CdB di Pinerolo

HO SCRITTO AL VESCOVO...

  • La parola del vescovo:

...chiedendo al Signore il dono di vocazioni perchè le nostre comunità abbiano sempre il dono di chi le guida con la predicazione e la grazia dei sacramenti. Tutte le Diocesi del Piemonte stanno attraversando un periodo di sofferenza. Oggi i seminari sono deserti. Si moltiplicano gli studi sociologici su questo fenomeno. Le risposte vanno ricercate all’interno della nostra cultura secolarizzata, dove alcuni valori – come la gratuità e la totalità del dono della vita senza scadenza di tempo – non entrano più nel progetto di una persona. E’ necessario rieducare, formare; pregare con insistenza. Non è un lavoro facile. Occorrerebbe avere alleata la famiglia. Ma è proprio questa la grande ammalata” (L’Eco del Chisone 25.6.08, pag 6)


  • La mia lettera (in data 30.6.08):

Caro Pier Giorgio Debernardi, vescovo di Pinerolo,

ho letto e riletto la Sua “parola” a pag. 6 de L’Eco del Chisone del 25 giugno scorso e sono certo che mi perdonerà se oso entrare in dialogo con Lei. Forse anche altri e altre vorranno dire la loro parola...

Vede, io ho passato undici anni della mia vita in seminario, con molta convinzione e, negli ultimi anni, qualche dubbio. Il primo era legato alla quantità di cose che dovevo studiare (filosofia sistematica, dogmatica, morale...) senza condividerle tutte; alle mie domande di senso qualcuno rispondeva: “Studia anche se non condividi tutto: ti eserciti comunque al sacrificio”. Il secondo dubbio è stato alimentato dalla risposta che il rettore mi diede un giorno, quando chiesi di invitare i nostri coetanei “di fuori” a raccontarci le loro speranze, i loro dubbi, le loro difficoltà: “Noi non abbiamo nulla da imparare dagli altri; noi dobbiamo insegnare!”. Era lo stesso rettore che, quando sono andato a comunicargli la mia decisione di lasciare il seminario, mi ha detto soltanto “Lo sapevo...” e ha ripreso a leggere il breviario. Neanche un “ciao”... figurarsi “auguri!”; men che meno “raccontami com’è maturata questa scelta”... Lui sapeva!

Lei scrive che “oggi i seminari sono deserti” e sembra conoscerne le ragioni: la “nostra cultura secolarizzata” e la “grande malata: la famiglia”. Non entro nel merito; non ne ho la competenza e, d’altronde, “si moltiplicano gli studi sociologici su questo fenomeno”. Mi limito a una domanda: quale impatto ha avuto, secondo Lei, sulla “nostra cultura” e sulla “famiglia” la formazione seminariale delle ultime generazioni di preti? Non posso non pensare a Drewermann, prete teologo psicoterapeuta, che ha abbandonato la chiesa cattolica...

Leggo molte riflessioni sui cambiamenti della “famiglia”, che penso non esista più in “quella” forma, specialmente da quando le donne hanno scelto di vivere libere, non più sottomesse agli uomini, mariti e parroci in primis. Penso alle donne che migliaia di preti costringono a relazioni clandestine... ai bambini e adolescenti vittime di abusi sessuali da parte di preti che non sono “maturati” come uomini... Penso alle suore che in Africa sono usate come schiave sessuali da preti che vogliono così evitare i contagi da HIV... Dice che sono eccezioni? Lo so, non sarebbe il solo a parlarne così: lo leggo ogni tanto sui documenti che pubblica Adista.

Parliamo allora della ricchezza, a cui la gerarchia cattolica (e molti singoli preti) è visibilmente attaccata. Strumenti utili per la pastorale, dicono... Già! Ma siete sempre in prima fila tra le “autorità” e le autorità troppo spesso sono rappresentative della parte ricca della popolazione, quella che, secondo Gesù (Mt 19), difficilmente entrerà nel regno dei cieli. Quanto poco sento predicare questa pagina del Vangelo!

Lei invita giustamente a pregare perché “le nostre comunità” abbiano sempre qualcuno che le “guidi” con la predicazione e con la grazia dei sacramenti. Torniamo così ai dubbi che mi hanno portato a lasciare il seminario: chi predica e amministra i sacramenti è colui che “sa e non deve ascoltare”, perché rischierebbe di rendersi conto che la comunità umana cambia e, spesso, chi ha la ventura di capirlo va in crisi. Quanti preti hanno lasciato o sono stati buttati fuori!... Perché, secondo Lei, chi sa leggere questi drammi dovrebbe correre gli stessi rischi? Io penso che l’unico voto davvero irrinunciabile, per la gerarchia, sia quello di “obbedienza”, in nome del quale ogni prete dovrebbe sacrificare la propria personale libertà. Ecco perché avrei dovuto studiare a memoria anche quello che non condividevo! Per esercitarmi al sacrificio della mia libertà.

Ma c’è un dato consolante, a cui conviene guardare con attenzione e speranza: le comunità non sono solo quelle parrocchiali; donne e uomini hanno sempre meno bisogno di “guide” che assicurino loro, con riti e formule magiche, la vita eterna nell’aldilà. Dalle donne del femminismo e delle teologie femministe ho imparato a pensare al Regno di Dio come al regno dell’amore, della giustizia e della condivisione nella quotidianità dell’aldiqua. Ma queste guide, le donne, non sono contemplate nella dottrina cattolica... Che i seminari, allora, restino vuoti e uomini e donne imparino a fare comunità riconoscendo e rispettando la loro parzialità, che condividono con tutto il creato! Non abbiamo bisogno di preti, ma di uomini e donne consapevoli e responsabili. Consapevoli che “la gratuità e la totalità del dono della vita senza scadenza di tempo”, come scrive bene Lei, non sono “valori da preti”. L’invito a lasciare “case o fratelli o sorelle o padre o madre o figli o campi” (Mt 19,29) non è rivolto da un vescovo a futuri preti, ma da Gesù, che prete non era, a discepoli e discepole che avevano “solo” il dono della speranza in un mondo migliore, esattamente come ogni uomo e ogni donna che vengono al mondo oggi. Questo è un cambiamento di consapevolezza a cui sarebbe conveniente prestare più attenzione. Glielo dico con grande fiducia, perché potrebbe sempre succedere quello che finora non è successo: ad esempio, che Lei decida di accogliere l’invito ad incontrarsi con la nostra comunità di base e non solo con il prete.

La saluto con affetto e La ringrazio per l’attenzione.

Beppe Pavan

 

(Finora il vescovo non mi ha dato segno di averla ricevuta. L’Eco del Chisone non l’ha pubblicata. Pazienza...)

 

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