Peppino Coscione

"Venga il tuo Regno"

Adista n.49/2007

 

Anno C 29 luglio 2007 XVII Domenica del Tempo Ordinario

Gen 18,20-21.23-32 - Sal 137 - Col 2,12-14 - Lc 11,1-13

 

Confesso che per molti anni questi versetti mi hanno sconcertato, non riuscendo io a liberarmi dal peso di un certo intellettualismo che mi portavo e forse mi porto ancora dietro, come precipitato biografico.

Se è Dio che dona tutto e lo dimostra proprio donando anche a coloro che non gli chiedono nulla, come si legge in Isaia 65,1 : "Il Signore disse: ero pronto a rispondere, ma nessuno mi ha chiesto nulla. Mi sono fatto trovare da chi non mi cercava. Ho annunziato: vengo a salvarvi, a gente che non mi invocava", perché pregare, bussare e insistere tanto nelle richieste?

Risposte non mancavano: gemito della creatura oppressa, sapienza del mendicante; espressioni - come sostenevano e sostengono alcuni commentatori - che riflettono una mentalità religiosa arretrata e prescientifica, l'educazione a pregare recitando formule lontane dal contesto vitale delle persone e della comunità, l'accettazione fuori e dentro i luoghi di culto di un pregare ai limiti della superstizione.

Ma il ritorno ai salmi che occupa il primo posto tra i Ketubim, "Gli Scritti", l'accostamento ai salmi dei Sufi, agli Inni a Zarathustra, ai brani filosofico‑religiosi altamente poetici delle Upanishad mi hanno restituito a poco a poco il senso e la ricchezza anche di questo brano evangelico, hanno fatto riemergere quanto mi era rimasto sommerso.

Ho sperimentato come si fa preghiera la storia di una persona, di una comunità che vive la Presenza nelle modalità della sua esistenza concreta, con le sue passioni, le sue gioie, i suoi bisogni, i suoi desideri, le sue grida di angoscia e di disperazione, con la sua sete di giustizia ma anche con la sua autonomia, libertà e responsabilità.

Pregare ha ricominciato a significare entrare in sintonia con la Parola, ad esprimere la propria fiducia nell'opera amorosa di Dio che, padre e madre, amico e amica, non teme di essere importunato da chi invoca aiuto, da chi ne fa le lodi, ne canta le benedizioni, ne celebra le meraviglie ma anche, come Giobbe, lo affronta a muso duro, discutendo animatamente.

Come dice Ortensio da Spinetoli, Dio non presta ascolto per togliersi d'attorno un seccatore ma perché è un vero amico dell'uomo, sempre fedele, mai scoraggiato dalle sue infedeltà.

Questa familiarità con Dio non si chiude nell'intimità del proprio cuore, si allarga alla familiarità con tutte le persone, anzi con tutti gli esseri viventi, con tutto il creato, nel quale preghiamo affinché si attui il piano di salvezza, si manifesti la sua sovranità liberatrice e vivificatrice: "Venga il tuo regno". Come ci si può accostare alla preghiera senza prendere le distanze dalla logica di chi opprime e senza fare prima nella vita una scelta fondamentale di solidarietà e di giustizia nei confronti di coloro che bussano alla nostra porta dorata, alla nostra mensa imbandita? Come possiamo far finta di non sentire le urla disperate di chi grida: "Dacci oggi il nostro pane quotidiano"?

Non ci resta che pregare e lottare per non soccombere al demone della pigrizia, della viltà, del conformismo, dello scoraggiamento di fronte allo svanire, forse apparente, di ogni segnale di cambiamento, per essere compagni e compagne di Dio nella sua opera liberatrice.

Tutto il brano evangelico del resto è una rielaborazione attualizzante della sofferta esperienza di relazione d'amore tra Dio e il suo popolo, una ricapitolazione di una lunga e drammatica storia biblica, di cui Gesù, le prime comunità cristiane e noi siamo debitori.

 

 

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