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CONVOCHIAMO IL POPOLO DI DIO PER FAR TORNARE SANTORO

di Enzo Mazzi

la Repubblica Firenze 3 novembre 2009  

La vicenda della comunità delle Piagge ha superato, si fa per dire, la prima fase: lo choc del provvedimento disciplinare che ha colpito don Santoro e il dolore della separazione. Inizia ora la seconda fase: la gestione dell’assenza. Assenza di Alessandro dalla comunità che dovrà camminare da sola affrontando un futuro assai incerto e assenza di relazioni comunitarie dalla esistenza di un prete che ha impostato la propria vita sul Vangelo della incarnazione piuttosto che sulla sacralità della persona e del ruolo. Non ritengo però che questo sia l’aspetto più distruttivo. L’assenza può essere tragica, ma non è affatto improduttiva. Anzi forse è la radice stessa della creatività. Il vuoto è creativo e anche fondativo della nostra esistenza e della esistenza della realtà. E’ questo, secondo la stessa mia esperienza, una specie di miracolo senza miracolo.

Due aspetti della vicenda li ritengo invece assolutamente distruttivi: il sacrificio della profezia in nome della norma e un certo tradimento del Concilio. Non vorrei incensare l’esperienza della comunità delle Piagge parlando di profezia. Ma è certo mi sembra che in quella periferia destinata al degrado si è aperto un cammino di speranza che ha dato stimoli alla città intera sui valori di solidarietà, accoglienza, lotta all’omofobia e all’emarginazione sociale, autonomia delle coscienze, partecipazione consapevole, capacità di fecondazione reciproca fra laicità e fede.

Si può definire tutto ciò dimensione profetica? Capacità di vedere oltre l’orizzonte dato e di camminare su percorsi inesplorati? Credo proprio di sì. Tale dimensione profetica è stata sacrificata sull’altare del “sabato”, cioè della norma considerata valore assoluto.

Ed è in contraddizione con quanto aveva affermato lo stesso mons. Giuseppe Betori il 26 giugno scorso visitando Barbiana. ''In molte cose don Milani camminava avanti – ha detto l’arcivescovo - perché era grande nella fede. Essergli fedeli oggi vuol dire riattingere a quelle radici di fede che hanno prodotto in lui tanto amore per il Vangelo e per i suoi ragazzi''. Il discorso di monsignor Betori era partito da una domanda: ''Perché la Chiesa non l'ha capito? Non e' stata forse troppo dura con lui?” “E' il destino dei profeti – ha risposto l’arcivescovo - (ma) ora che il Signore mi ha chiamato a Firenze è mio dovere riprendere in mano la conoscenza di questo nostro prete, figura di rilievo nella storia del nostro tempo, importante anche per la Chiesa, ben oltre i confini stessi della nostra diocesi, certo che egli ha da dirci ancora tanto''. Non sarebbe meglio se si smettesse di sacrificare la profezia invece che riconoscerla dopo anni e a volte secoli di colpevole ritardo?

L’altro aspetto distruttivo del provvedimento contro don Santoro è un certo tradimento del Concilio. Chi ha deciso in solitudine l’allontanamento del prete ha un'idea di Chiesa decisamente preconciliare, come una realtà di sudditanza verso la gerarchia e di controllo totale da parte del potere. Il "Popolo di Dio" per loro non esiste.

Sarebbe saggio se si convocasse il "Popolo di Dio" nelle forme previste dalla collegialità conciliare o in altre forme opportune, in modo da ravvolgere nell'amore, nella comprensione e nella socializzazione comunitaria il vescovo, la comunità delle Piagge, don Alessandro? Si darebbe a Firenze, città sul monte, un messaggio di speranza.