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1) Comunità Isolotto

venerdì 15 ottobre 2010

Comunicato

La Moschea a Firenze fra diritto, xenofobia, visione critica del dominio del sacro": di questo si parlerà domenica prossima 17 ottobre, ore 10,30 , alle baracche dell'Isolotto, via Aceri 1 Firenze. Introdurranno la socializzazione Lucia Aramini, Paola Galli, Antonietta Federici. Partecipa l'imam Elzir Izedin, leader della comunità islamica di Firenze.

 

Una riflessione critica sulla costruzione di moschee nell’Occidente cristiano, Milano, Firenze, New York, …, appare problematica perché appena si apre una fessura sull’orizzonte dell’intercultura scatta in molti la reazione della fobia, strumentalizzata e fomentata da una politica disonesta che rende asfittico il dibattito e impedisce lo sviluppo positivo del processo interculturale.

Costruir mosche è un traguardo già talmente avanzato che appare utopico e c controproducente proporre interrogativi che guardino oltre e che aprano orizzonti interculturali più aperti. Per questo nel dibattito sulla costruzione di moschee è mancata una riflessione problematica di carattere generale sul rapporto fra spazio sacro e spazi di vita.

Una volta però assicurata piena solidarietà agli amministratori coraggiosi che decidono di dare spazio alla costruzione di moschee, e ai leader religiosi aperti come il cardinale Tettamanzi, vescovo di Milano, e l’imam Izzedin leader della comunità islamica di Firenze, occorre andare oltre e interrogarsi sul significato e sulle implicazioni degli spazi sacri nella società secolarizzata.

Poniamola dunque la domanda provocatoria: è proprio salutare, intendo culturalmente, moralmente e non ultimo anche religiosamente, continuare a costruir moschee al pari di chiese, sinagoghe, pagode?

Il problema costituito dagli spazi sacri non sta nelle intenzioni generalmente buone e pacifiche. Sta nella tessitura profonda del sacro così come essa si è realizzata nella storia e come ci è stata tramandata. Il sacro è in sé stesso violento e fonte di violenza, in quanto struttura profonda che tende a separare in assoluto il bene dal male, il peccato dalla grazia, la fedeltà dall’infedeltà, il puro dall’impuro, il vero dal falso, il paradiso dall’inferno, dio dal demonio.

Gli spazi sacri e gli stessi ruoli sacrali, sacerdoti, imam, rabbini, non sfuggono predicando la pace alla loro funzione di sacralizzazione del potere. Non fa impressione, fra l’altro, nello stupendo panorama urbanistico fiorentino la esibita competizione fra cupole? E’ in questo accostamento competitivo di svettanti luoghi sacri che consiste la pluralità culturale e religiosa della città? L’architetto Giovanni Michelucci l’avrebbe piuttosto definita la "dimensione carceraria della città".

Allora si distruggono gli spazi sacri? Non sia mai. Chi ci ha provato ha fatto disastri. La fuoruscita dalla violenza del sacro è un processo storico lento e forse impercettibile. Non va forzato. Ma bisogna favorirlo e quantomeno non ostacolarlo.

Il cristianesimo non è solo chiese e preti, l’ebraismo non è solo sinagoghe e rabbini e l’islamismo non è solo moschee e imam. In ogni religione ci sono esperienze di fede profonda che vanno oltre i confini del sacro reificato. Scoprono e annunciano un nuovo incontro col mistero e col sacro, capace di testimoniare la sacralità di tutto il creato e di ogni donna e uomo senza più bisogno della separatezza del sacro e della sua gestione da parte della casta sacerdotale, senza più necessità di cupole e campanili. E’ gente che si ritrova nei luoghi di tutti, senza delimitare uno spazio proprio se non in forma provvisoria e precaria, e che tenta a piccoli passi di incontrare e intrecciare e contaminare il sacro con la vita quotidiana. Sfumano, in esperienze di questo tipo, le stesse separatezze di religiosità differenti e di non reliosità. La ritualità non è così rigida da escludere i diversi di ogni tipo, dissenzienti, ribelli, atei compresi. L’ateismo è interno alla fede e questa, la fede, magari priva di connotazioni specifiche, è interna all’ateismo.

Io sono convinto – sono affermazioni sensate di padre Ernesto Balducci - che non ci può essere cultura di pace se non con la eliminazione del sacro: la fine del sacro è la fine della cultura di guerra. Ciò che va eliminato - spiega ancora il padre scolopio animatore del crogiolo fiorentino nella seconda metà del secolo scorso - è il sacro reificato, separato dalla vita, collocato in spazi e luoghi e gesti e riti determinati, gestito da persone sacralizzate.

Nel momento che si discute la costruzione di un nuovo luogo sacro, quel processo storico di desacralizzazione della vita non va ignorato. E’ parte non secondaria della nostra speranza di pace globale.

 


2)

Don Franco Corbo

venerdì 15 ottobre 2010

Sul comunicato Isolotto

 

Accanto alle riflessioni dell'Isolotto io aggiungerei un altro problema similare. Il rapporto tra religiosità e fede.

Non sempre la religiosità fa maturare la fede, spesso la ostacola o la sostituisce. Diventa il fine e non un mezzo. E' espressione di una esigenza personale, intima, legittima se si vuole, ma deve essere evangelizzata. Noi abbiamo una religiosità diffusa cui non corrispondono atteggiamenti di vita cristiana.

E' la scommessa di sempre, a partire dalle origini del cristianesimo che ogni generazione di cristiani e, quindi anche la nostra , deve affrontare.

Abbiamo di fronte un grande appuntamento: diventare cristiani con le tre F:

Fede in Dio, cioè fiducia in Dio, cioè Fedeltà a Dio.

Franco Corbo