Un’altra Colombia è possibile? Riflessione sulla Pasqua di sangue contro i diritti umani

 

A Santander de Quilichao, Norte del Cauca, c’è la radio Payumat, una radio nata il 12 maggio del 2002, come espressione delle esperienze, dei progetti del popolo Nasa, uno strumento a servizio del Plan de vida, come sottolineano le compagne e i compagni che ci accolgono giovedì 28 febbraio verso le 18.30 nella sala dove c’è unadiscreta strumentazione per una radio che copreun’area di 100 kilometrie una sala di proiezioni video.

Stasera inizia il ciclo di incontri, aperti alla cittadinanza, su temi di impegno socio-politico, di lotte per la difesa dell’ambiente. Vengono proiettati alla presenza di una cinquantina di persone due DVD : uno narra la lotta vincente chele Comunità indigene dell’EcuadorKichwa di Sarayacu hanno fatto per quasi un decennio contro l’istallazione delle compagnie petrolifere nel loro territorio,l’altro la marcia di 120 chilometri del popolo indigeno Nasada Santander de Quilichao a Calì nel settembre del 2004 per rivendicare dignità e uguaglianza.

Dopo la visione, il dibattito viene aperto da Carmen Carvajal, una donna di 35 anni, una maestra, non di etniaNasa,che insegna in unascuola elementare multietnica; le sue sono parole appassionate e infuocate contro la politica del governo colombiano che definisce un intreccio di poteri più o meno oscuri, una connection di paramilitari e di narcotrafficanti che con il potere delle radio e delle televisioni impedisce a tanta parte del popolo colombiano di capire la situazione nella quale vivono milioni di colombiane/i, soprattutto di comunità indigene. Chiude il suo intervento richiamando la prossima marcia del 6 marzo : marcia in solidarietà per le vittime del paramilitarismo e dei crimini di Stato organizzata   da  varie organizzazioni sociali tra le quali  il Movimento delle Vittime dei Crimini di Stato, la Confederazione Unitaria dei Lavoratori  (CUT)  e l’organizzazione Nazionale dei Popoli Indigeni (ONIC).  

Carmen non ha potuto vivere quella straordinaria giornata: il giorno prima è stata assassinata con tre colpi alla testa da due incappucciati. Purtroppo il suo è stato l’inizio di una serie di assassini: il giorno della marcia è stato assassinato da un gruppo di paramilitari Leonidas Gòmez un dirigente sindacale dei bancari di Bogotà; a Medellin altri paramilitari ammazzavano Giraldo Gòmez, maestro e sindacalista, uno degli organizzatori della manifestazione; è toccato poi a Carlo Burbano, anche lui sindacalista, indefesso nel denunciare a San Vicente del Caguan le violenze e le intimidazioni provenienti da organi dello Stato. A questi nei giorni 9 e 10 marzo si sono aggiunti due consiglieri comunali: David Padilla, di 18 anni, e Elser Maria Endo. Ma chi c’è a capo di questa brutale ripresa della repressione omicida?

Nientedimeno che il consigliere del presidente Uribe Obdulio Gaviria ( cugino di Pablo Escobar e con 2 fratelli narcos ) , collegato ad un rinato gruppo paramilitare che si è dato il nome sinistro di Aquile nere. E’ questo filibustiere che sta dietro le Aquile nere che hanno minacciato quanti hanno dato vita il 6 marzo alla più grande manifestazione che ci sia stata in Colombia negli ultimi decenni, accusandoli di collusione con le Farc.

Ma di questi omicidi eseguiti con la complicità del potere politico e militare chi ne ha parlato in Italia, in Europa?

Ritornato dalla missione in Colombia il 5 marzo, a Genova ho visto appeso sulla facciata principale di Palazzo Ducale, icona plastica del potere, dove nel 2001 si è celebrato il Summit degli 8 prepotenti del mondo, un grande striscione con la scritta,supportata da foto, “LiberiamoIngrid Betancour”. Messaggio parziale che può diventare anchemistificatorio, perché può far credere che il problema urgente in Colombia sia soltanto la liberazione di Ingrid Bétancourt ( e perché non di tutti i sequestrati che sono nelle mani delle Farc ? ) . In verità,come era scritto sulle magliette confezionate dagli organizzatori della marcia tenutasiil 6 marzo a Bogotà il tema centrale ed ineliminabileè :rendere giustizia ai 4 milioni di desplazados, alle migliaia di desaparecidos e asesinados, di victimas, frutto di una politica governativa alleata ai terratenientes con le loroorganizzazioni paramilitari,alle multinazionali con le loro bande criminali,ai narcotrafficanticoperti da settori militari consistenti, ai tanti che languono nelle prigioni colombiane solo perché sospettati di essere fiancheggiatori della guerriglia.

Ma in Colombia, questa è la percezione che ho avuto dopo due missioni compiute,sono in atto processi di consapevolezza e di autodeterminazione in significativi settori della società civile, soprattutto dei popoli indigeni, in grado di incidere positivamente e di dare una svolta sociale e politica adun paese dominato da una oligarchia cinica e reazionaria: il sangue degli ultimi martiri sarà seme fecondo per un’altra Colombia possibile.

Peppino Coscione

 

 

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