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Marcello Vigli

LA CHIESA CATTOLICA È “ISTITUZIONE”: NE HA TUTTI I VIZI

www.italialaica.it 4 settembre 2009

 

Le dimissioni di Dino Boffo e l’incontro a Roma di Bossi e Calderoli con il cardinale Bagnasco, sembrano destinate a chiudere il contenzioso fra le gerarchie vaticana e italiana con Berlusconi e la Lega, esploso con l’attacco di Feltri all’Avvenire, senza provocare gli  “strappi visibili e mutamenti di fondo” annunciati da Galli della Loggia (Corriere della Sera 30 agosto 2009).

Questi in verità si sono verificati sull’egemonia del suo amico Ruini sulla Chiesa italiana, ma sembra che la scaramuccia, scatenata dall’iniziativa di stampo mafioso del Giornale,  non si sia trasformata nella guerra che molti temevano o auspicavano.

Ci sono, però, nello scritto di Galli della Loggia due osservazioni su cui vale la pena riflettere. Dalla diatriba Feltri/Boffo risulterebbe delegittimato il riconoscimento dell’imprescindibile carattere istituzionale della Chiesa cattolica e  minata la convinzione, fin qui radicata nell’opinione pubblica, che tale assetto e le indispensabili risorse finanziarie per il suo funzionamento siano necessarie alla Chiesa per svolgere la sua missione. Sarebbe altresì messa in crisi la vecchia distinzione antagonistica “laici-cattolici”, da lui stesso sei mesi sullo stesso giornale descritta come opposizione di un “conformismo ghibellino” contro una presunta “onda guelfa”.

Se il carattere istituzionale è per la Chiesa elemento non necessario alla sua missione la conflittualità Stato Chiesa è da considerarsi tutta interna alla classe dominante: fra gerarchia cattolica e casta partitica, fra due settori cioè delle “pubbliche autorità”, l’uno e l’altro ugualmente attraversati da correnti interne disponibili ad alleanze opportunistiche e trasversali. I conflitti fra Santa Sede e  Cei, fra ruiniani e bertoniani s’intrecciano e si confondono con quelli fra governo e Parlamento, fra berlusconiani e casiniani,  fra leghisti e seguaci del nuovo vate del laicismo Gianfranco Fini. Di questo intreccio, fin qui pietosamente ignorato per la parte ecclesiastica, se ne discute ormai nei suoi molteplici aspetti sulla pagine dei giornali, nei telegiornali e gli sforzi congiunti degli apprendisti stregoni che l’hanno lasciata emergere non impediranno che sia aperta una fase di “mutamenti di fondo”.

Ne ha fatto cenno lo stesso Boffo nella lettera di dimissioni Perché devo vedere disegnate geografie ecclesiastiche che si fronteggerebbero addirittura all’ombra di questa mia piccola vicenda? L’ha lasciato intendere Ferrara sottolineando che questi ha lasciato l’Avvenire, la «Tv2000» e «Radio Inblu», ma ha mantenuto il suo posto nei Comitati che gestiscono l’Università cattolica e il Progetto culturale e i relativi finanziamenti provenienti dall’otto per mille, quasi ad adombrare una patteggiamento all’interno della Cei. Non si può trascurare l’immagine di confusione e di ambiguità offerta, soprattutto nella fase iniziale, dalle gerarchie ecclesiastiche. I distinguo, le ipocrisie, il senso di sbandamento e il cinismo, trasmessi da chi oltre Tevere ha dato l’impressione di utilizzare la vicenda per regolare vecchi e nuovi conti, sono apparsi a dir poco sconcertanti. Scrive oggi Massimo Franco sul Corriere della Sera.

Fra i fedeli cattolici non sarà più possibile per nessuno evitare di fare i conti con la realtà. La Chiesa, incarnata nella storia, è un intreccio inestricabile di istituzione e profezia e corre ogni giorno il rischio che le logiche della prima soffochino la voce della seconda. Degli “errori” che ne derivano non ci si può ricordare solo in riferimento a quelli del passato che perfino il papa ha, in parte, riconosciuto giungendo a pentirsi, anche se con immediata auto assoluzione. Molti di loro trascurano la responsabilità di esprimere con forza ad alta voce il loro dissenso da quei gestori dell’istituzione che ne fanno strumento di potere e  non servizio alla Parola. Pronti a combattere contro chi promuove ingiustizia e oppressione dei poveri, si sottraggono al dovere di contestare la gerarchia che di fatto sta dalla parte degli oppressori. Soprattutto quelli impegnati in politica, cioè a esercitare quella pubblica autorità che sola, in uno stato democratico, dovrebbe essere sovrana non sfuggono alla tentazione di esercitarla secondo le indicazioni della gerarchia. Ovviamente per essere liberi di farlo non devono neppure cercarne l’appoggio per la costruzione della propria fortuna politica.

Anche quanti fanno dell’impegno a contestare le ingerenze ecclesiastiche l’obiettivo primario della loro azione politica, devono forse convincersi che saranno sempre meno credibili se le isolano dal contesto e dalle connivenze che le rendono possibili anzi le sollecitano o, comunque, le considerano parte integrante del sistema di governo. Tanto meno lo saranno se pensano di assumere come compagni di strada i Padani pronti a usare la minaccia dell’abolizione dl Concordato come arma di ricatto politico, pronti a dialogare col Presidente della Cei, o fingono di non riconoscere nella conversione alla laicità di Fini una tappa del suo faticoso tentativo di costruirsi una nuova identità politica.

Il mutamento di fondo di cui parla Galli della Loggia sta forse proprio nella maturazione generalizzata della consapevolezza che la questione cattolica è sempre più diventata la questione della democrazia  nella quale il pluralismo delle culture e degli orientamenti è coessenziale. In essa non c’è spazio per una gerarchia che zittisce i cattolici in dissenso, o che addita al pubblico disprezzo i cittadini che coltivano “verità relative”, tanto meno per legislatori e governanti che barattano il perseguimento del bene comune con la ricerca del suo appoggio.

Non è certo quando e come finirà la fase iniziata con la crisi dell’Avvenire, ma è certo che si apre una nuova stagione per la laicità e per la sua concreta espressione, la lotta contro il  regime concordatario.