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AL SIGNOR AL MANDA AL FRÈT DAÙR AL CAPÒT

don Nino Bearzot

Voce Isontina n.25 del 27.6.09

Doppia solennità sacerdotale oggi per la nostra Chiesa goriziana: tre nuovi sacerdoti, Federico Butkovic, Bruno Mollicone, Nadir Pigato, e tre giubilei: don Nino Bearzot, mons. Pietro Sambo, don Alberto De Nadai, che festeggiano i cinquantanni dalla loro Ordinazione ricevuta per le mani di mons. Giacinto Ambrosi, di venerata memoria. Nuove energie per il mistero dell'Ordine Sacro che si innestano nella nostra tradizione Aquileiese, tre sacerdoti che con sensibilità e modi diversi hanno lavorato per costruire il Regno. Tutti sotto l'ala protettrice del Curato d'Ars, il Patrono dei parroci. Ricordo che nel mio viaggio di nozze a Lourdes ed Ars, fu quest'ultimo paesino a colpirmi in modo particolare - la Madonna non è gelosa-. Soltanto anni dopo compresi perché quel santo Parroco mi avesse particolarmente colpito: perché era stato un uomo semplice, essenziale, diretto, senza fronzoli intellettuali, armato solo di grande fede. Forse è per questo che la mia giaculatoria preferita è sempre stata "Signore rendici semplici, siamo troppo complicati!"

Cos'è che riconosco con maggiore sicurezza dopo 50 anni, cosa posso dire a quanti mi chiedono conto di questa lunga esperienza? Solo questo: che veramente l'unica cosa certa della vita è che Dio ci ama. Il resto è tutta propaganda! E poi che nessuno può impadronirsi di Dio, che non bisogna mai fare tante previsioni perché il buon Dio ci vince tutti in fantasia. Ci accetta così come siamo ed ha bisogno di noi per trasmettere agli uomini la salvezza, cioè la gioia di vivere. Per la legge dell'incarnazione non può raggiungere i suoi figli, non può aiutarli se non trova chi gli presta la propria vita. Sono cose che tutti conosciamo. Ma la comprensione profonda di queste verità di fede e il viverle è tutta un'altra cosa

Dio ha bisogno di me per raggiungere i fratelli! Dio ha tanta fiducia, stima e considerazione di me da mettersi nelle mie mani! Sono riflessioni che fanno venire il capogiro. Quando poi ci si rende conto che alle volte non so quel che dico perché Dio mette in bocca quello che occorre, allora si va a rischio che ci assalga il timore come Giacobbe a Betel. Ma è proprio qui che si perviene a quella tranquillità che è frutto della Grazia. Noi facciamo la nostra parte senza sapere fin dove questa arriva.

Mi dicono che è dopo la luna di miele che si comincia a scoprire come sono veramente le persone. Anche per il sacerdote avviene così. Passato il primo momento della novità, comincia a scoprire come sono dentro le persone ed allora se ama - non nel senso di Nietzsche che tuttora inquina il mondo sostenendo che quel che si fa per amore è aldilà del bene e del male - se parte dalle persone che ama per orientare i propri comportamenti ed interventi, trova la strada per penetrare i cuori. Perché non risponde alle domande espresse con la bocca, ma alle richieste profonde che magari non riescono ad esprimere, a verbalizzare. Amare è vita, ed è anche un modo speciale, unico, per conoscere le persone. L'amore fa soffrire, piangere, ma sono sofferenze che affinano la sensibilità interiore. Il peccato è l'egoismo. Rimane però che è un verbo sempre difficile da coniugare nella vita, ma è fonte di gioia. Quando si ama si trasmette Dio, che appunto è amore e Lui solo può raggiungere le intimità più profonde e nascoste, dove noi non arriveremo mai, e con la Sua forza scardinare e risuscitare i cuori morti. Poter contemplare questo, che Dio ha bisogno proprio di me per suonare le campane di Pasqua negli animi distrutti, è un'esperienza che mette in crisi perché poi vivi nel timore di bloccare il passaggio della Grazia. E' un santo timore, certo. Se mi riempio di cose, Dio non può attraversarmi per andare agli altri. Ma se non si cresce nell'amore, sempre, si è dei falliti, anche come uomini. Ecco perché fare il prete è tutta questione d'ampiezza di cuore. Amare la povera gente, in particolare, non è mai facile, lo affermava ancora San Vincenzo secoli fa. Bisogna pregare molto alle volte per poterli amare un pochettino e quindi avvicinarli. Attenti però a non pregare troppo, si va a rischio che magari diventino simpatici.

Le tentazioni: guai se mancano. Possono essere subdole, l'armamentario del diavolo è sempre tecnicamente ben aggiornato, e senza Dio che ci fa da salvagente, si può andare a fondo. Ma è abbastanza semplice riconoscerle: sono quei pensieri che buttano giù; il buon Dio manda pensieri che tirano su, non che buttano giù.

Cosa può augurare un parroco di campagna ai tre nuovi confratelli in questo gioioso inizio dell'Anno Sacerdotale? Non dirò loro "Che il Signore vi accompagni", dubitare di questo è mancanza di fede. Affermare il contrario è una bestemmia. Auguro "Che abbiate sempre piena coscienza di vivere immersi nell'amore di Dio". Quindi mai paura. Il futuro è Qualcuno che ci aspetta.

Auguro loro di lavorare sempre mirando a costruire il Regno di Dio e la sua giustizia. Gesù ne parla più di centoventi volte, ed il Concilio lo mette al centro dell'attività della Chiesa. Questo implica di essere sempre pronti a scontrarsi quotidianamente con il male, contrastarne la violenza, pronti a pagare la dura lotta per la giustizia. Mettete in preventivo che potrete incontrare persecuzione, anche da sponde insospettabili, potrete imbattervi nella "noche oscura" di san Giovanni della Croce, ma alla fine lieti nel riconoscere "che tutto è grazia", come concludeva il curato di Bernanos. Dio non abbandona mai i suoi sacerdoti, siatene sempre certi. Con Lui l'entusiasmo non si spegne mai. Siamo in un difficile periodo di transizione. Bene. Ma se Dio ci ha voluti qui adesso, vuol dire che si fida di noi. Mia nonna mi ha insegnato che "Al Signor al manda al frèt daùr al capòt". Il Signore manda un freddo proporzionato al nostro il cappotto. Se dunque ci ha voluti qui oggi, tranquilli: è tutto su misura per noi. E poi, Dio non starà mica con l'opposizione?!

Infine: che la vostra vita sacerdotale possa essere un continuo canto, un Te Deum, fino al versetto finale: in Te Domine speravi. Allora dopo cinquant'anni vi sarà facile dire, meglio: constatare, "siamo servi inutili". Ma in quel momento vi sentirete inondati, sommersi dalla gioia serena - stavo per dire "orgogliosa"- della libertà dei figli di Dio. Potranno perseguitarvi quanto vogliono, "la vostra gioia nessuno ve la potrà rapire".

Cari confratelli: ad multos annos! Animo! La gioia di Dio è la nostra forza.