Testata sito CdB
CHIUDIVAI AL SITO

Marcello Vigli

LA PAROLA NON SI LASCIA SOFFOCARE

Adista n. 3/2010

Anno C-7 febbraio 2010-V Domenica del Tempo Ordinario Is 6,1-2a.3-8 Sal 137 1Cor 15,1-11 Lc 5,1-11

Se questa vocazione dei primi discepoli conferma che Dio ha bisogno degli uomini, come recitava il titolo di un film del regista Jean Delannoy, indica chiaramente che li vuole disponibili a coinvolgersi senza riserve nella realizzazione del suo disegno. "E tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono". Li vuole pronti a lasciare padre e madre e ad accettare senza riserve la legge che vuole il frutto figlio della morte del seme, il pane del dissolvimento del lievito e il sapido dello scioglimento del sale. Per vivere questa legge nel quotidiano serve una grande fede. Una fede che fa sublimare la "naturale" voglia di concentrarsi nel processo di autorealizzazione e di primeggiare per rendersi disponibili esclusivamente al "servizio" degli altri.

Semplici e ignoranti, quindi, ma pieni di fede. Questa scelta sta a significare che la forza dell'annuncio non sta negli artifici retorici... o tecnologici con cui si può arricchire la sua divulgazione, ma nella fedeltà alla Parola annunciata di chi quella Parola annuncia. Fedeltà fatta di prassi conseguente, ma anche d'impegno a veicolarla con parole semplici e a non offuscarla in difficili disquisizioni teologiche.

Nel tempo, di questa fedeltà sembra si siano perse le tracce nei comportamenti di quelli che si proclamano suoi interpreti, nelle istituzioni che si sono date e nei pulpiti, reali o virtuali, da cui continuano a proclamarla. Sembra che sia venuta meno nei secoli se si considerano le migliaia di testi custoditi nelle biblioteche dei monasteri dei palazzi vescovili che stanno a testimoniare la fatica di tanti teologi impegnati a svilire il messaggio evangelico in complesse “summe” in concorrenza con i trattati di metafisica dei loro "colleghi" filosofi.

In verità neppure queste deviazioni sono riuscite a soffocare la forza di penetrazione della Parola. Né riusciranno a soffocarla. Lo garantisce la testimonianza di Paolo nella sua lettera ai Corinti (1Cor 15,10‑11) proclamando: "Per grazia di Dio sono quello che sono e la sua grazia in me non è stata vana". Molti non lo dimenticano. Anche se a parole ammettono di essere solo uno strumento, una voce che non ha forza propria, di fatto pretendono di essere creduti per il ruolo che è riconosciuto loro fra i grandi della Terra e per gli onori che ne ricevevano, ieri, in quanto "ordine" primo fra i tre stati della società feudale, e ne partecipano, oggi, come "casta" fra le altre nei regimi apertamente autoritari o apparentemente democratici.

Di questa contraddizione si nutre il mistero di una "chiamata" sulle sponde di un piccolo lago di una sperduta contrada del pianeta che ha generato e continua a generare una delle più longeve istituzioni della storia umana. Contro di essa nulla hanno potuto i tanti poveri "untorelli" che hanno cercato e cercano di distruggerla dall'esterno o snaturarla dall'interno soffocandola sotto orpelli nelle chiese e pietre preziose sui piviali, istituti finanziari e privilegi giuridici, strutture organizzative e palazzi "apostolici".

Attraverso risorgive insospettabili e inaspettate, torna a garantire non solo che Dio è dalla parte di quegli uomini e quelle donne che lottano per dare un senso alla storia impegnando l'intelligenza, di cui li ha dotati, per sviluppare le potenzialità del creato, ma anche che in mezzo a loro non mancheranno mai quelli che di essa si fanno testimoni, attraverso le opere dell'amore, del Regno che è venuto ad annunciare.