Cdb Di San Paolo

Gruppo Roma Sud-Est

 

Domenica 20 gennaio 2008

Il giorno seguente, Giovanni vide Gesù che veniva verso di lui e disse: «Ecco l'Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo! Questi è colui del quale dicevo: "Dopo di me viene un uomo che mi ha preceduto, perché egli era prima di me". Io non lo conoscevo; ma appunto perché egli sia manifestato a Israele, io sono venuto a battezzare in acqua». Giovanni rese testimonianza, dicendo: «Ho visto lo Spirito scendere dal cielo come una colomba e fermarsi su di lui. Io non lo conoscevo, ma colui che mi ha mandato a battezzare con acqua, mi ha detto: "Colui sul quale vedrai lo Spirito scendere e fermarsi, è quello che battezza con lo Spirito Santo". E io ho veduto e ho attestato che questi è il Figlio di Dio». (Giovanni 1, 29-34)

 


Il peccato

A partire dal Vangelo di oggi, nel gruppo abbiamo fatto una riflessione in po’ inconsueta su un argomento di cui non si parla molto in comunità: abbiamo riflettuto sul peccato, su come il concetto di peccato sia andato cambiando nel tempo, ci siamo chiesti cosa sia per noi oggi. E’ stato un po’ difficile, ma ci abbiamo provato.

Il discorso sul peccato è senz’altro centrale nella predicazione di Giovanni prima e di Gesù poi. Entrambi si sentivano investiti dalla stessa missione: liberare gli uomini e le donne dalla schiavitù del peccato.

Diverso era il loro immaginario di Dio: un Dio giudice severo, che incute timore, per Giovanni, un Dio misericordioso e festaiolo per Gesù, che non sta lì a pesare, a misurare i peccati, perché ogni misura perde significato, diventa ridicola di fronte alla sua smisurata grazia, alla sua smisurata voglia di accogliere chi ha sbagliato.

“Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha” – diceva Giovanni a coloro che gli chiedevano cosa significasse liberarsi dal peccato e cambiare vita. Il peccato quindi per Giovanni è la non condivisione, è trarre vantaggio dalla propria posizione di privilegio per umiliare gli altri (è questo il senso delle parole che rivolge ai soldati e agli esattori delle tasse).

Poi nel tempo i peccati sono diventati tanti ed hanno riguardato sfere diverse. Li abbiamo persino classificati in peccati veniali e mortali. Molti peccati, sicuramente i tanti che riguardano la sfera sessuale, sono lo strumento che la gerarchia ecclesiastica ha usato e usa per controllare le coscienze, strumento essenziale per mantenere il potere.

Questo ha portato almeno a due conseguenze negative.

La prima è evidente: ha portato sofferenza ad intere generazioni. Vittime soprattutto le donne. A mia madre veniva negata l’assoluzione perché, con una condizione precaria di salute e quattro figli, non voleva averne altri. Lei non oserebbe nemmeno pensarlo, ma si meriterebbe un Papa, capace un giorno di chiederle perdono.

Questo è il peccato più grande della nostra chiesa, quello di cui parlava Giovanni: ha utilizzato la sua posizione di privilegio per umiliare e creare sofferenza.

Poi noi ci siamo andati liberando da tutto questo e abbiamo ridicolizzato tanti peccati. Ma qui c’è la seconda conseguenza negativa.

Il modo più efficace per non far rispettare i divieti stradali è quello di mettere divieti sbagliati: un limite di velocità a 10 km/h, se ingiustificato, non solo non viene rispettato, ma ha anche l’effetto negativo di togliere valore a tutti gli altri divieti.

Così la proliferazione dei peccati ha tolto peso al peccato, ci ha scippato la possibilità di una riflessione seria su questo tema, che possa dire qualcosa agli uomini e alle donne del nostro tempo.

Nel gruppo ci siamo chiesti: cos’è il peccato per noi? Qual è il confine tra peccato collettivo e peccato individuale?

Siamo ripartiti dal Vangelo: il peccato è la non condivisione. Ma condivisione e non condivisione di cosa?

Ci è sembrata più facile la condivisione di beni materiali. Come esempio possiamo pensare alle tante iniziative sostenute dalla comunità. Certo questo non mette mai in discussione il nostro livello di vita: diamo solo il di più. Ma anche nel posizionare la soglia del di più si può essere più o meno generosi.

Più difficile è la condivisione di altro. Abbiamo già parlato in altre occasioni della difficoltà di mettere a disposizione il proprio tempo. Estremamente difficile è condividere il dolore. E così mascheriamo queste difficoltà mettendo in ballo dati caratteriali, come la riservatezza, la paura di essere invadenti o la paura di essere di peso. E’ difficile mettere in comune le proprie debolezze e accettare di essere aiutati. E’ difficile condividere con gli altri il proprio pensiero, se è un pensiero frammentario, debole, non razionalizzato, non strutturato. Meglio in questi casi tenerselo per sé e non rischiare brutte figure.

In comunità la parola peccato non si sente spesso, ma ultimamente l’abbiamo sentita almeno in due occasioni. Nel gruppo giovani, in un incontro sul tema della decrescita, Marinella Correggia, scrittrice e collaboratrice del Manifesto, ha tirato fuori la parola peccato a propositodella pratica dello spreco nella nostra società. In un’altra occasione è stato Giovanni a parlare di peccato a proposito degli stipendi dei manager pubblici.

E questo ci ha portato ad una riflessione sul peccato collettivo e individuale: esiste un confine ben definito tra i due?

Primo Levi parlava di colpa collettiva del popolo tedesco, per non aver voluto sapere.

Abbiamo ricordato Etty Hillesum, ebrea, che, avendo avuto la possibilità di lasciare il campo di concentramento, ha scelto di rimanere, per condividere la sorte del suo popolo.

In Italia, interi pezzi di popolazione vivono sotto il controllo della mafia e della camorra e, tutto sommato, noi seguitiamo la nostra vita come se tutto questo non ci fosse.

Ma il peccato di cui parla il Vangelo è anche il peccato individuale. “Se dunque presenti la tua offerta sull'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare e va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono” (Matteo 5,23-24).

Come tentativo di risposta al peccato individuale, abbiamo pensato alla jahd, lo sforzo, la sfida con sé stessi per superare i propri limiti.

Le tante mancate occasioni di condivisione rendono qualche volta difficile il nostro appuntamento settimanale con il gesto, pure così bello, dello spezzare il pane. Però il Vangelo ci aiuta a non sentirci soli. Nelle parabole del Vangelo di Luca, la pecora smarrita, la moneta perduta e i due fratelli, Gesù interpella anche chi non si è smarrito. Insomma la palla non sta solo a noi, Gesù la lancia anche agli altri e il gioco è di nuovo di squadra.