CdB di Pinerolo

Sulla vita comunitaria...

 

Se il tuo fratello commette una colpa, va' e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello;  se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all'assemblea; e se non ascolterà neanche l'assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano. In verità vi dico: tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo. In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro».
(Matteo 18, 15-20).

 

Il brano è una parte del discorso sulla vita comunitaria che Matteo propone nel capitolo 18.  Matteo redige il suo vangelo verso l’80 o il 90  in Siria, forse ad Antiochia, quando le prime comunità dei seguaci di Gesù stanno sperimentando la vita in comune e si stanno confrontando con i problemi interni ad ogni gruppo:  persone che sono di scandalo per la fede altrui, lotte per il potere e divisioni tra i fratelli, discriminazione per i poveri.  Sappiamo dalle lettere di Paolo che questi problemi sono ben presenti nelle comunità primitive.

Matteo riferisce le parole di Gesù inserendole in un contesto di ammonimenti e indicazioni per la comunità siriana, istruzioni su come debba essere la convivenza in un gruppo di persone che si impegnano a vivere secondo l’annuncio della “buona novella” quali testimoni credibili del Regno.

Gesù non ha mai pensato di fondare una religione, nemmeno una setta all’interno dell’ebraismo, non ha mai nemmeno pensato a come gestire una comunità nè di doverne stabilire delle regole.  Il suo messaggio era molto semplice e assolutamente al di fuori di schemi:  “Non giudicate, e non sarete giudicati; non condannate, e non sarete condannati; perdonate, e vi sarà perdonato (Luca 6,37).  Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio di tuo fratello, mentre non scorgi la trave che è nell'occhio tuo? (Luca 6,41 e Matteo 7,3).

Ma le prime comunità cristiane affrontano con difficoltà l’interpretazione del messaggio del Regno nella vita complessa del mondo giudaico sotto il dominio romano e a contatto e confronto con la cultura greca. Hanno una carica dirompente, sono appassionate ma, come ognuno di noi, devono fare i conti con la fragilità umana, con il verificarsi di situazioni nuove con cui confrontare il messaggio di Gesù.

Matteo in questo brano traccia alcune norme semplici e concrete per indicare come procedere in caso di conflitto in comunità, sul modello della prassi disciplinare giudaica, ispirata, a sua volta, ai testi biblici  (Dt 19,15;  Lv 19, 17;  Ez  33, 1-12).

Dice: se un fratello o una sorella ha un comportamento in conflitto con la vita della comunità deve essere ammonito in privato cercando di capire i motivi del suo agire. Se non c’è nessun risultato, due o tre persone della comunità devono intervenire e solo dopo l’insuccesso di questo secondo passo il problema sarà portato in assemblea (ekklesia).  Se il fratello o la sorella non ascolterà neanche l’assemblea dovrà essere considerato come un pagano o un pubblicano, il che equivale all’esclusione dalla comunità. Infatti all'israelita era proibito trattare con tali persone.

“.. tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo”. “Legare” significa infatti "proibire", e "sciogliere" equivale a "permettere", dichiarare lecito o no un comportamento o una certa dottrina. Era la legge che vigeva nella sinagoga e che la comunità di Matteo sente di dover far propria” (Ortensio da Spinetoli:  Adista , n 57, 2008)

Ma la norma va interpretata  alla luce del messaggio di Gesù che ancora una volta va oltre i dettami della Legge.  Gesù mangiava con i peccatori e i pubblicani: “ Mentre Gesù era a tavola in casa di Matteo, molti pubblicani e «peccatori» vennero e si misero a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. I farisei, veduto ciò, dicevano ai suoi discepoli: «Perché il vostro maestro mangia con i pubblicani e con i peccatori?» Ma Gesù, avendoli uditi, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati”. (Mt 9, 10-12).

Riguardo ai pagani, Gesù guarisce  il servo del centurione romano (Mt 8, 10 -13) e soggiunge “ …e io vi dico che molti verranno da Oriente e da Occidente e si metteranno a tavola con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, ma i figli del regno saranno gettati nelle tenebre di fuori”. (Mt  8:12), e guarisce la figlia della donna Cananea (Mt 15, 21-28)

Quindi l’interpretazione da dare alla norma descritta da Matteo si discosta completamente dallo spirito rabbinico. Non appartenere alla comunità, essere considerati pagani o pubblicani non vuol dire essere giudicati con disprezzo e rigettati: chi non condivide i principi e non si adegua alla vita del gruppo automaticamente si autoesclude.

In realtà il discorso sulla convivenza comunitaria che interessa tutto il capitolo  è più complesso. Ci sono due aspetti:  da un lato c’è la chiarificazione dello spirito che deve reggere la comunità e dall’altro la sollecitudine per la gestione della vita del gruppo.

Nella comunità, regno di Dio qui e ora, nessuno è più “grande” di un altro, bisogna essere capaci di essere come bambini e i bambini, cioè gli ultimi,  devono essere al centro dell’attenzione (Mt 18 1-5). Ci possono essere scandali e occorre evitarli (Mt 18 6-9), ma chi si smarrisce deve essere rispettato e amato con lo stesso amore del pastore per la pecorella smarrita (Mt 18 12-14) con la consapevolezza di essere fratelli e che il Padre ama tutti, buoni e peccatori, poveri o ricchi, israeliti e pagani. 

Per favorire la riconciliazione viene proposta l’accoglienza di chi è in difficoltà, cercando di comprenderne i problemi e di aprire un dialogo.  Se l’assemblea prenderà atto che non è possibile un accordo allora la persona non avrà più la responsabilità di testimoniare con la propria vita e comportamento il messaggio di Gesù, essendo questa la caratteristica specifica dei componenti della comunità, in questo senso ne sarà fuori.

Un grande aiuto viene dalla preghiera comunitaria  “…dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”.  Pregare insieme è ribadire che la vita del gruppo si regge sull’insegnamento di Gesù, che le sue parole sono vive e presenti nel cuore di tutti. Il momento della preghiera è il riconoscimento della condizione di fratelli uniti di fronte al Padre.

Il capitolo si chiude con la dichiarazione della necessità  del  perdono reciproco    “Allora Pietro si avvicinò e gli disse: «Signore, quante volte perdonerò mio fratello se pecca contro di me? Fino a sette volte?». E Gesù a lui: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette (Mt 18 21-22).

Credo che molti problemi sarebbero più facilmente risolti se fosse chiaro che, oggi come allora, la comunità cristiana, cioè il regno di Dio qui su questa terra, ha il dovere di acclamare e testimoniare il vangelo, ma chi si autoesclude dalla comunità ha il diritto di cercare e seguire la propria verità e di essere amato da tutti i fratelli come è amato dal Padre.  La comunità ha il diritto di proclamare le verità in cui crede, ma ciò non può comportare il rogo per chi cerca altre strade.

Le chiese che si ispirano al messaggio di Gesù, la chiesa cattolica, quelle  protestanti e quella ortodossa, dopo quasi 2000 anni, sono diventate movimenti mondiali e necessariamente si sono date regole rigide di funzionamento e strutture gerarchiche. Forse solo così la “buona novella” è potuta arrivare fino a noi, ma si è passati attraverso la connivenza con il potere politico, attraverso l’inquisizione e le guerre religiose, attraverso  l’evangelizzazione colonialista, travisando il centro del messaggio evangelico.

Le comunità cristiane e la speranza del Regno tuttavia si sono mantenute  sempre vive grazie alla presenza, nei secoli,  di “profeti” che hanno denunciato gli errori e tenuto alto il messaggio dell’amore e della non violenza;  penso a Francesco, a Gandhi, a madre Teresa, ai movimenti pacifisti, a tutti coloro che non si arrendono e si battono per la giustizia, che si sentono parte di un mondo di uguali e di fratelli. L’invito  ad essere profeti è rivolto ad ognuno di noi.

“Il profeta è cantore di speranza e annunciatore di gioia. Egli è partecipe della gioia del suo popolo: sa guardare oltre le nubi dense del presente e volgere lo sguardo verso un futuro aperto, pieno di possibilità, non imprigionato in un destino! Ma il profeta non è un parolaio, un cianciatore di mestiere, uno che lancia parole come fiamme a cuor leggero. Nella Bibbia il profeta è, prima di tutto, uno che ascolta e interiorizza, che vive e pratica personalmente la Parola di Dio, che si impegna a praticare il sentiero della giustizia e della coerenza.

Il profeta, solo dopo che ha "mangiato" (Ezechiele 2) il rotolo, cioè ha accolto nelle sue viscere il messaggio, può aprire la bocca... Ecco il tragitto necessario: dalla vita, dall'impegno vissuto alla parola. Il percorso profetico esige questo tragitto anche per ciascuno di noi”.

Vilma Gabutti

 

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