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Nino Lisi

“ED ORA ARRIVA NAPOLI 1

Adista Segni Nuovi n. 40/2010

 

Dopo Firenze 1 e Firenze 2 è in fase di preparazione Napoli 1, terza tappa di un percorso iniziato con l’incontro del 16 maggio 2009. Quali sono ora i nuovi obiettivi?

I temi dei due incontri (“Il Vangelo che abbiamo ricevuto” e “Il Vangelo ci libera, non la Legge”) contengono un esplicito invito alla conversione di chi intende seguire Gesù, gerarchia compresa. Il riferimento al Vangelo, contrapposto alla legge, sembra riferirsi infatti alla Chiesa istituzionale. È così anche nella convocazione a Firenze 1: “Avvertiamo la sofferenza di non vedere al centro della comune attenzione proprio il Vangelo del Regno annunciato da Gesù”, mentre “cresce a dismisura la predicazione della Legge. Noi vogliamo non una Chiesa della condanna, ma una Chiesa della misericordia, che sa soffrire e gioire con ogni donna e con ogni uomo che incontra”. Che cosa si invoca se non la conversione anche dell’istituzione ecclesiastica (Curia vaticana, Cei e la restante gerarchia)? A chi altri può riferirsi questo richiamo?

Consultando il sito statusecclesiae.net e leggendo Adista si ricava un’impressione diversa. Della esigenza di convertire la Chiesa istituzionale in primis non si è parlato. Nel primo incontro si è discusso di disagio. Poi, nel Forum promosso da Adista , si è operata una netta distinzione tra disagio (tollerato) e dissenso (inammissibile). Poi è arrivato Firenze 2, che esplicitava il proposito di archiviare definitivamente anche il disagio. Proposito che, come è noto, spaccò il gruppo dei promotori: portò i firmatari della Lettera alla Chiesa fiorentina a disertare il convegno e indusse chi lo gestì a resistere “alla pressante richiesta di alcuni di noi di prender posizione su alcuni fatti recenti della cronaca ecclesiale, come l’allontanamento di don Santoro”. In Firenze 2, invano Vittorio Bellavite ribadì la “necessità di riflettere su un modo diverso di essere Chiesa ed esserlo in Italia oggi”.

Una risposta a Bellavite è arrivata attraverso l’intervento di Luciano Guerzoni (v. Adista n. 31/10), che ha indicato il percorso verso il terzo incontro, a Napoli: occorre, dice Guerzoni, “mettere a confronto il ‘vissuto ecclesiale’ (e civile) dei ‘cattolici del disagio’ con la riflessione teologica, nel tentativo di focalizzare e sperimentare un ponte, non solo fra le differenti sensibilità emerse nei precedenti incontri, quanto sulla frontiera sempre critica e sempre criticamente da riscoprire tra fede e storia”. Il che, tenendo conto che sin dalla lettera/invito al primo incontro di Firenze si era dichiarato che non si trattava della “creazione di un movimento o alla contestazione o chissà a che altro”, e che altrove si era aggiunto di non voler costituire nemmeno un gruppo di pressione all’interno della Chiesa, mi porta a prevedere che si farà tutto il possibile, ed anche di più, perché le parole di Dietrich Bonhoeffer, proposte come tema di Napoli 1, “Pregare e fare ciò che è giusto fra gli uomini”, siano declinate sotto la ferrea condizione di non dar fastidio, né dispiacere alla gerarchia. Insomma, “pensare Dio sfidando la Chiesa”, come affermava un articolo di Vito Mancuso (la Repubblica, 10/12/09), non mi pare sia consentito all’interno del percorso tracciato in vista di Napoli, perché il tema della conversione dei membri dell’istituzione non c’è.

La conversione non nasce semplicemente dalla moltiplicazione di convegni sui “problemi concreti della nostra Chiesa”, tanto più se costretti nei vincoli di cui si è detto. Solo a condizione di farci carico dei problemi concreti del mondo e seguendo la prassi di Gesù ci inseriremo con umiltà nelle lotte che gli oppressi stanno conducendo per la loro liberazione. E sarà il popolo, manifestando il suo dolore e il suo spirito di abnegazione, a convertire anche coloro che fanno parte dell’istituzione, ad uno ad uno, come è avvenuto per colui che il popolo ha acclamato San Romero d’America senza attendere la proclamazione della Chiesa ufficiale, che lo ha osteggiato in vita ed ignorato dopo il suo assassinio.

Allo stato delle cose, l’esito finale del percorso avviato con Firenze 1 mi sembra segnato, al di là delle intenzioni di chi lo ha promosso e di chi vi partecipa: ricondurre nei ranghi chi avverte “forti motivi di sofferenze e disagio nella Chiesa”. Mi domando perciò se prima di parteciparvi non sia il caso di rifletterci seriamente.

È vero, come scrive Marcello Vigli (v. Adista n. 31/10) che “non si può essere cristiani senza costruire Chiesa come comunità testimone di un amore vissuto e non solo annunciato”. Ma non è per questo che i cosiddetti cristiani del disagio sia a Firenze 1 che a Firenze 2 hanno invocato l’avvento di una “Chiesa altra”?