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LE PROPOSTE USA PER USCIRE DALLA CRISI

Domenica 3 Maggio 2009

(gruppo Elena, Gian Paolo, Giulia, Maria, Roberto, Sergio)

  

A) Letture bibliche

         Isaia:  3, 13-26; 4, 1; 10, 1-4.

 

B) I 100 giorni di Obama

Abbiamo ripreso da “Il Sole 24 Ore” una serie di giudizi (13) sui primi 100 giorni di Obama alla Casa Bianca espressi da studiosi di economia e di politica internazionale, giornalisti e uomini politici, raccolti da un sito online statunitense. Li riportiamo raggruppandoli in tre categorie: giudizi negativi, giudizi sospesi e giudizi positivi.

Cominciamo con i giudizi prevalentemente negativi. La principale critica a Obama riguarda il fatto che egli abbia abbandonato gli uomini e le donne che in varie parti del mondo stanno lottando per la difesa dei diritti umani e le libertà civili. In particolare sono preoccupati per la “mano tesa” che ha offerto al dittatore venezuelano Hugo Chavez, al Presidente nicaraguense Daniel Ortega, alla Cina, alla Russia e all’Iran. Non ha tenuto conto dell’impatto negativo che potrà avere su quelli individui coraggiosi che all’interno di questi Paesi lottano pacificamente per arrivare – o per tornare – alla democrazia. Questa critica è espressa anche da coloro che danno un giudizio globalmente positivo sull’operato di Obama. C’è anche chi, pur esprimendo un giudizio positivo per gli interventi sull’assistenza sanitaria e sulla difesa dell’ambiente dai cambiamenti climatici, critica gli interventi per il rilancio dell’economia considerandoli troppo limitati. Inoltre Obama non è riuscito a ottenere impegni economici importanti per il rilancio dell’economia da parte degli alleati europei nella  riunione del G 20. I salvataggi delle banche più importanti di Wall Street stanno  fallendo: le banche prestano ancora pochi soldi, truccano i conti e i dirigenti continuano a percepire emolumenti principeschi. Infine una nuova regolamentazione del settore è solo in preparazione e procede a rilento. Fra questi economisti critici c’è anche Robert Reich, che è stato ministro del lavoro della prima presidenza Clinton.

Coloro che sospendono il giudizio apprezzano l’abbandono da parte di Obama della febbre ideologica di Bush che nella lotta al terrorismo ha ottenuto risultati controproducenti ed ha adottato metodi caratterizzati da abusi. Apprezzano l’impegno di chiudere le prigioni di Guantanamo e di creare una commissione indipendente per indagare sull’uso della tortura. Hanno dubbi però su come procederà su questa strada. Apprezzano che Obama stia procedendo con pragmatismo nelle scelte politiche ed economiche, ma non sono certi che sia in grado di riportare gli Stati Uniti al ruolo di guida nello scenario internazionale. Questo richiederà non solo dialogo e realismo ma anche immaginazione storica e creatività.

I giudizi positivi riguardano vari aspetti della politica economica, sociale e internazionale. Obama riesce a tenere sotto controllo le rivalità dei membri della sua supersquada di governo. I suoi primi viaggi all’estero sono andati bene ed è stata data un’impronta nuova alla diplomazia americana: ha ripreso il dialogo con Venezuela, Cuba, Siria e Iran, alcuni dei cosiddetti “stati canaglia”, dove quasi un decennio d’isolamento e di sanzioni diplomatiche si sono rivelati controproducenti. Si è impegnato a rafforzare l’impegno USA in Afganistan e di ridurlo in Iraq. Sostiene il diritto dell’Ucraina e della Georgia di scegliersi i propri alleati. Riguardo la crisi economica ha evitato il diffondersi della paura ed ha sostenuto il mercato: ha tenuto insieme il paese senza lasciarsi andare al populismo, mantenendo un tasso alto di popolarità. Viene apprezzato il suo pragmatismo. 

 

C) Crisi economica e piano Geithner

  1)  La crisi economica esplosa nell’estate del 2007 si è manifestata nella seguente successione: crollo delle borse mondiali, crisi di liquidità delle banche ed arresto del credito, caduta della domanda negli Stati Uniti d’America, diminuzione della produzione a livello mondiale, aumento della disoccupazione in tutti i paesi con ulteriore effetto di diminuzione della domanda.

2)     Secondo l’interpretazione ufficiale e prevalente l’origine della crisi è di natura finanziaria (mercati borsistici ed attività bancaria), con ripercussione depressiva sull’economia reale (produzione di beni e servizi, livello di domanda, occupazione e via dicendo).

3)     Si sono tenute varie riunioni internazionali, l’ultima delle quali è stata il G20 di Londra ai primi di aprile. Le posizioni dei partecipanti non erano omogenee e l’incontro si è concluso con generiche enunciazioni di principio – come l’impegno a rispettare il libero commercio e quindi a non praticare difese protezionistiche della propria produzione – e, con una nuova dotazione di 500 miliardi di dollari, rilanciando il Fondo monetario internazionale nel ruolo di sostegno alle economie nazionali in difficoltà. In linea generale, l’impostazione di fondo che ne è uscita ha posto l’obiettivo primario di salvare il sistema finanziario e creditizio, di liberarlo dalle sue passività, come condizione per rilanciare la crescita dell’economia nel suo complesso. In sostanza, la crisi è stata vista ed è vista come arresto momentaneo di un processo di crescita, che si tratta ora di rimettere in moto, eliminando i fattori di natura finanziaria e bancaria che, per cause circostanziali, lo hanno bloccato.

A mio parere si tratta di una interpretazione non corretta della crisi, che, al contrario, affonda le sue radici nella profonda disuguaglianza sociale che si è dispiegata in tutto il mondo in questi ultimi decenni. Per rimediare all’ovvia carenza di domanda dei beni e dei servizi prodotti che ne è derivata, si è provveduto con l’iperconsumo statunitense, artificialmente sostenuto dalla politica monetaria della Federal Reserve, che ha gonfiato tutte le bolle speculative, quella della borsa prima e successivamente quella immobiliare, e dal credito facile concesso in dimensioni di massa. Quando però il deficit di reddito rispetto al debito da rimborsare dei soggetti più a rischio ha raggiunto livelli tali da essere insostenibile, e gli impegni verso le banche hanno cominciato a non essere onorati, tutto il castello è crollato, compresi gli edifici speculativi dei “derivati” finanziari che vi erano stati costruiti sopra. In breve, è venuta alla luce quella che è la difficoltà strutturale dell’economia capitalistica, ossia la sua tendenza alla sovraproduzione.

4)     Siccome, come si è detto, l’idea prevalente è che sia stato il settore finanziario e creditizio a generare la crisi, con la conseguente paralisi del credito, il programma politico anche del governo Obama consiste nel liberare le banche dai “titoli tossici”, cioè dalle posizioni creditizie ormai svalutate, nel ripulirle come si usa dire, in modo che possano tranquillamente riprendere la loro funzione creditizia a favore di imprese e consumatori e rimettere così in moto il meccanismo economico del consumo, della produzione, dell’occupazione di mano d’opera. Il ritorno della crescita permette poi al governo di allargare gli introiti fiscali necessari per finanziare il programma sociale circa la sanità, la scuola, le ricerche sulle tecnologie verdi e così via.

5)     Il piano Geithner – cioè del ministro del Tesoro del governo Obama – si muove appunto su tali obiettivi. L’operazione ha due facce:

a)     regolare il sistema finanziario e creditizio, I problemi infatti sono nati perché questo sistema, completamente liberalizzato e deregolamentato nel recente passato – in Usa a partire da Reagan fino a Clinton – ha conosciuto un grande sviluppo innovativo, con la creazione di nuovi prodotti di alta ingegneria finanziaria e creditizia, al di fuori di qualsiasi cornice di regole. Occorre quindi regolamentarlo. Senza però tornare alla regolazione rigida degli anni Trenta introdotta da Roosevelt, perché essa bloccherebbe questa effervescenza creativa della finanza che va lasciata invece libera di svolgersi. Ciò perché il sistema finanziario americano è il migliore del mondo – dice Geithner – e soddisfa le esigenze economiche e sociali meglio di tutti. L’idea di fondo è che in una economia avanzata il settore finanziario e creditizio svolge il ruolo primario di locomotiva di tutto il sistema. Chiaramente perché nell’attuale fase storica la forma prevalente dell’accumulazione di capitale è quella finanziaria. In definitiva, la sfera finanziaria e creditizia va regolata ma non drasticamente. La formula è: le regole si devono adeguare alla finanza ma non la finanza alle regole;

b)     liberare le banche dai “titoli tossici”. Il meccanismo prevede la creazione di uno o più fondi di acquisto, costituiti da capitale privato (7,15%) e dallo Stato (7,15%), con la concessione di un prestito al fondo pari al rimanente 85,70% da parte della Fdic – agenzia governativa di garanzia dei depositi bancari. Questo fondo acquista perciò i “titoli tossici” ovviamente a prezzi tenuti artificialmente più alti del loro effettivo valore di mercato, allo scopo appunto di non far subire alle banche perdite patrimoniali eccessive, per salvarle e sostenerle quindi. Se, come alcuni analisti prevedono, il prezzo di realizzo di questi titoli sarà inferiore a quello di acquisto, su chi graverà la perdita che il fondo subisce? Il piano stabilisce che dal ricavato i privati e lo Stato riprendano il loro 7,15% versato. Quello che rimane, se rimane, verrà restituito alla Fdic, senza però che esista obbligo da parte dei proprietari del fondo di rimborsare tutto il prestito ricevuto, pari all’85,70%  del capitale impegnato nell’operazione. Se, al contrario, il prezzo di realizzo dei titoli sarà superiore al valore di acquisto, con un guadagno, il fondo restituirà alla Fdic tutto l’85,70% ottenuto a credito, mentre si terrà l’utile ripartendolo fra i due soggetti, i privati e lo Stato. Quest’ultima è l’ipotesi meno onerosa per le casse pubbliche, giacché in quella precedente la perdita grava sui contribuenti essendo la Fdic una agenzia governativa, i cui fondi sono quindi di provenienza statale. In sostanza si tratta di un sistema che privatizza i profitti, quando ci sono, e socializza le perdite. La speranza del governo Obama è che questi titoli siano meno tossici di quello che si ritiene e che un recupero delle quotazioni di borsa tiri verso l’alto anche i loro valori. Ovviamente, secondo l’idea strategica di base, questa operazione di rimessa in funzione del sistema finanziario e creditizio rappresenta la premessa indispensabile per il rilancio della crescita economica. Sarà poi questa crescita che fornirà le risorse per coprire l’enorme debito pubblico che si sta accumulando con tutti i salvataggi, passati e futuri.

Il successo economico è decisivo per il successo del governo Obama. La possibilità di tenere salda la eterogenea coalizione di interessi che lo ha eletto – da quelli finanziari e bancari che hanno in Summers e Geithner i loro esponenti di spicco nell’Amministrazione, ai sindacati, ai gruppi etnici, all’intellettualità liberal – dipende dall’esito di questa politica. Personalmente mi lascia perplessità notevoli, giacché non mi pare affronti la questione strutturale che non è finanziaria e bancaria ma che consiste nella contraddizione strutturale dell’economia capitalistica fra istanza accumulativa, che richiede più sfruttamento del lavoro e più disuguaglianza ed istanza realizzativa della produzione, che esige una distribuzione più egualitaria del reddito. Comunque fa parte della tradizione politica americana uno spiccato pragmatismo, come del resto fu anche quello di Roosevelt, ossia la capacità di correggersi strada facendo in base al variare dell’esperienza.