Natività: essere madri oggi.

E’ questo il tema su cui si svolgerà la Veglia di Natale

 

La Veglia si svolgerà in collaborazione con l’Associazione "F.a.t.e" impegnata da tempo nell’accoglienza e ascolto di madri sole, immigrate, che arrivano a Firenze per gravi motivi familiari o per motivi legati alla cure sanitarie dei bambini molto spesso malati. Un modo di celebrare la natività dalla parte delle madri, delle tante Marie, che vengono da lontano in cerca di speranza, di un futuro migliore per i loro figli. Le loro storie di madri si intrecceranno con le esperienze, le emozioni, i problemi, la fatica di tutti noi: madri, figli, padri del quartiere, della città-mondo.

La memoria della maternità di Maria e della nascita di Gesù verrà fatta da un gruppo di bambini in forma di racconto. Tale racconto è stato elaborato in un laboratorio educativo, sulla base dei dati contenuti dei Vangeli anche apocrifi. Soprattutto il racconto della nascita di Gesù è stato inserito con pari dignità in una serie di altri racconti di nascite e di relazioni madri/figli, secondo una linea educativa che vuole dare consapevolezza dell’umanità del "figlio dell’uomo", liberando Gesù e sua madre dalle mitizzazioni, le quali hanno avuto un loro significato nella storia ma che oggi vanno rielaborate.

"Maternità" è un argomento forte e intrigante. Essere madri non è solo dare la vita in senso biologico. E già questo è il grande miracolo che si rinnova ad ogni concepimento, gestazione e parto. Ma essere madri coinvolge e rigenera e ricrea tutti gli aspetti dell’esistenza della specie umana: la trasmissione del Dna in primo luogo, ma di uguale importanza è anche la trasmissione del senso della vita, del perché si vive, un perché da tutti noi succhiato col latte materno, la trasmissione della memoria della specie, la sapienza secolare, la capacità di adattamento e di relazione, gli strumenti di comunicazione (la parola, la lingua materna …), la prima messa in moto delle capacità di riconoscere e gestire i sentimenti e di procurarsi i mezzi di sussitenza (pensiamo anche solo alla ricerca del seno materno per succhiare il latte, il pianto della fame, primo nostro grande impegno, dopo il respiro, appena usciti dal ventre materno!)…

Essere madri è dare luce, calore, sicurezza, protezione, tenerezza. Quante cose ci sarebbero da dire, che fanno parte della esperienza di tutti noi: delle madri, dei figli e anche dei padri!

Ma tutto questo ha un risvolto di rischio: il pericolo della maternità di essere di ostacolo alla libera crescita dei figli imprigionandoli in una "abbraccio" soffocante; la fatica di dover tagliare ogni giorno, anzi ogni momento, in senso figurato, il cordone ombelicale; la sofferenza e i sensi di colpa del dover dire dei "no"; il rischio di trasmettere oltre ai valori anche i disvalori della società; il peso di educare alla diversità e non all’omologazione; la difficoltà nel trovare luoghi e relazioni per socializzare i problemi educativi e per vivere la maternità in forma aperta e non come possesso esclusivo, maternità verso tutti i bambini e non solo verso il "mio" figlio/a.

Al fondo di tutto c’è un problema di "accoglienza" della maternità, del "dare vita". Forse lo stesso racconto della natività che leggiamo nel Vangelo più che un racconto storico è l’eco del senso del rifiuto ancestrale che la società "bene" di ogni tempo oppone alla maternità nei suoi valori più alti, al "dare vita" non solo in senso biologico ma in senso culturale ed esistenziale. La cultura patriarcale sfrutta, come si sa bene, la donna, la sua capacità biologica di dare vita, ma rifiuta la cultura femminile della maternità. E così Maria si trovò a partorire in una stalla perché "per lei non c’era posto nell’albergo". Ma nel Vangelo c’è anche il senso dell’accoglienza verso la vita che nasce espresso da realtà emarginate dalla stessa società "bene", ad esempio i pastori.

E questo dell’accoglienza verso la maternità è oggi un problema particolarmente grave poiché oggi il senso della vita si fonda sul possesso, sul danaro, sul successo individuale, sulla competizione di tutti contro tutti, sull’avere anziché sull’essere, fino a poter dire estremizzando un po’ che la società in cui si realizza oggi la maternità è dominata dalla tendenza a dare la morte piuttosto che la vita. Per cui le madri, costrette ad andare contro corrente per dare vita in senso pieno, si sentono un po’ straniere tutte e non solo quelle che vengono qui da paesi lontani. Le madri sono coccolate, gli si danno sussidi e sostegni, ma sono poco più che contentini perché la loro vita si fa sempre più difficile.

Le madri, ci siamo detti negli incontri per preparare la Veglia, si sentono e sono tutte "straniere/migranti". Dare la vita è un'esperienza che pone in condizione obiettiva di estraneità rispetto alla cultura dell’alienazione, dell'esclusione, della guerra, e al tempo stesso dare la vita è dare impulso alla transizione (la migrazione) sognata e voluta da tante e da tanti verso una cultura della vita, della nonviolenza, della pace universale. L’emersione della cultura femminile, il "dare vita", il sognare un mondo in cui "il bambino lattante possa stendere la sua mano nella tana della vipera" (la profezia di Isaia), l’affermarsi della soggettività femminile in ogni ambito della società, sono la nostra principale risorsa. La pace è donna.

 

La Comunità dell’Isolotto

 

 

Natale 2006

 

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