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COMUNITA' DELL'ISOLOTTO - FIRENZE

Incontro comunitario                                                                                                       Domenica 2 maggio 2010

 

"E il velo del Tempio si squarciò" (Marco)

“Liberare la città dal carcere non è per me un'utopia quanto restituire alla città i suoi problemi vitali” (Michelucci)

 

Venuto mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Alle tre Gesù gridò con voce forte: Eloì, Eloì, lemà sabactàni?, che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Alcuni dei presenti, udito ciò, dicevano: “Ecco, chiama Elia! ”. Uno corse a inzuppare di aceto una spugna e, postala su una canna, gli dava da bere, dicendo: “Aspettate, vediamo se viene Elia a toglierlo dalla croce”. Ma Gesù, dando un forte grido, spirò. Il velo del tempio si squarciò in due, dall’alto in basso. Allora il centurione che gli stava di fronte, vistolo spirare in quel modo, disse: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!”.        (Marco cap.15)

 

Spunti di riflessione:

 

(da “Comunità Isolotto Oltre i Confini”)

 

Un velo, nei tempi antichi, impediva di entrare nel "Sancta sanctorum", il recesso più intimo e inaccessibile del Tempio di Gerusalemme, il luogo della presenza divina. Poteva superare il velo solo il sommo sacerdote, una volta all'anno, ma dopo essersi adeguatamente purificato. Il velo separava il puro dall'impuro. E questa separazione suprema penetrava nella vita sociale. Il velo consentiva al "Sancta sanctorum", cioè allo spazio sacro, di imporre alla società il proprio ordine, assoluto, imprescindibile, indiscutibile. E l'ordine stava nella divisione appunto del popolo in base alle categorie di "puro/impuro". Erano ben dentro il recinto dei "puri" le caste dominanti: sacerdoti, leviti, dottori della legge, scribi, farisei. "Impuro" era invece il popolino nella sua maggioranza: poveri, lebbrosi, ciechi, storpi, peccatori, prostitute, puerpere e donne mestruate, e ancora altre categorie. Quando morì Gesù, il Vangelo riferisce che "il velo del Tempio si squarciò in due parti da cima a fondo". Nessuno può dire se la cosa sia accaduta davvero. Può anche essere che il velo sia rimasto lì dov'era e non si sia nemmeno accorto della morte di Gesù. Forse l'autore del Vangelo di Marco ha usato una metafora. Per lui, si era squarciato non il velo fisico del tempio di mura, ma il velo morale e sociale. Il nuovo Popolo di Dio era nato dalla dissoluzione dei confini invalicabili dello spazio sacro. Le prime comunità cristiane erano composte da una mescolanza incredibile, scandalosa e inaccettabile per il vecchio ordine del Tempio. Schiavi e liberi, prostitute e vergini, peccatori e asceti, possidenti e spiantati, rivoluzionari e moderati: tutti insieme e tutti sullo stesso piano. Non c'erano "né padri né maestri né dottori" e "non vi era chi dicesse suo quello che possedeva, ma tutto era fra loro comune".

 

La 'città-carcere' e la 'città-tenda'

Giovanni Michelucci (da Testimonianze 304 1988)

 

La 'città-carcere' e la 'città-tenda' non sono solo dei luoghi identificabili nello spazio, sono due metafore che stanno ad indicare tutto ciò che nella città esiste come edificio, talvolta persino di pregevole fattura, senza per questo avere con la città alcun rapporto attivo, rappresentando anzi la negazione stessa della città. Da questo punto di vista un condominio di periferia è 'carcere' forse assai di più di un vero e proprio penitenziario. Non c'è nulla di peggio infatti che vivere una condizione carceraria, non come pena inflitta, ma come condizione mentale, come abitudini di vita, come atteggiamenti verso gli altri.

Il carcere diventa allora o tende a diventare il normale modo di vivere della condizione urbana, una successione di spazi e situazioni che tra loro non comunicano e producono, se non attraverso le istituzioni preposte ognuna a seconda delle determinate funzioni, da quelle della pubblica sicurezza, della salute, del commercio, financo del tempo libero, per l'organizzazione di determinate manifestazioni e spettacoli. …

La 'città-carcere' è per me dunque l'esatto opposto del «problema carcere », anche se questa e quello si alimentano a vicenda.

Per questo la mia ipotesi di liberarci dall'edificio carcerario non ha solo a che fare con un comportamento etico e morale, quanto piuttosto con il tentativo di scavare sempre di più nella mia professione di architetto.

Liberare la città dal carcere non è per me un'utopia quanto restituire alla città i suoi problemi vitali che vivono attualmente nella forma latente dell'emarginazione, della disperazione o ancora peggio in quella cronicità considerata inevitabile che è il fenomeno della devianza\organizzata.

Opporre la 'città-tenda' alla 'città-carcere' significa per me creare forma e spazio per una città che non esiste ancora, ma della cui non-esistenza soffriamo tutti le conseguenze.

La sfida che propongo alla città attuale è dunque la sfida di saper accogliere al suo interno i diversi di ogni tipo, non per dovere di ospitalità, ma come speranza progettuale.

Solo a questo punto la sfida che propongo alla città di oggi potrebbe diventare «la sfida delle città» contro gli equilibri del terrore che si svolgono e si risolvono sempre al di sopra di ogni possibilità di decisione dei popoli.

Il modello di una società civile che accetta dentro di sé il diverso, come ipotesi positiva di cambiamento rappresenta di fatto una cultura superiore rispetto agli equilibri militari che ci sovrastano.

La società del sospetto, dell'isolamento con cui sono regolate le nostre città rappresentano purtroppo una agghiacciante analogia a quegli equilibri.

 

            Socializzazione in anteprima del dossier

 

Emergenza carcere: la risposta non è costruirne di nuovi.

 

            Premessa

Il governo si sta preparando a varare un “piano carceri” per la costruzione di 18 nuove strutture penitenziarie, di cui una anche nel territorio fiorentino, dove si prevede anche la realizzazione di un nuovo padiglione nell’area di Sollicciano, riducendone così gli spazi verdi.

Per giustificare un impegno economico imponente (si parla di 1.600 MLN €, di cui 600 già individuati fra Finanziaria 2010 e bilancio della Giustizia) si fa riferimento alla insostenibile situazione di sovraffollamento delle carceri italiane: 65.067 detenuti presenti a gennaio 2010, a fronte di una capienza “regolamentare” di 44.055 unità.

Che la situazione sia insostenibile lo diciamo in tanti, da tanto tempo. In primo luogo i detenuti stessi, che denunciano le condizioni invivibili in cui sono costretti. Lo denunciano anche drammaticamente gli oltre 50 suicidi e 600 tentati suicidi di ogni anno, e i 4-5.000 episodi di autolesionismo.

Il numero dei detenuti al dicembre 2009 ammonta a 65.774 unità, 20 mila in più rispetto alla capienza regolamentare. E aumenta di quasi 1.000 unità al mese (negli ultimi 3 anni si è registrato un saldo “positivo” di quasi 9.000 presenze all’anno)

Scrive Antigone nel suo rapporto annuale: “In 19 anni sia i numeri percentuali che quelli assoluti sono raddoppiati. Nel 1990 i detenuti erano poco più di 30 mila. Gli ingressi in carcere nel 2008 sono stati 92.900, ossia 15 mila in più nel giro di dieci anni. Eppure siamo ben lontani oggi dai 3.909 omicidi denunciati nel 1991 o dai quasi 2 milioni di furti del 1999. La crescita del numero di detenuti sta tutta nella maggiore repressione penale del consumo e del traffico di sostanze stupefacenti, nella criminalizzazione degli immigrati senza permesso di soggiorno e nella punizione di quelli che non ottemperano all’obbligo di espulsione (varie migliaia sono gli ingressi in carcere dovuti a questa norma), nella maggiore severità nel trattamento dei recidivi.”

Parallelamente all’aumento del numero dei detenuti le risorse investite per il funzionamento delle strutture diminuiscono (dal 2000 al 2008 ci sono stati 34 Milioni di € in meno per la sanità penitenziaria; il costo medio di un detenuto è intorno ai 157 € al giorno, ma solo 3 € vanno per i tre pasti, e 5 € per la sanità).

Di fronte ad uno scenario così drammatico, quello che proprio non torna è il rimedio proposto: la costruzione di nuove carceri.

1. L’impennata nelle presenze di detenuti nelle strutture carcerarie coincide con il progressivo affermarsi della ossessione securitaria, con i vari “pacchetti sicurezza”, e leggi “carcerogene” come la Bossi Fini sull’immigrazione, la Fini Giovanardi sugli stupefacenti, la ex Cirielli sulla recidiva, ecc., che hanno una impostazione punitiva e criminalizzante, anche nei confronti di comportamenti semplicemente “non omologati” (basta pensare al consumo di droghe leggere) che non può che far aumentare la popolazione carceraria.

Come pure è determinante il continuo ampliamento del divario nella distribuzione della ricchezza dovuto alle politiche neoliberiste perseguite negli ultimi decenni, situazione aggravata ora da una crisi economica che ricade quasi esclusivamente sulle fasce deboli della popolazione.

 

2. L’ampliamento della capienza ha rappresentato ovunque una spinta alla crescita dell’incarcerazione, in una rincorsa che non si arresta mai. Peraltro al tasso di crescita attuale della popolazione carceraria i 20.000 nuovi posti del piano Alfano rappresentano una corsa già persa in partenza: con circa 63.000 detenuti attuali e un saldo di 800-1000 persone in più in cella ogni mese gli ottantamila posti di capienza totale previsti al termine del piano saranno superati già nel 2011.

La Corte dei Conti il 28 giugno 2005 sostenne ufficialmente che “la costruzione di nuove carceri, la ristrutturazione e l’ampliamento di quelle esistenti assorbono ingenti risorse finanziarie, ma non riescono a migliorare in modo tangibile le condizioni di vita dei detenuti, a causa del continuo aumento del loro numero.”

 

            Titoli del sommario del dossier

 

1 - I “piani carcere” italiani degli ultimi trent’anni.

     Cosa succede all’estero …

2. La costruzione di nuove carceri non ha migliorato le condizioni di vita dietro le sbarre.

3. Ma buona parte delle persone che si trovano in carcere potrebbero non starci affatto: le misure alternative penitenziarie.

4. Ma svuotare le carceri non interessa al governo: il giro di miliardi senza controllo messi in gioco dal “piano carceri”.

5. Il ragionamento del ministro Alfano e dei suoi colleghi che optano per la costruzione di nuove carceri è del tipo: la criminalità aumenta, quindi aumenta la repressione da parte dello Stato, quindi aumenta il ricorso al carcere, quindi aumenta il numero dei detenuti, quindi occorre costruire nuove celle. E’ un ragionamento che “naturalizza” l’intera questione carceraria, facendo sembrare l’aumento dei detenuti e la costruzione di nuove carceri come un destino a cui non si può sfuggire.

6. La condizione di vita nelle carceri … Le leggi”cancerogene”…Suicidi e tentativi di suicidio nella popolazione detenuta dal 1990 al 2009     Detenuti presenti e nuovi ingressi dal 1990 al 2008     Misure alternative alla detenzione e presenze in carcere dal 1990 al 2008     Misure alternative alla detenzione e tossicodipendenze.

   Anni 2006 – 2008   (Elaborazione Centro Studi di Ristretti Orizzonti su dati del Ministero della Giustizia).

 

 

Nota: Il dossier sarà presentato pubblicamente in un prossimo incontro in via di organizzazione.