attiva per liberare il suo popolo ridotto in schiavitù e privo ancora di persone che annuncino che un'altra vita per loro è possibile, così nel Vangelo secondo Matteo, Gesù si muove a compassione delle folle perché erano stanche e scoraggiate, come pecore che non hanno un pastore. Tutto parte dalla compassione: nella Bibbia ebraica il termine che traduce compassione è rehamim, che significa amore viscerale (rehem significa utero); è, cioè, la forma dell'amore materno, quello con cui una madre custodisce, protegge, alimenta la bimba, il bimbo al suo seno. Troviamo in Matteo lo stesso verbo che Luca usa quando parla dell'uomo della Samaria che passò accanto alla persona lasciata mezza morta dai briganti, la vide e ne ebbe compassione. La compassione però non può nascere che dal sentimento profondo di un amore gratuito; sulla gratuità è fondato l'annuncio che il regno di Dio è vicino, è la gratuità il criterio di riconoscimento del discepolo di Gesù, della comunità dei discepoli di cui i dodici sono soltanto la figura, una gratuità che non nasce da un obbligo ma da una necessità costituiva dell'essere appunto pieni della pienezza d'amore, come calice che vuole traboccare, per usare l'espressione di Nietzsche.

Forse sono passati i tempi in cui Erasmo da Rotterdam nell'adagio "Far pagare gabella al morto" scriveva che “i sacerdoti dovrebbero tenere il denaro a vile, dovrebbero distribuire gratuitamente i loro doni come gratuitamente li hanno ricevuti ed invece ti fanno pagare anche loro ogni cosa senza la minima esenzione". Forse è inattuale anche Kierkegaard che, con la sua sferzante ironia, nell'atto di accusa al cristianesimo nel regno di Danimarca scriveva: “La Parola di Dio dice prima di tutto il regno di Dio ed invece la sua interpretazione diventa anzitutto il resto e poi il Regno di Dio; dopo molto correre e affannarsi si conquistano i beni terreni, e poi, alla fine ecco che viene una predica: come si debba curare innanzitutto il regno di Dio".

Certo, non sono mancati ieri e non mancano oggi nel cristianesimo testimoni di questa gratuità che, come samaritani, hanno riconosciuto i volti di persone stanche e scoraggiate, di persone assetate ed affamate soprattutto di giustizia, e con essi hanno condiviso l'esistenza. Sono rimasto colpito nel conoscere, durante la missione compiuta in Colombia , la figura di Alvaro Ulcue Chocue, parroco aborigeno assassinato dai paramilitari per il suo impegno a favore del popolo Nasa del Cauca; egli amava ripetere: "Desprendàmonos del poder temporal, economico y politico para que con la libertad y en nombre de Jesùs, acompañemos al pueblo". Ma tutto ciò non può esimerci dal riflettere sul perché queste testimonianze non hanno ancora modificato, o comunque non abbastanza, le strutture delle chiese istituzionali dove ancora molto pervasivi sono gli interessi commerciali, bancari, immobiliari, dove forti e pesanti sono le pretese di controllo sui corpi e sulle anime delle persone . E questo non facilita "vedere" le Chiese come comunità di sorelle e di fratelli alla sequela di Gesù, che, come scrive Elizabeth Green nell'appassionante libro "Il Dio sconfinato", nella vita come nella morte si trova in compagnia dei diseredati e dei derelitti, di un'uma-nità estromessa dal palcoscenico, espulsa dal campo.

Non possiamo abitare la pienezza dell'amore gratuito, senza passare attraverso quell'opera di svuotamento che l'apostolo Paolo nella lettera ai Filippesi (2,6‑8) attribuisce a Gesù "il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l'essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, ma spogliò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; trovato esteriormente come un uomo, umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce".

Quell'aggrapparsi gelosamente a certezze ritenute scaturite da ordine divino, quell'aggrapparsi ai tanti privilegi ritenuti diritti indispensabili per l'annuncio del regno di Dio, quell'aggrapparsi continuo al palcoscenico mediatico mettendo fuori campo chi compie altri percorsi, chi ha altre vedute, quell'aggrapparsi agli "aiuti" dello Stato che mentre offre sicurezza materiale depriva il messaggio evangelico della sua forza critica nei confronti dei poteri mondani, quell'aggrapparsi non solo è segno che non abbiamo "lo stesso sentimento che era in Cristo Gesù" ma è soprattutto come un velo oscuro che impedisce a tantissime persone di riconoscere l'amore misericordioso e gratuito di Dio e sperimentare la sua compagnia.

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* Ordinato prete nel ‘68 nella diocesi di Aversa, licenza in teologia, laurea in filosofia, escluso da ogni incarico pastorale pubblico perché ritenuto prete sovversivo. Dal ‘72 al ‘79, presbitero e coordinatore nella Comunità del Carmine di Conversano (Bari). Negli anni ‘71-‘73, brevi esperienze di lavoro in fabbrica (Germania) ed in campagna (Puglia). Dal ‘73 al 2006, docente di filosofia in un liceo statale di Genova. Dal ‘75 al ‘79 capogruppo consiliare Pci nel consiglio comunale di Conversano. Nel 2001, ha partecipato come rappresentante della comunità cristiana di base alla Rete “controg8". Dal 2002, è presidente del Comitato “Piazza Carlo Giuliani Onlus"

 

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