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“Coltivare speranza, una chiesa altra per un altro mondo possibile”

Prefazione

Fabrizio Valletti s.j.

“Il Concilio ci aspetta”… è una affermazione fatta dal vescovo Corti, con a fianco Bettazzi, durante la professione solenne di una giovane monaca benedettina all’isola di san Giusto sul lago d’Orta.

A che proposito questo ricordo? Il lavoro minuzioso ed esemplare di Campli e Vigli suscita un senso di vuoto ed insieme una tensione al “compimento” di sapore evangelico. Il silenzio di un monastero evoca quanto sottolineava Ardigò di fronte ad una cristianità che si sottrae all’adempimento della profezia, preoccupata di affermare una mondana immagine di sicurezza, che non sfugge alla tentazione del potere. È far risuonare la tensione mistica di un essere popolo in cammino che accoglie quanto lo Spirito del Risorto suscita nella storia dell’umanità, non solo appartenente alla anagrafe canonica, ma al movimento che ormai abbraccia popoli di ogni razza, cultura e religione. Il dubbio che sia un cammino di rottura, di protesta e di ribellione, può indebolire la responsabilità, che non è solo storica, di individuare quanto ci sia di ispirazione evangelica anche in tutto quel mondo di cristiani e di cattolici che vivono con difficoltà il rapporto con le istituzioni ecclesiastiche.

L’incontro con tutte le esperienze che dagli anni sessanta si sono succedute e sviluppate in seno alla chiesa italiana, significa proprio cogliere il  confronto fra quello che, da una parte, l’istituzione ecclesiastica ha via via organizzato sul piano pastorale, nel rapporto con la società civile, nell’intreccio con le vicende politiche e sociali del paese, e quanto  varie realtà di origine ecclesiale hanno sviluppato nel tentativo di adempiere quanto il Concilio Vaticano II aveva dettato. Negli anni successivi alla chiusura del Concilio da tutti era riconosciuto il valore dell’ispirazione evangelica e della ricchezza umana che emergeva dalla riunione dei vescovi provenienti da tutto il mondo, essendo loro interpreti di realtà tanto varie e composite, ma anche testimoni del servizio di profezia, di riconciliazione e di libertà che la fede nel Cristo Gesù poteva donare alle tormentate vicende della storia contemporanea. Giovanni XXIII, inaspettato vescovo di Roma, era con la sua stessa persona l’interprete di tale speranza.

Erano anni di sofferta ricerca di sviluppo e di pace sociale, nel nostro paese, con una società civile che si trasformava rapidamente, lasciando irrisolti dettami costituzionali ed esasperando divisioni ed esclusioni sociali, nel rapporto fra il nord ed il sud, nell’accoglienza agli immigrati, nel riconoscimento del diritto al lavoro, alla casa ed all’istruzione, come per tante altre situazioni di sofferenza. In altri paesi, specie in America Latina ed in Africa, le comunità cristiane stavano vivendo una forte partecipazione popolare, nello stile di una chiesa immersa ed inserita nelle contraddizioni dovute allo sfruttamento ed alla povertà, retaggio di una non interrotta dipendenza dall’economia dei paesi più ricchi, un tempo responsabili dell’occupazione coloniale. Nuove forme di servitù economica e politica si manifestavano per l’azione finanziaria e commerciale delle multinazionali, favorite da un processo di globalizzazione che lasciava troppi popoli in endemica impotenza soprattutto politica.

Nel nostro paese una coscienza critica, di fronte alle palesi ed occulte ingiustizie emergenti dal mondo politico ed amministrativo, era ispirata in diverse comunità dal confronto con la Parola di Dio e dalla ricerca di una partecipazione, non delegata, nelle situazioni di maggiore sofferenza civile e sociale. La memoria puntuale che Campli e Vigli fanno di tutto questo interessante momento civile e religioso, ci riporta alla irrisolta  questione di quanto la presenza del laicato nelle responsabilità del vivere “temporale”, sia riconosciuto “luogo teologico”, prezioso terreno di indagine e di scoperta dei “segni dei tempi”, nel rispetto di quella che spesso viene definita come ricchezza della laicità. Il tramonto dell’unità politica dei cattolici apriva nuove prospettive di appartenenza, alcune riconosciute legittime e lodevoli, altre viste con sospetto o addirittura con ostilità. Il crocevia del rapporto fra fede e politica diventava il discriminante indicatore, non tanto e solo di una lettura economica e politica della realtà, ma di una affermata o meno fedeltà ai dettami della gerarchia ecclesiastica. 

È stato più facile da parte di molti laici ed ecclesiastici, rincorrere le definizioni di rottura, le tensioni di dissenso e di contestazione, enfatizzate dall’informazione e dalla pubblicistica, anziché il paziente e sapiente impegno di ricerca e di conoscenza della vita di tante comunità, partendo dalle condizioni di sofferta esperienza, per il contatto diretto con il degrado e la privazione dei diritti fondamentali personali e di cittadinanza. Alcune comunità cristiane si sono fatte partecipi ed hanno condiviso momenti di lotta e di ricerca, intrecciando il desiderio di giustizia con la tensione evangelica di vivere una carità che includesse tutti e non escludesse minoranze, diversità, situazioni gravi di svantaggio. La preoccupazione del rispetto dell’ortodossia, nei confronti della tradizione e di affermazioni di principio ritenute irreformabili, ha vincolato una parte della gerarchia, a differenza di altri vescovi e presbiteri, al mantenimento di una lettura delle varie realtà particolari, spesso senza tener conto delle condizioni che provocavano conflitto, sofferenza, inquietudine. Il generico riferimento alla stessa dottrina sociale della chiesa non permetteva di individuare, in situazioni particolari, che molti cristiani impegnati nel sociale incontravano sul terreno della giustizia compagni leali di lotta e di solidarietà.  

Il disagio vissuto dai singoli e dalle comunità sul piano della vita sociale, trovava uguale ragioni di perplessità e di sofferenza nella vita della pastorale ordinaria che le parrocchie praticavano. A poco valeva la generale lamentela che la pastorale dei sacramenti, la liturgia, le esperienze della catechesi tradizionale, non rispondessero alla reale esigenza di fede profonda e di vita religiosa matura dei cristiani. Era diffusa la convinzione che tanta parte dei cristiani si avvicinasse alla chiesa solo per una domanda sociologica dei sacramenti o per il soddisfacimento di una pietà popolare che non attingeva alla Parola di Dio o all’Eucarestia, come centro della vita cristiana, ma a un ritualismo emotivo e di superficie.   

In questo ambito di ricerca di fedeltà al rinnovamento che il Concilio proponeva, si collocavano i tentativi di tante comunità che, legate ai problemi del territorio, sentivano la missione di procedere in un cammino integrale di vita di fede e di impegno culturale e sociale. Certe esperienze si scontravano spesso con la diffidenza da parte delle istituzioni o nella contrapposizione con altre realtà di movimenti e comunità che rivelavano posizioni differenti. Nonostante da tutti fosse invocato il dialogo, si procedeva con atteggiamenti intransigenti, di cui tutti almeno in parte dovevano portare la responsabilità.

Ripercorrere il cammino di quella che viene definita “altra chiesa” o “chiesa del dissenso”, può aiutare chi ancora oggi non si rassegna alla facile divisione fra “noi e loro”, fra vicini e lontani, fra cattolicità e laicismo. Si può anche riconoscere che sono presenti esperienze di comunità parrocchiali, individuabili nell’alveo della più generale vita della chiesa, che hanno maturato scelte di comunione, di annuncio e di servizio esemplari nel rispondere  al necessario rinnovamento pastorale ed alla concreta presenza nella soluzione di complessi problemi sociali. Ciò dipende molto da come gli stessi vescovi con i loro preti si pongono nell’ascoltare e nell’accogliere quanto matura nel popolo dei fedeli e nella valorizzazione delle varie esperienze di servizio.

Proprio sulla frontiera di un mondo che cambia si può misurare la così detta “missionarietà”, nella sua accezione di dialogo e di ricerca del singolo cristiano, ed ancor più della comunità ecclesiale, messi alla prova nella individualizzazione delle cause di quei motivi che allontanano molti dal “recinto”, dalla pratica dei sacramenti, dalla fiducia nell’istituzione ecclesiastica. La contrapposizione fra coloro che si definiscono fedeli alle istituzioni, senza una reale partecipazione di fede, e quanti vivono,  virtù della loro ricerca spirituale, il confronto con le vicende più dolorose della vita di tutti i giorni, oggi rischia di essere ridotto ad un conflitto ideologico. È il paradosso di un momento storico in cui si è sottolineato, con soddisfazione di molti, il crollo delle ideologie, ma viene il sospetto che certa elaborazione di carattere culturale, e con presunzione definita teologica, sia in effetti somigliante alla legittimazione di visioni parziali, dettate da interessi non propriamente spirituali. Che si formuli  in effetti una rinnovata identificazione ideologica? Ciò appare più evidente quando ci si avvicina alle problematiche politiche. Ancora una volta si rimane invischiati nel problematico confronto  fra il leale spirito di servizio che l’impegno politico richiede e la difesa di forme di potere, di prestigio e di privilegi.

La verifica della rettitudine di una dimensione di servizio del cristiano e della sua comunità di appartenenza, forse la può dare il livello di inserimento nelle vicende che un territorio vive o la partecipazione a situazioni di sofferenza anche drammatica di singole persone e famiglie. Questo può valere per chi vuole cimentarsi nella politica o nel sindacato, ma può essere anche utile per una valida azione pastorale. Spesso infatti ci si ferma al  perimetro ecclesiale di una comunità parrocchiale o diocesana che fonda il suo essere sul riconoscimento della sua  identità cristiana. Quanti ancora si rifanno all’idea che l’intera società risponda al carattere di “cristianità” che fino a pochi anni fa a torto o a ragione si attribuiva al nostro paese?  Stando al diffondersi di movimenti e di esperienze, riconosciuti anche dalla gerarchia, che agiscono in tal senso vien da pensare che la questione sia ancora aperta e che si capisce  il tentativo anche politico di affermare ordinamenti giuridici e legislativi che non rispettano la pluralità di opinioni e di appartenenza religiosa e culturale.

La sofferta esperienza di molte comunità, definite “di base”, proprio per il loro sorgere dal basso di una condizione sociale e culturale spesso deprivata, è garanzia di impegno serio e responsabile, che richiama quanto in altri luoghi del mondo sia costata in termini di libertà, di aggressione violenta fino alla perdita della stessa vita per laici e presbiteri difensori della dignità umana. Il riconoscimento della loro validità e della loro stessa santità spesso è tardivo, ma significa anche l’evoluzione di un sentire la chiesa come popolo in cammino nella storia, con le sue trasformazioni ed i suoi adeguamenti ad uno sviluppo che interessa l’intera umanità.

Lo scorrere degli avvenimenti riportati in queste pagine con precisione cronologica, la serie dei convegni nazionali ed internazionali, compresi quelli “al femminile ed al giovanile”, inducono a pensare che sono molti i problemi irrisolti che possono segnare il futuro della chiesa e di riflesso della società in cui le comunità sono presenti con importanti forme di servizio. È un esempio la questione concordataria, che vede spesso la chiesa in una condizione di presunta libertà di fronte al potere civile, ma che può presentare punti di debolezza, uno fra tutti, il rapporto con le istituzioni militari. Più interessanti la stessa vita pastorale sono gli irrisolti nodi dell’ordinazione presbiterale di uomini sposati, già vissuta peraltro nel diaconato, della presenza di preti sposati in possibili forme di servizio ecclesiale, del ruolo delle donne nelle comunità dove di fatto hanno serio impegno di dedizione. Soprattutto dalle comunità più lontane da Roma si fa sentire il desiderio di cambiamento

La lettura del lavoro di Campli e Vigli può essere in definitiva l’occasione di rivivere pagine di storia così intense non solo con puntuale precisione, nell’intreccio di eventi ecclesiali con vicende politiche e culturali, ma anche con la preziosa e necessaria responsabilità di confrontarsi continuamente con una ispirazione, dettata dalla fede e dalla indagine della ragione, che non finisce mai di ribaltare ogni sistema umano, sia esso civile o religioso.

Fabrizio Valletti s.j.

Napoli Scampia, 21 marzo 2009