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Giancarla Codrignani

IL VANGELO CHE ABBIAMO RICEVUTO: IN VISTA DI NAPOLI

 

La lettura dei saggi comparsi su "Status Ecclesiae" mi hanno resa teologicamente più problematica. Cosa che, almeno in parte, non voglio: per quanto iscritta al coordinamento delle teologhe, i miei contributi non possono prescindere dalla prioritaria professionalità politica. Per questo mi rifaccio al documento originario per Napoli e alla denominazione evangelica.

Dunque noi - mi approprio indebitamente del pronome collettivo, nonostante la saltuaria partecipazione - non vogliamo essere un gruppo di pressione ecclesiale e tanto meno di contestazione; tuttavia, quando chiediamo che "non si spengano la libertà dei figli di Dio, il confronto sine ira, la comunione e lo scambio", che cosa intendiamo realmente? Perché stiamo dicendo, credo, che lo spegnimento quanto meno temuto ha una causa. Infatti, se non ci riteniamo "una chiesa a parte", è pur vero che siamo "senza voce" non perché afoni, ma perché sommersi da "voci dominanti". Ma proprio questo dominare, l'impedire la libera ricerca teologica, l'uso di un potere escludente costituiscono il peccato della Chiesa.

Lo scandalo della pedofilia ha responsabilità gravi a causa degli occultamenti consentiti dal Codice di diritto canonico, del mancato ricorso ai tribunali civili e ai risarcimenti delle vittime e della tradizionale reticenza a rinnovare la concezione educativa della sessualità, molto più - paradossalmente - che per i peccati in sé sul piano etico ed evangelico. Per stare al mondo profano, è come quando lo statista Clinton produsse scandalo non tanto per le sue private trasgressioni contra sextum, ma perché aveva mentito. Lungi da me qualunque ira, perfino nei confronti dei peccatori; ma l'indignazione nei confronti dell'autorità ecclesiastica sì, resta e propone la correzione, fraterna fin che si vuole, ma severa e pubblica (parrhesia).

Se, inoltre, come cittadini, siamo preoccupati per gli scenari antidemocratici e la strategia di stravolgimento della Costituzione e sentiamo che c'è un parallelismo con il "travisamento del Concilio", allora vuol dire che davvero tutti, anche la Chiesa, subiscono la transizione che il mondo da decenni ha avviato e di cui troppi hanno paura fino al punto di non ricorrere a misure preventive dei possibili guai. Possiamo, però, in quanto credenti, dire che il Vaticano II l'aveva capito e aveva messo in moto i meccanismi del riposizionamento delle strutture clericali.

Si può umanamente comprendere che la Chiesa abbia paura: i musulmani sono numericamente più dei cristiani; le chiese evangeliche e i pentecostali (per non parlare delle sette) approfittano del bisogno religioso della gente e sono in grande risveglio con ulteriori, equivoche frammentazioni; cresce una forma di fede senza appartenenza; mancano i parroci e molte chiese delle nostre città vengono concesse agli ortodossi e addirittura agli anglicani. Pensare che la reazione possa essere il ritorno di un qualche regime di cristianità è pura follia. Anche i più integrati dei sacerdoti quando usano il termine "praticanti" (numericamente il 28 % dei battezzati) non sanno più di quali pratiche costoro abbiano consapevolezza; a livello internazionale gli effetti degli scandali si fanno sentire pesantemente e perfino la questione italiana dei crocifissi nelle sedi giuridiche europee sembra poco propensa alla linea vaticana; la stampa, quando simpatizza con il Papa fin qui contestato, esprime più indulgenza che fiducia. Intanto - piaccia o no a Benedetto XVI - il relativismo è un dato di realtà, i sacramenti e le liturgie sono ancora un calco del Tridentino, mentre la sola riforma messa in campo è la messa in latino (che, poiché è alternativa e non sostitutiva, conferma l'ineluttabilità del relativismo). Intanto il mondo e la scienza procedono, incuranti dei divieti o delle approvazioni della Curia. Si può laicamente restare sorpresi dalla condanna della fecondazione assistita o dell'uso delle staminali, ma anche dall'approvazione convinta del "batterio di Venter" che, anche se non ha fatto concorrenza a Dio perché partito dall'esistente, di fatto è un batterio assolutamente nuovo: pensiamo che faccia qualche differenza se affidiamo questo genere di ricerca alla Sanità o alla Difesa?

Il fatto di vivere un'epoca galileiana non ci esime dalla responsabilità. Quando Giovanni XXIII decise il Concilio, ricorse ad un espediente per aggirare interventi curiali e riuscì a comunicarlo al mondo prima che al Vaticano. Lo Spirito ci assiste soprattutto se ne siamo convinti e, con tutti i sensi degli umani limiti, lo percepiamo come esigenza di verità e responsabilità.

Per questo percepisco nel nostro stesso linguaggio cautele implicite, come se non sentissimo il bisogno di riprendere un cammino aperto con grande coraggio da Giovanni XXIII, autore non solo del Concilio (che fu più di Paolo VI), ma anche delle grandi encicliche. In questa stagione, con gli scenari che si prospettano, in particolare nel nostro paese, il Vangelo che abbiamo ricevuto ci spinge ad alzare la voce mentre lo rileggiamo. In cerca di altri segni dei tempi.