CdB di Pinerolo

Beati gli ultimi…

«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa, il quale, sul far del giorno, uscì a prendere a giornata degli uomini per lavorare la sua vigna. Si accordò con i lavoratori per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscì di nuovo verso l'ora terza, ne vide altri che se ne stavano sulla piazza disoccupati, e disse loro: "Andate anche voi nella vigna e vi darò quello che sarà giusto". Ed essi andarono. Poi, uscito ancora verso la sesta e la nona ora, fece lo stesso. Uscito verso l'undicesima, ne trovò degli altri in piazza e disse loro: "Perché ve ne state qui tutto il giorno inoperosi?" Essi gli dissero: "Perché nessuno ci ha presi a giornata". Egli disse loro: "Andate anche voi nella vigna". Fattosi sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: "Chiama i lavoratori e dà loro la paga, cominciando dagli ultimi fino ai primi". Allora vennero quelli dell'undicesima ora e ricevettero un denaro ciascuno.Venuti i primi, pensavano di ricevere di più; ma ebbero anch'essi un denaro per ciascuno. Perciò, nel riceverlo, mormoravano contro il padrone di casa dicendo: "Questi ultimi hanno fatto un'ora sola e tu li hai trattati come noi che abbiamo sopportato il peso della giornata e sofferto il caldo". Ma egli, rispondendo a uno di loro, disse: "Amico, non ti faccio alcun torto; non ti sei accordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare a quest'ultimo quanto a te. Non mi è lecito fare del mio ciò che voglio? O vedi tu di mal occhio che io sia buono?" Così gli ultimi saranno primi e i primi ultimi»
(Matteo 20, 1-16).


Il brano evangelico che la liturgia oggi ci propone è molto noto, ma, come spesso capita, rischia di essere letto con i nostri occhi "giustamente" condizionati dal modo di relazionarsi oggi sul posto di lavoro e da una serie di conquiste sindacali che erano impensabili nella Palestina di Gesù.

Tuttavia il brano presenta elementi di giustizia che oggi purtroppo sono stati, a mio avviso volutamente, dimenticati. Lo stesso stare sulla piazza per essere chiamati a lavorare non è una realtà molto diversa da oggi nelle zone ove il caporalato e lo sfruttamento, specialmente di stranieri, regolano il lavoro in molte regioni italiane.

Breve analisi del testo

Mi piace immaginare come questo proprietario terriero, forse abbastanza agiato, esce di casa di buona mattino per prendere a giornata degli operai a ore successive a lavorare nella sua vigna, probabilmente per la vendemmia: alle sei del mattino, alle nove (ora terza), a mezzogiorno, e alle tre del pomeriggio (ora sesta e nona), infine alle cinque di sera (ora undicesima).

Lo stile narrativo di Matteo è sempre molto conciso, ma non per questo meno efficace: ciò che entra in conto è solo il periodo dell’ingaggio e il versamento del salario alla fine della giornata.

In questa prima parte, l’accenno è posto sulla rettitudine delle operazioni. Il prezzo è negoziato, un denaro d’argento al giorno era una buona paga per quel tempo; a quelli che sono ingaggiati più tardi il proprietario della vigna promette “quello che è giusto”, ciò che crea un aspetto di suspence: che cosa è un salario giusto se le prestazioni degli operai sono di durata diseguale? Notiamo solo che gli operai nelle ore successive non stanno “oziosi” per loro negligenza, ma perché nessuno li ha ancora ingaggiati. Qui finisce la prima parte del racconto dal vers. 1 al vers. 7.

I restanti versetti dal 8 alla fine narrano il pagamento del salario. “Venuta la sera” (la giornata lavorativa era di 12 ore)è il momento di dare la paga secondo il diritto veterotestamentario (Lv 19, 13; Dt 24,15).

Anche in questo caso il proprietario si comporta in maniera corretta. Per il pagamento si segue l’ordine inverso che è indispensabile all’economia del racconto. Negli operai della prima ora si crea infatti l’attesa di “ricevere di più” (e, forse, anche noi con loro).

Tutta l’attesa della parabola produce questo effetto e noi lettori ragioniamo esattamente come gli operai della prima ora: se “quello che è giusto” per gli operai dell’ultima ora, è un denaro al giorno, non sarebbe giusto che i primi ricevano di più? “E invece ricevettero anch’essi un denaro ciascuno” (v. 10): questo è il vertice della parabola, con un capovolgimento totale dell’aspettativa.

E il racconto continua con il dialogo tra il padrone e gli operai. I primi cominciano a mormorare; quanto è vicino a noi questo mormorio, questa lamentela. Credo che in questi versetti non vi sia, secondo molti commentatori, un’intenzione antifarisaica, ma piuttosto un avvertimento perché questo atteggiamento può esprimersi all’interno della comunità, anche delle prime comunità. D’altra parte il gesto del padrone rompe la proporzionalità tra ricompensa e opera compiuta.

E il padrone, rivolgendosi  ad uno di loro, con un tono di amichevole "rimprovero", ricorda anzitutto di non avergli fatto alcun torto, di avergli dato il “suo”, quello che gli spettava e che avevano insieme pattuito: la giustizia, dunque, è rispettata.

Ma il padrone afferma, al tempo stesso la propria libertà di fare delle sue cose cio che vuole: questa libertà è insindacabile, nessuno ha il diritto di imporre al padrone che cosa spetti agli altri!

“Oppure il tuo occhio è cattivo perché io sono buono?” (vers. 15). L’occhio cattivo è quello geloso dei beni propri o invidioso di quelli altrui, ed è questo il vero problema degli operai della prima ora: rifiutare che altri divengano partecipi dei loro stessi beni, della loro stessa eredità. Ma notiamo l’affermazione finale sulla bontà di Dio, si sta ancora parlando di ciò che è buono, si sta ancora parlando di Lui.

E noi dove siamo…

Credo che l’analisi della parabola che abbiamo condiviso ci aiuti già a capire il messaggio profondo che è in queste parole. Desidero però aggiungere alcune piccole riflessione che sento sgorgare dal cuore.

La tentazione di sentirsi operai della prima ora è grande, noi nati in Europa ed in Italia dalle “radici cristiane”, magari in una bella famiglia del nord, osservante…

E invece il padrone della vigna, Dio, dice semplicemente che gli ultimi saranno i primi e gli ultimi saranno i primi…

Viene spontaneo pensare… ma che razza di giustizia è questa: in fondo sono un buon cristiano, che da l’8 per mille alla chiesa, che va a messa… Desidero solo essere un poco considerato, andare in prima fila quando c’è la possibilità, di avere qualche onore, qualche riconoscimento, essere ossequiato…

E invece Matteo mi dice tutto il contrario e mi ricorda che è Dio che chiama e può chiamare in molti modi, in ore diverse, con modalità e situazioni diverse.

Dobbiamo essere semplicemente disponibili, essere lieti se uomini e donne come noi scoprono Dio e il Suo amore e soprattutto che l’Amore, quello vero, trionfi nel mondo senza tanti certificati di battesimo o di matrimonio…

Termino queste poche note riportando alcuni pensieri di Augusto Cavadi che su ADISTA (n. 60 del 6/9/2008)  commenta il brano di Matteo: “E qui si annuncia la possibilità inaudita che l’uomo, grazie ad una fede autentica possa vincere l’invidia e la gelosia causate dalla gratuità dell’unico Padre…

Allora non è che i “primi” vengono schiaffati da Dio all’ultimo posto, ma è la loro stessa condizione di “primi” a metterli a rischio di auto-esclusione: è la loro coscienza “troppo pulita”, il compiacimento eccessivo per i propri “meriti”, l’arroganza di chi si avverte moralmente privilegiato che li induce a rattristarsi perché Dio è comprensivo e a nutrire per i salvati dell’ultima ora sentimenti negativi.

E’ insomma il loro privilegio iniziale a covare, dentro se stesso, il rischio di capovolgersi in rivolta autolesionistica. Beati gli ultimi perché non conosceranno la tentazione di rivendicare il monopolio della primogenitura!”

Buona domenica  a tutti e tutte.

Memo Sales

 

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