Peppino Coscione

Non date a Cesare quello che è di Dio

Adista n. 67/2008

Anno A - 19 ottobre 2008 - XXIX Domenica del Tempo Ordinario - Is 45,1.4 6 - Sal 95 - 1Ts 1,1 5 - Mt 22, 15 21

 

In quel giorno, in piazza san Pietro un gruppo di persone timorate di Dio che avevano però interiorizzato una cultura quanto meno xenofoba, si è avvicinato ad un monsignore molto addentro nei palazzi del Vaticano e del Parlamento italiano e gli hanno posto la seguente domanda: "Monsignore, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio con sincerità e non ti curi delle reazioni di nessuno, perché tu non guardi in faccia agli uomini. Dicci pertanto quel che pensi: "È lecito obbedire ad una legge di stato che dichiara reato l'immigrazione clandestina?"

Il monsignore con prontezza ha risposto: "È evidente che l'immigrazione clandestina è un reato; la Chiesa (cattolica, s'intende!) non difende l'immigrazione clandestina come fenomeno in sé, semmai difende le persone che una volta che sono sul territorio hanno dei diritti. Non si possono ributtare in mare, occorre dare loro un sostegno".

Ecco, come il monsignore ha creduto di attualizzare il "rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio": a Cesare il riconoscimento di fare una legge non solo disumana e antievangelica ma anche contro la Dichiarazione universale dei diritti dell'Uomo di cui si celebrano i 100 anni nei paesi europei, a Dio, ovvero a coloro che si ritengono suoi ( spesso anche unici ) legittimi rappresentanti, il compito pietoso di andare a visitare questi dannati della terra nei Cpt o Cie o nelle carceri che riempiono per circa il 40%, luoghi dove non c'è ombra di diritti ma soltanto il trascorrere di notti rese pesanti dall'angoscia di essere riportati con forza nei loro paesi.

Si sa che il monsignore, e con lui tante persone che dicono di essere alla sequela di Gesù, è lesto a gettare i sassi contro coloro che sostengono che la 194 sia una buona legge, contro coloro che difendono il diritto di scegliere nell'autonomia della coscienza la qualità della propria vita e della propria morte, contro coloro che sostengono che non sia né reato né peccato l'assunzione della pillola anticoncezionale e via dicendo, ma non ritiene né necessario né opportuno togliere il macigno di una legge di stato che è oggettivamente contro la dignità delle persone che diventano clandestini perché tali li rende una legislazione nazionale ed europea intenta soltanto a difendere il benessere dei più ricchi e dei più forti, un benessere che spesso ha le sue radici nello sfruttamento delle risorse di quei paesi da cui vengono i cosiddetti clandestini.

Ortensio da Spinetoli nel suo commento al brano evangelico offertoci dalla liturgia di questa domenica dice che " gli equivoci che l'affermazione di Gesù ha creato e può creare sono vari"; infatti nella storia delle chiese cristiane si è andato da una interpretazione integralista se non fondamentalista che assegnava ai rappresentanti dell'istituzione ecclesiastica il potere supremo sui corpi e sulle anime delle persone a quella che assegnava al potere religioso il controllo delle anime e al potere politico quello dei corpi , con la conseguenza di un pressoché totale conformismo.

Ma ciò che per secoli non è stata messa in discussione è la natura sacrale del potere sia "spirituale" che "corporale"; e ciò ha portato alla svalutazione del vero significato dell'affermazione di Gesù che da una parte puntava a desacralizzare ogni potere che si ponesse al di sopra della coscienza e della dignità della persona la cui sovranità appartiene soltanto a Dio e dall'altra mirava a valorizzare il potere soltanto come potere di servizio: "Come voi sapete, i capi dei popoli comandano come duri padroni; le persone potenti fanno sentire con forza il peso della loro autorità. Ma tra voi non deve essere così! Anzi, se uno tra voi vuole essere grande, si faccia servitore degli altri. Se uno vuole essere il primo, si faccia servo degli altri. Perché anche il Figlio dell'uomo è venuto non per farsi servire, ma per servire e per dare la sua vita come riscatto per la liberazione degli uomini" (Mt. 20, 25-28)

La risposta data dal monsignore alla domanda insidiosa sembra molto lontana dallo stile di Gesù che si è impegnato con la parola e l'azione a cambiare le relazioni di disuguaglianza, di ingiustizia esistenti tra le persone e tra i gruppi sociali del suo tempo e dei territori che egli attraversava con ricorrente rischio della vita, lo stile di un profeta itinerante che s'appellava a Jahvé come al Dio dell'amore verso il forestiero e il nemico (le due figure che leggi inique e cinica propaganda mediatica vogliono far coincidere) e che pertanto non avrebbe mai dichiarato colpevole di reato una persona migrante, forestiera per quanto non ossequiosa, consapevole o no, dell'iniqua legge promulgata nel paese di arrivo.

"Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio" non può costituire per chi predica la sequela di Gesù l'alibi per non scomodare un potere che, come ieri a Esaù, offre oggi il piatto di lenticchie a chi si dimostra disponibile a rinunciare alla dimensione profetica dell'annuncio evangelico. Che il Signore ci aiuti a leggere i segni dei tempi per non diventare gli Esaù della situazione.

 

 

[torna indietro]