In vista del XXX Incontro nazionale delle CdB

La laicità ci interpella

di Nino Lisi della CdB di San Paolo - Roma
 
Fede

Non penso che fede si sposi con “credere”. Questo è più delle religioni che proclamano una, anzi “la” verità. Mi sembra che fede richiami invece altri verbi: cercare, praticare(nel senso di: fare esperienza di …, sperimentare). Ricercare, praticare, sperimentare sono verbi che indicano un percorso, un processo, qualcosa di dinamico ed anche di mutevole. Al contrario, credere suggerisce – almeno a me – un approdo definitivo, quindi qualcosa di statico, di fisso, di acquisito una volta per sempre. Ma trattandosi dell’idea che ci facciamo di Dio, cioè dell’indicibile, dell’ignoto, del mistero, come è possibile acquisirla una volta per sempre?

Diversamente da quanto sostiene Amos Luzzatto nell’ultimo numero di Confronti (ottobre 2006) per il quale la fede “è un sistema di idee il cui punto di partenza consiste in alcuni concetto non discutibili né contrattabili, come Dio, Salvezza o Redenzione, Provvidenza” e costituisce quindi un deposito, ritengo – vorrei dire<sento> - che fede sia un percorso, un camminodi ricerca e di scoperte provvisorie, tutte da discutere e ridiscutere con se stessi, con gli altri e le altre. Non negoziabili, certo, ma non perché indisponibili, ma perché oggetto di ricerca e di sperimentazione, non di contrattazione.

Può esistere una fede laica? Ci si domanda. Se fare esperienza di fede vuol dire tentare un rapporto esistenziale con il non noto, con il mistero, ciò rientra nell’esperienza umana, nella pratica di vita; e alloraa questa domandanon può che rispondersi affermativamente. Dio lo cerco e lo “sperimento” nella vita mia e degli altri/e, “in spirito e verità”; così lo incontroe ne faccio conoscenza.Una conoscenza che si raggiunge non per via “razionale”, con una speculazione intellettuale; ma si acquisisce per via esistenziale – perciò si parla di “pratica di fede” – cioè nel contesto direlazioni di amore, in una prassi non conformata secondo norme dettate dall’alto e dall’esterno, ma ispirata da libere suggestioni interiori. Una conoscenza che può esprimersi non per definizioni, sistemi di coerenza e quadri sistematici, ma attraverso metafore e parabole, per similitudini.

 

Appartenenza

E’ vero: appartenere può significare essere di qualcuno o di qualche cosa; suggerisce un rapporto di dipendenza che è legato all’idea di proprietà. Ma vi è anche un altro significato: fare parte di… . Questo significato non evoca un rapporto di dipendenza, di subalternità e di sottomissione, ma di interdipendenza.Quando dico che il cuore appartiene al sistema vascolare nessuno pensa che questo lo possieda, ma chevi è un’interazionetra i diversi componenti del sistema.

Nelle situazioni concrete i due significati spesso coesistono e i rapporti di dipendenza e quelli di interdipendenza si combinano variamente. Più ci si trova in realtà istituzionalizzate e più queste sono o diventano totalizzanti, maggior peso acquistano i rapporti di dipendenza; più ci si trova in situazioni poco istituzionalizzate, tanto piùi rapporti di interdipendenza prevalgono. Nel primo caso il contesto può offrire protezione e sicurezza, ma anche condizionamenti ed oppressione; nel secondo emerge il rischio della responsabilità e della libertà.

In un contesto religioso l’appartenenza ha prevalentemente il primo significato:essere di…. ; al contrario,più si approfondiscel’esperienza difede,piùacquista consistenza l’altrosignificato:“essere parte di …” e si estende l’area della libertà(“la verità vi farà liberi”) e della responsabilità.

Va sottolineatoperò cheil significato di appartenenzacome possesso non è prerogativa solo dei contesti religiosi, madi tutti quelliche tendono a coinvolgere totalmentechi appartiene loro, a prescindere dalla natura e dalle finalità del coinvolgimento.

La vita delle istituzioni e dei/delle singoli/e si svolge in una continua dialettica tra le due valenze dell’appartenenza e nella conseguente alternanza tra il prevalere dei rapporti di dipendenza (che possono arrivare sino a situazioni di dominio) ediquelli di interdipendenza chetendono all’opposto a situazioni di armonia e di equilibrio.

Le appartenenze possono essere molteplici. Chiunquepuò avere più appartenenze. Non sempre sono tutte compatibili; in alcuni casipossonoconfliggere tra loro.Nel tempopossono cambiare eaddirittura andare smarrite. E’ il caso, ad esempio,dell’appartenenza degli esseri umani al creato. Con la modernitàsi è persa la consapevolezzadell’appartenenza della specie umanaal cosmo, alla natura. La scienza moderna ha sìscoperto di recentel’unicità della materia el’unicità della vitaeciòavrebbe potuto indurre l’essere umano a riscoprirsicomefacente parte dell’universo;il suo conflitto con la natura prosegue invece verso prospettive di eccezionale gravità

Alle appartenenze è collegata l’identità. Più sono le appartenenze chesi intrecciano, più l’identitàdel soggetto è complessa.

L’identità è mutevole, si evolve; può affievolirsi ed anch’essa andare smarrita. Se non la si perdevi è un elemento di continuità che sempre o quasi può rintracciarsi in essa.

 

Secolarizzazione

Riguarda l’occidente. E’ uno degli esiti della modernità. E’ un processo che espunge dalla società l’incombenza del sacro, inteso come irruzione della trascendenza.

La modernità ha rimosso dalla organizzazione della societàla centralità della concezione sacrale di Dio e della vita ed ha proposto la centralità dell’uomo, dell’autonomia della coscienza, della consapevolezza di sé. Con la modernità si passa dall’appartenenza al sacro, all’appartenenza all’umano, in qualche modo all’appartenenza allastoria. Si inaugura quindi l’era della libertà, della responsabilità personale, del diritto e dei diritti.

Lungo la parabola del suo percorso multisecolare, la modernità ha però progressivamente sostituito alla centralità dell’essere umano, da un lato, quella dell’economia e poi dell’impresa e quindi del profitto;e, dall’altro, quella della scienzae poi della tecnologia.

All’onnipotenza divinapoco alla volta èsubentrata l’onnipotenza delle dinamiche economiche,dei flussi finanziari,della ricerca scientifica, dei mezzi tecnologici. All’alienazionereligiosa (che non è scomparsa perché la secolarizzazione haridotto in occidente il peso delle religioni, ma non le ha eliminate) si sono aggiunte l’alienazione consumistica (per chi “può”), quella del “vorrei ma non posso” (per chi deve fare i conti con la povertà), quella tecnologica.

L’onnipotenza dell’economia e quella delle tecnologie, intrecciandosi, hanno portato alla globalizzazione, vero e proprio fondamentalismo che segna lo stadio parossistico della modernità e del capitalismo.

In assenza di un’inversione delle tendenze in atto, si delineaormai la prospettiva che la riproduzione tecnica del ciclo della vita – dal livello vegetale a quello umano – diventi il business per eccellenza e si rovesci quindi il rapporto tra produzione e riproduzione, diventando quest’ultima la nuova fonte – e probabilmente quella principale -di generazione del profitto. La sfera riproduttiva si avvia ad essere <il petrolio del futuro> di cuile biotecnologie forniranno i mezzi e le modalità di estrazione.

 

La crisi della modernità

La globalizzazionenega nei fatti il paradigma fondamentale della modernità. L’uomo e la donna occidentali liberato/a dalla soggezioneal sacro si trovano sottomesso/ a non meno alienanti soggezioni. Esplode così la crisi della modernità, cheè il grande problema con il quale la nostra epoca è chiamata a misurarsi.

Si discute se la crisisia della modernità o piuttosto della modernizzazione, se nasca dall’aver portato alle estreme conseguenze i presupposti di partenza o dal loro tradimentoin forme aberranti di modernizzazione. Come che sia, di crisi si tratta e bisogna fare i conti con essa e con le conseguenze che ne derivano.

 

Le risposte alla globalizzazione

La pressione direttamente o indirettamente esercitata dalla globalizzazione su civiltà epaesiesterni all’Occidente produce reazioni di tipo diverso a seconda della storia e della culturadei territorisui quali impatta.

Si va da quelle dell’America Latina, che sembrano essere le più promettenti, dove le etnie indigene vanno riscoprendo le radici delle proprie civiltà che la occidentalizzazione dei loro paesi fortunatamente non è riuscita a distruggere totalmente, a quelle della Cina, dell’India e del Vietnam, chesembrano voler “naturalizzare” il capitalismo in una specie di modernizzazione in parte autoctona. Piùi loro tentativi utilizzano logiche e modalità dell’economia capitalistica, più costituiscono anch’essi una minaccia mortale per l’equilibrio ambientale già tanto gravemente compromesso dall’Occidente.

Vi sono poi le risposte apprestate dai fondamentalismi che impropriamente vanno sotto il nome di islamici, cheutilizzano sensibilità e credi religiosi, distorcendolie strumentalizzandoli, per mobilitare energie e raccogliere risorse finanziarie controil fondamentalismo occidentale.

Ambedue i tipi di fondamentalismo, quello occidentale e quello denominatoislamico, sono dunque - direttamente il primo ed indirettamente il secondo - frutti della crisi della modernità.

 

L’uscita dalla crisi

Lo sbocco della crisi non è scontato.

Da essa si può uscire infatti in senso regressivo, riproponendo l’incombenza di undivinorestaurato in superficie e magari neppure tanto. E’ l’alternativa cui in generetendono le chiese.

Precisi segnali sono venuti in tal senso ancheda molte delle istanze più autorevoli della Chiesa cattolica:da Giovanni Paolo II che per primo ha chiesto di inserire nella costituzione dell’U.E. un esplicito richiamo alle radice cristiane dell’Europa; da Benedetto XIV,chespiegala diffidenza dei paesi islamici nei confrontidelle società occidentali solo per l’assenza di Dio che le caratterizzae tace su tutti gli altri fattori che giocano in tal senso (le varie forme di aggressione con le qualiun Occidenteaffetto di eurocentrismo e didelirio di onnipotenza intende coinvolgere nella sua modernità culture che si nutrono di categorie e di valori del tutto diversi dai suoi ritenendo che i propriabbiano una portata universale; l’appropriazione dellerisorse altrui;il dominio militare, etc.); dal cardinale Ruini che pretende di imporre a fondamentodella politica e della legislazione dello Stato italianoildogmatismo moraledegliambienti curiali neppurecondiviso da tutti.

Ma non sono solo i “religiosi” a lavorare in questa direzione. In loro soccorso muovono gli “atei devoti” ,di cui in Italia abbiamo noti esponenti comePera e Ferrara, artefici di un’operazione smaccatamente reazionaria, che, non essendo in grado disupportare il potere delle destre con una cultura che non riesce a fare egemonia, invocano l’ausiliodel sacro traducendolo in una sorta di religione civile.

Vi è però un’altra prospettiva cui tendere per usciredalla crisi, una prospettiva laica ed alta: “ enuclearegli esiti negativi della modernità, rinnovaree rilanciarequellipositivi per ridare un’anima al mondo. Un’anima non nel senso di entità trascendente, ma di riscoperta del senso della vita che non può essere ridotta a merce cui attribuire unvalore di scambio,di recupero del senso del limite di fronte all’ignoto che non può essere violato senza cautele,di comprensionedella complessità del mondo e della natura di cui anche la specie umana è parte,di valorizzazione della ricchezzadeivincoli di interdipendenzacheleganotutte lecomponenti del creato, di ritrovamentodel valore della personae delrispetto che le è dovuto, di riconoscimento dellalibertàcome difesa inviolabile dell’essere umano controqualsiasi forma di onnipotenza.

 

La laicità ci interpella

L’uscita dalla crisi della modernità ci riguarda direttamente e a doppio titolo. Come cittadini siamo chiamati ed interessati a difendere la laicità delle istituzioni come garanzia di una convivenza sociale libera e rispettosa delle diversità e delle specificità di tutti/e. Come chi si è posto alla sua sequela in una ricerca di fede, siamo impegnati a incarnare i valori della laicità appresi dall’esempio di Gesù di Nazareth.

La prospettiva di una società multietnica, multiculturale e multireligiosa dà carattere di urgenza al nostro impegno sotto ambedue questi profili.

Nino Lisi

Roma, 30.10.2006

 

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