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Marcello Vigli

LA "MISURA" DELL'AMORE

Adista n. 3/2010

Anno C-31 gennaio 2010-IV Domenica del Tempo Ordinario Ger 1,4-5.17-19 Sal 70 1Cor 12,31-13,13 Lc 4,21-30

È significativo che Gesù abbia scelto per rivelarsi questo incontro con i suoi "concittadini", che l'hanno conosciuto come il figlio di Giuseppe il falegname, e la Sinagoga, come la sede più opportuna. Non fa sconti, non usa perifrasi. Poco importa se il testo di Luca associa due episodi diversi del ministero di Gesù, il messaggio è molto chiaro. Letto un passo della Scrittura, in cui si presentano le caratteristiche del Messia, se le attribuisce senza infingimenti. Non teme di scandalizzare i suoi ascoltatori, che pure si erano rallegrati per averlo sentito commentare con competenza un passo del profeta Isaia. Sembra anzi che intenda proprio farlo. E si scandalizzavano di lui, conferma Marco riferendo la stessa circostanza. Ce n'era motivo. Sentirsi spiattellare da quel giovanotto, che avevano visto girellare per Nazareth fino a qualche tempo prima, di essere il Messia tanto atteso non poteva non sconvolgerli. Tanto più che aveva giustificato il loro stupore, la loro meraviglia, perché nessuno è profeta in patria, ma aveva anche aggiunto che non aveva nessuna intenzione di vincere la loro incredulità ripetendo i gesti straordinari compiuti a Cafarnao. Non vuole "forzare" il loro riconoscimento, la loro adesione. È, anzi, ancora più esplicito: non hanno inteso il senso delle sue parole perché non è stata data loro la luce che avrebbe suscitato fede in lui. Ad una sola vedova fu inviato Elia ed un solo lebbroso fu purificato. L'una e l'altro senza loro merito se non quello di essere stati scelti per dare un segno.

La fede è un dono di Dio, una virtù soprannaturale da lui infusa, recita il Catechismo della Chiesa cattolica. Teologale si diceva nel vecchio testo per distinguerla da quelle cardinali, che anche i filosofi hanno saputo individuare. Queste, se praticate sinceramente, fanno l'uomo giusto. Quella fa il cristiano se vissuta senza superbia, ma con spirito di servizio, nella carità, cioè nell'amore che "opera" per il bene del prossimo, e nella speranza, che vince ogni scoraggiamento e delusione. Supera ogni disagio e non fa temere il dissenso perché affida a Dio il successo delle "opere" e il giudizio su di esse.

Non c'era fede in quegli ascoltatori e Gesù non ha perso tempo a persuaderli. Di fronte alle loro rimostranze, per di più violente, si è subito messo di nuovo in cammino passando in mezzo a loro alla ricerca di altre donne e altri uomini disposti a credere che lui è venuto: a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi. Disposti a testimoniare che è venuto a riannodare quell'alleanza che rende gli uomini e le donne ‑ creati, essi soli fra i viventi, a immagine di Dio, maschio e femmina li creò ‑ compartecipi della creazione.

Preoccupati di "definire" la fede e i suoi rapporti con la ragione, si riflette poco su questa responsabilità di chi dice di professarla. La fede in Gesù e nel Padre che l'ha mandato esige l'impegno a intrecciare la costruzione del Regno e la salvaguardia e sviluppo della creazione che di quel Regno costituisce il "naturale" fondamento. Spesso ci si dimentica di questo nesso profondo oscurandolo con l'immagine abbagliante del Regno dei cieli. Che non è da costruire, c'è già e il Padre vi accoglie chi vuole. Gesù ci dice che saranno senz'altro accolti quelli che hanno contribuito a costruire il Regno di Dio sulla terra vincendo ‑ impresa ardua ‑ con l'amore del prossimo la "naturale" tendenza degli uomini a limitarsi all'amore per sé.

Non a caso il secondo comandamento, per evitare equivoci o ipocrisie, impone come misura dell'amore del prossimo proprio l'amore per se stesso: ama il prossimo tuo come te stesso.

Un amore che presuppone la convinzione che tutte e tutti sono uguali perché figli dello stesso Dio che ha "scommesso" di poter sublimare in amore l'istinto di conservazione che determina solidarietà nelle diverse specie animali armandoli contro le altre.

Solo la fede può sostenere questo amore, che va oltre la solidarietà familiare, di clan, di di nazione e che potrà trasformarla in planetaria proprio nella misura in cui i cristiani la sapranno testimoniare, fino in fondo e senza pretese egemoniche l'impegno a rendere "naturale" la legge dell'amore.

Non giova certo a questo impegno il dispendio di forze spese per difendere l'esistenza di una "legge naturale" come criterio per risolvere i nuovi problemi posti all'etica dalle nuove tecnologie. Si dimentica che Dio stesso induce a violarla sia quando chiede di sublimarla in quella dell'amore, sia dotando l'uomo dell'intelligenza che gli ha permesso di sfruttarla, nel bene, per i suoi bisogni, o di piegarla, nel male, alla sua volontà di potenza.

Induce a riflettere la scelta di Gesù che, pur potendo disporre di uomini colti e intelligenti, ha preferito selezionare i suoi collaboratori fra i semplici e gli ignoranti.

Appena nato aveva avuto ai suoi piedi scienziati di terre lontane venuti ad onorarlo, poco più che fanciullo aveva stupito i maestri del Tempio con cui aveva discusso, nel deserto aveva piegato l'intelligenza luciferina del diavolo tentatore, ma poi si contenta di poveri pescatori. Non perde tempo a istruirli o acculturarli. Per piegare la loro riluttanza non esita a metterli alla prova coinvolgendoli nella pesca miracolosa. Pietro, dopo aver ribadito di non avere pescato nulla per tutta la notte, dichiara "sulla tua parola getterò le reti". La chiamata, infatti, viene solo dopo questo atto di fede e la successiva dichiarazione d'indegnità.