La legge e i profeti

 

C'era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell'inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura. Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi. E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento. Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno. Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi» (Luca 16, 19-31).

 

Questa è la sola parabola raccontata da Gesù in cui sono presenti dei nomi propri di persona: Lazzaro e Abraamo. Gli studiosi definiscono questa parabola a "doppia punta": infatti i vv. 19-26 hanno un punto focale, i vv. 27-31 ne hanno un altro. Il racconto, nella narrazione lucana, è rivolto ai farisei: non solo per l'argomento ricchezza e povertà, ma anche per quello della giustificazione della loro posizione sulla base della Legge e dei profeti. Luca ha ripreso un racconto popolare ben noto e lo ha sviluppato in polemica con le varie istanze rispetto ad una interpretazione corretta della Scrittura.

La prima parte della parabola (vv.19-25) è un racconto che si ritrova in molte culture del tempo: alcuni studiosi rintracciano la sua origine in Egitto, dove i racconti di morti e di messaggi portati da morti sono abbondantemente testimoniati. La parabola riflette credenze popolari sull'aldilà e sulla condizione dei morti. Il racconto in Luca è di orientamento giudaico, adatto non solo per la prospettiva del ricco e di Lazzaro, ma anche per il rovesciamento delle loro fortune. Questo rovesciamento escatologico delle fortune è un dato centrale nella comprensione lucana dell'avvento finale del Regno di Dio.

Non si tratta di un racconto di cronaca, bensì di un episodio estremizzato che ha lo scopo di far riflettere chi ascolta, di "punzecchiare" l'uditorio colpendolo sul vivo; si tratta di una parabola scomoda, come spesso è scomodo per noi il confronto con la radicalità che Gesù ci pone di fronte invitandoci a scegliere fra Dio e Mammona. Possedere ricchezze, privilegio di pochi dominatori ed oligarchie locali, voleva dire, allora come oggi, detenere il potere politico ed essere in stretti rapporti con i governati che distribuivano cariche ed onori. L'evangelista istituisce una lotta, un aut-aut tra l'evangelo e il denaro. Si tratta di un fatto teologale ancor prima che di una scelta etica. In Luca la lotta di Gesù non è contro i farisei, ma contro la ricchezza che tende a soppiantare Dio, a diventare il dio sui cui fondare la propria esistenza e speranza. Il tempo del Messia è il tempo della scelta: tra Dio e il denaro.

La parabola si apre con una descrizione carica di contrasto: da una parte un ricco, ricchissimo che "vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente"; dall'altra un povero che non solo manca del necessario ma non ha neppure la salute. Per l'uomo ricco, la vita è un banchetto quotidiano e la sua opulenza ed abbondanza si riversa sulla sua persona. Niente di lui fa minimamente pensare al bisogno. Non si accorge neppure che vi sono altri che non possono godere delle sue stesse opportunità e ricchezze. Il povero, vestito di stracci, malato, affamato, coperto di piaghe, vive degli avanzi della mensa del ricco contendendoli ai cani randagi...

Muoiono tutti e due, ma soltanto il ricco viene sepolto (v. 22). Adesso i loro ruoli sono invertiti, scambiati in maniera irreversibile. Lazzaro è un ospite onorato seduto accanto ad Abraamo, mentre il ricco giace tra le fiamme ed i tormenti. Sedere al fianco di Abraamo nel banchetto eterno era ed è il massimo onore per un israelita. Questo posto tocca ad un povero. Non si dice che il ricco fosse malvagio né che il povero fosse giusto; nella parabola vengono descritte due condizioni di vita estreme: ricchezza e povertà. La parabola non dà spazio alle sfumature: contrappone "chi ha" a "chi non ha". Tuttavia l'evangelo non "canonizza" i poveri, non dice che sono buoni o migliori di altri, ma che Dio li ha scelti, non li ha abbandonati.

"Il ritratto del ricco è stato così tratteggiato dall’evangelista per adattarsi ai farisei dinanzi ai quali viene messo. Qualunque conferma e sostegno il ricco e i farisei abbiano trovato nella Scrittura per il loro amore delle ricchezze, è un fatto che la situazione presentata nella parabola è una flagrante violazione di quella stessa Scrittura: dovunque uno mangia e un altro no, là non esiste il Regno, qualunque versetto biblico si possa citare".

Nei vv. 27-32, assistiamo ad una presa di coscienza da parte dell’uomo ricco che chiede di poter far pervenire un messaggio ai suoi cinque fratelli per far sì che almeno loro, ravvedendosi, possano evitare il tormento delle fiamme nell’aldilà. La risposta di Abraamo è senza appello: prima segna una distanza ("tra noi e voi è stabilito un grande abisso"), poi ricorda che esistono la Legge e i profeti e che se questi non vengono ascoltati non servirebbe a nulla mandare altri testimoni. A questi uomini vengono donate ogni giorno delle opportunità, ma, se essi non vogliono vederle, neanche un fatto straordinario come l’incontro con qualcuno che risorge dai morti potrà smuoverli. Non siamo tuttavia di fronte ad una descrizione di come avverrà il giudizio ma piuttosto siamo testimoni di un pressante invito al ravvedimento, alla conversione, all'urgenza di far entrare nel nostro cuore "la legge e i profeti".

“Non solo le parole di Abraamo sono vere in linea di principio, che cioè le Scritture sono sufficienti per la fede e per una vita vissuta secondo la volontà di Dio, ma esse sono anche storicamente vere nella visione di Luca: il rifiuto del Cristo risorto ha la sua radice nell'incomprensione del vero significato della Legge e dei profeti. Secondo Luca, non è soltanto nell'argomento della ricchezza e della povertà che Gesù, e non i farisei, interpreta correttamente la Scrittura; Luca è stato molto attento a far vedere, dai racconti dell'infanzia in poi, che quel che Gesù dice e opera è secondo le Scritture. Più avanti, Luca farà notare che il Cristo risorto insegnerà ai suoi discepoli a comprendere Mosè, i profeti e gli scritti. Luca non attenua le tensioni con il giudaismo, come molti predicatori dopo di lui hanno fatto, parlando semplicemente dell'Antico Testamento come superato dal Nuovo Testamento. Gesù e la chiesa vivevano in quella tradizione e operarono per un'interpretazione di quella tradizione che apriva la strada alla pienezza del regno di Dio. Il significato della Scrittura e la volontà di Dio riguardo ai beni materiali, alla ricchezza e alla povertà costituiva un argomento vitale nel dibattito fra Gesù e alcuni dei farisei. Il dibattito continua, ma ora si pone fra Gesù e alcuni dei suoi seguaci” (Fred B. Craddock, Luca, Claudiana, pag. 254).

La parabola evidenzia anche come la ricchezza renda ciechi al punto da non vedere e da non farsi toccare il cuore dalla condizione del povero. La ricchezza può rendere schiavi: l’uomo immerso nella sua bella vita, sazio e indifferente, non vedeva altro intorno a sè e certamente non poteva aver compassione per il povero che sostava alla sua porta, sperando in un gesto di carità. Indipendentemente dalla sua condizione morale, il povero viene in questa narrazione fatto sedere al fianco di Abraamo, in una posizione di grande privilegio; il ricco invece viene allontanato oltre il "grande abisso". La ricchezza è un ostacolo che si frappone nel cammino verso il Regno dei cieli: il nostro cuore può ammalarsi di ricchezza; un ostacolo che non può essere semplicemente aggirato. Nella Bibbia lo sfarzo, il lusso, i grandi palazzi sono, non a caso, associati all'idolatria: farci sedurre dall'avere ci fa dimenticare il nostro essere creature e ci induce nella tentazione di essere simili a Dio.

I due personaggi della parabola sono agli antipodi: uno ha tutto ciò che vuole, mentre l'altro ha solo il desiderio delle briciole del primo. In essa possiamo anche leggere il crescente divario cui assistiamo oggi tra pochi ricchi che diventano sempre più ricchi e la moltitudine di persone povere che vedono peggiorare sempre più la loro situazione. Le risorse a disposizione sono limitate, scarse, e se c'è chi dispone di molto, giocoforza ci deve essere chi ha meno del necessario.

Queste righe ci interpellano in prima persona: quanto siamo attenti alle privazioni ed alle sofferenze altrui? Ora che certamente non ci manca il necessario, che la nostra tavola è fin troppo imbandita, siamo sempre così attenti alle sofferenze che ci circondano? Sappiamo vedere i tanti "Lazzaro" sulla soglia di casa? Oppure, a volte, cerchiamo di non vedere chi è nelle privazioni e nella sofferenza, per paura di sentirci in colpa e di rovinarci l’appetito? Certo, spesso ci indignamo per le ingiustizie, diamo qualche spicciolo in beneficenza ma nel frattempo ci assicuriamo che la porta di casa sia ben chiusa e la nostra tranquillità tutelata.

Tuttavia l'immagine della parabola è netta: le “fiamme” attendono chi non vede la sofferenza e non si impegna per il suo superamento, chi trascorre l'esistenza tra agi e ricchezze senza condividerle. Nessuno ci chiede di spogliarci di tutto, del denaro, del lavoro, della casa, della salute, ecc. Dio vuole la felicità per ogni creatura, non chiede il martirio! Come riportato al versetto 31, nessun miracolo o atto straordinario può convertirci. Solo l'ascolto della Parola, solo il confronto con i profeti e le profetesse che la annunciano e la sperimentano nelle loro vite e nella quotidianità di oggi possono cambiare la nostra esistenza.

Tra ricchezza e la strada di Gesù esiste un'opposizione radicale. La "pratica del Regno di Dio" e la pratica dell'accumulo sono inconciliabili: occorre scegliere. Non è tuttavia semplice mettere insieme radicalità evangelica e realismo quotidiano senza semplificare troppo i problemi e rischiare di cadere in un ideale di povertà romantica che poi non ha agganci con la realtà. D'altra parte è comunque difficile conciliare l'esigenza di aiutare chi si trova nel bisogno senza ricadere nello stile della pura e semplice beneficenza ed elemosina cercando invece di far nascere attraverso le nostre azioni una reale condivisione.

La conversione è un cammino lungo e faticoso perché chiama in causa il cuore, ci chiede di imparare ad aprire gli occhi per vedere e poi ci impone di agire a partire dalla nostra vita. Vedere la sofferenza, riconoscerla, indignarsi per la sua esistenza ci impedisce di esserne indifferenti. Occorre mettersi in gioco con i nostri limiti e paure, con entusiasmo, a partire dal nostro piccolo, senza farci bloccare dall'immensità del cammino che bisogna ancora compiere per costruire un mondo più equo, di pace e di rispetto.

L'ascolto della legge e dei profeti, il tentativo di calare nella vita di tutti i giorni il loro sogno di giustizia è incompatibile con la ricchezza. Oggi "la legge e i profeti" sono soppiantati dalla legge dei più forti e dai profeti dell'economia delle nazioni ricche. Il loro modello di sviluppo viene esportato e imposto in tutto il mondo e spacciato come progresso. Le contraddizioni di questo sistema si fanno sentire ovunque con sempre maggior urgenza. L'abisso tra coloro che si vestono di porpora e di bisso e quelli di cui solo i cani hanno pietà diventa drammaticamente insuperabile e le contraddizioni non bussano più alla porta di casa, la sfondano.

Non si può sottomettere con la violenza e rendere ciechi di odio interi popoli e poi pretendere che usino le regole della tolleranza e della democrazia occidentali, regole che neanche in occidente spesso vengono messe in pratica. Le guerre non le vince il più giusto, le vince il più forte e la violenza genera violenza.

In questo tempo è importante non cedere alla seduzione della violenza, della ricchezza sempre vincente. Ora più che mai è necessario ritornare all’insegnamento della Legge e dei profeti, alle parole di Gesù di Nazareth, orientarsi ad una fattiva e quotidiana costruzione del Regno, alla preghiera che ci aiuta ad avere un cuore libero dall'odio. I passi sulla via della pace nascono dal dialogo e dall'ascolto reciproco, dalla conversione, dal cambiamento di stile di vita.

Paolo Sales della comunità di Pinerolo

 

 

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