COMUNITA' CRISTIANA DI BASE

S. PAOLO - ROMA

Gruppo Montesacro

 

ASSEMBLEA EUCARISTICA DEL 3 FEBBRAIO 2008

"Chi sei?"

Introduzione

 

Ci siamo interrogati, non senza inquietudine,

sulle nostre difficoltà di relazione

con le persone che percepiamo "diverse" da noi.

Come rapportarci con i familiari, gli amici, i compagni di lavoro

quando si verificano conflitti di carattere o di ruolo?

Come dialogare con i giovani?

Come e dove incontrare gli emigrati e i profughi

che vivono in baracche, case occupate e centri di accoglienza,

nella nostra città?

Quale interazione è possibile

tra persone che convivono in mondi paralleli,

dove non c'è uguaglianza di diritti e opportunità?

Siamo tutti d'accordo, in teoria, sul valore positivo della differenza

ma nella pratica di convivenza tradisuguali

sperimentiamo più il conflitto o l'indifferenza

che l'incontro o il riconoscimento reciproco.

Ci siamo riproposti, per esempio,

di cogliere le occasioni di incontro offerteci dai profughi

che frequentano la scuola di italiano nei locali della comunità.

Sono tutti richiedenti asilo politico,

alcuni hanno già ottenuto lo status di rifugiato,

altri sono in attesa della risposta,

altri ancora sono i cosiddetti "diniegati",

sono cioè coloro che hanno ricevuto il diniego

e devono subire l'espulsione o diventare presenze invisibili.

Se guardate il cartello verde appeso alla parete

ci sono alcune domande tradotte in amarico,

la lingua della maggior parte degli etiopi che frequentano la scuola.

Sono le domande che loro, stranieri, vorrebbero fare a noi, italiani.

CHI SEI?

CHE COSA FAI?

e altre ancora.

Alla prima domanda "CHI SEI?"

non sapremmo da che parte cominciare, per rispondere.

Anche se ci possono aiutare le coinvolgenti riflessioni

di Giovanni e dei giovani della comunità

scritte nel libro "Chi dite che io sia?".

Alla seconda "CHE COSA FAI?"

risponderemmo sicuramente "sono insegnante", "sono architetto", "sono ingegnere"

e via raccontando...

E noi? Non possiamo certo domandare a un richiedente asilo politico

"CHI SEI?"

Spesso la sua identità è motivo di rischio per lui ed è ovviamente diffidente.

E nemmeno "CHE COSA FAI?"

Perché, nell'attesa della concessione di asilo, ha il divieto di lavorare.

Per cominciare, probabilmente, domanderemmo

"COME TI CHIAMI?", "DI DOVE SEI?"

Salvo poi non riuscire a pronunciare il suo nome

o non sapere dove si trova il paese di provenienza.

Allora, che fare?

Come scrive Matteo, ragazzo di 13 anni, nel libro dei giovani della comunità,

"Il nostro modo di vivere ci porta a non vedere i bisogni degli altri

ma solo i nostri ... a diventare aridi."

Se facciamo un passo verso chi è già qui, vicino a noi,

l'incontro con l'altro ci spingerà

a trovare le parole e i gesti per comunicare,

ad aprire gli occhi e il cuore,

a cambiare il nostro punto di vista.

Aiutiamoci

affinché l'attenzione verso l'altro

non rimanga un fatto occasionale

ma diventi un primo passo

per cambiare il nostro modo di vivere.

 


Commento alle letture

 

Vorrei dire innanzitutto che, malgrado tante riunioni preparatorie, abbiamo rovesciato sulla comunità le contraddizioni che viviamo nel nostro gruppo, le nostre parzialità, le nostre diverse sensibilità. Accettate quindi come stimoli le molte letture che vi abbiamo proposto, come traccia di una ricerca tortuosa e non certo lineare.

E ricordiamo dapprima Nicoletta che non potrà più condividere, neppure nella prossima Pasqua o nel prossimo Natale, l’Eucarestia con noi.

A me spetta avviare il commento contestualizzando le letture che vi abbiamo proposto.

La prima è di un ragazzo profugo che frequenta la scuola di italiano nella nostra comunità e ci appare come una denuncia, un grido contro gli stereotipi e i luoghi comuni del perbenismo: ricorda nella sua orgogliosa dichiarazione un’altra risposta alla più odiosa delle domande, “di che razza sei?”: razza umana! Questo testo evoca la promessa che, attraverso il profeta Sofonia, il Signore fa al suo popolo: “Risparmierò in mezzo a te la gente umile e povera che cercherà rifugio in me”.

La seconda lettura è tratta da un romanzo del 2007 il cui tema è l’emigrazione o, meglio, l’emigrato diviso fra nostalgia e sopravvivenza, fra desiderio di integrazione e rabbia per una condizione di estraneità che rende asimmetriche e disuguali persino le percezioni fisiche delle luci di un profilo costiero.

E rendere visibili gli invisibili in questa società: appunto gli uomini e le donne senza permesso di soggiorno, gli operai di una fabbrica in dismissione a rischio non solo di lavoro ma della stessa vita, significa dar loro un nome e, attraverso questo, restituire loro identità e dignità. Per questo abbiamo evocato nella terza lettura del Vangelo di Giovanni, il tema del riconoscimento: solo quando Maria è riconosciuta da Gesù è in grado a sua volta di riconoscerlo: Rabbuni!

E questo stesso tema si dipana nella quarta lettura, quella del Vangelo di Marco che mi pare contenga implicita anche la richiesta sul chi siamo noi e mi viene in mente proprio l’invito diPaolo nella prima lettera ai cristiani di Corinto. “Guardate fra voi fratelli. Chi sono quelli che Dio ha chiamato? Vi sono forse tra voi, dal punto di vista umano, molti sapienti o molti potenti o molti personaggi importanti? No! Dio ha scelto quelli che gli uomini considerano ignoranti per coprire di vergogna i sapienti; ha scelto quelli che gli uomini considerano deboli per distruggere quelli che si considerano forti. Dio ha scelto quelli che nel mondo non hanno importanza e sono disprezzati o considerati come se non esistessero…”

Sono parole dure e attuali che ci interrogano, forse mettono proficuamente in discussione anche il nostro essere comunità.

Per questo abbiamo scelto come quinta lettura il Matteo dei benedetti nel giorno del giudizio e non quello delle beatitudini: per la concretezza dell’invito che sentiamo rivolto a ciascuno di noi. Ci sembra che queste parole non si prestino agli equivoci, alle interpretazioni dei biblisti raffinati, alle esegesi storicizzanti, alle divagazioni deresponsabilizzanti.

Vorrei quindi, in conclusione, che sapessimo riconoscere, proprio come Gesù ci ha insegnato, i segni di salvezza che ciascuno di noi è chiamato a compiere.