Enzo Mazzi

L’epicheia

la Repubblica - Firenze, 28 gennaio 2008

 

E’ inquietante questa rigidità e durezza della Curia vescovile fiorentina che nega il matrimonio a Sandra Alvino a causa del fatto che in sede canonica non è riconosciuta l’eterosessualità della coppia, sancita invece dallo stato civile.

E’ incomprensibile per chi orienta la propria vita senza fare riferimento alla fede religiosa ed è inaccettabile per chi fa riferimento al Vangelo. “Il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato”: questa fondamentale affermazione del Vangelo vale anche anzi a maggior ragione per il Diritto Canonico e vale per le stesse regole “naturali” che l’ordinamento ecclesiastico ritiene di interpretare. Chi ha redatto il testo canonico dimostra di averne tenuto conto almeno in parte. Tant’è vero che proprio il Diritto canonico prevede stati di necessità nei quali le regole sono sospese. “In caso di necessità – è scritto nell’Indice analitico del Testo ufficiale del Nuovo Codice di Diritto Canonico a pag.1056 – si può assistere al matrimonio di determinate persone senza la licenza richiesta all’Ordinario”. E il canone 1116 recita: “Se non si può avere o andare senza grave impedimento dall’assistente competente a norma del diritto, coloro che intendono celebrare il vero matrimonio possono contrarlo validamente e lecitamente alla presenza dei soli testimoni”. Le autorità diocesane vogliono essere più rigide e impietose del Diritto? E sia, anche se ritengo che non costituisca un buon servizio al Vangelo e alla Chiesa e soprattutto ai diretti interessati e alla società. Ma in tale situazione Sandra Alvino e Fortunato Talotta possono invocare lo stato di necessità. Si amano, sono regolarmente sposati civilmente da 25 anni e vorrebbero dare al loro matrimonio il carattere di sacramento, ma cozzano contro la rigidezza di una interpretazione dogmatica, la quale però è in discussione nell’ambito teologico e pastorale. Fra un anno, fra due, fra dieci può darsi che le autorità modifichino la rigidità di tale interpretazione. Nel frattempo essi possono celebrare validamente e lecitamente il loro matrimonio sacramentale in presenza dell’intera comunità delle Piagge, forse escludendo don Alessandro Santoro, anch’egli costretto dallo stato di necessità a sottrarsi.

E’ un marchingegno macchinoso? Ma la morale cattolica è piena di questi spunti di flessibilità. Li chiamano “epicheia”, parola greca che significa cedevolezza e quindi equità, mitezza. Sant’Alfonso, autorità normativa nel campo della morale cattolica, accentua notevolmente l’assimilazione dell’epicheia a causa scusante della trasgressione di una norma. Infatti, dedica all’epicheia un intero capitolo in cui enumera le tante cause che possono consentire la trasgressione.

Un mio stimato e competente insegnante di teologia morale citava sempre una massima che ci tranquillizzava di fronte alla paura del peccato e della dannazione: “Chi conosce le regole dell’epicheia evita il peccato”.

C’è poi una specie di epicheia suprema che va oltre tutte le gabbie morali: è l’amore. “Ama e fai quel che vuoi” diceva Sant’Agostino. La sacralità dei riti, sacramenti e norme talvolta può essere di ostacolo al dispiegarsi dell’amore.

Mi copro le spalle citando un grande teologo fiorentino, padre Ernesto Balducci: “Io sono convinto che la fine del sacro è la fine della cultura della guerra e che non ci può essere cultura di pace se non con la eliminazione del sacro”. Lo disse in un importante convegno sul “sacro” nel Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio, nel 1987. E aggiunse: “Quando è avvenuto l'inserimento delle comunità cristiane negli spazi del potere c'è stata la sacralizzazione della Chiesa. E' cominciata l'avventura della fede dentro le categorie del sacro….Ovunque si afferma lo spazio sacro ivi c'è l'interdizione dell'uomo di inserirsi con l'azione o con la ragione. Ove c'è il sacro ivi c'è la frattura. La sacralità esterna è la proiezione di una frattura interna, di una mancanza di autonomia”.

L’amore di Sandra e Fortunato è sacro dall’intimo. Riconoscerlo è compito delle relazioni comunitarie che essi stabiliscono, prima e più che dell’autorità.

 

 

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