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ATTRAVERSO MARIA, MADRE E SORELLA, LA CONOSCENZA DI D**

Rubrica "Tempi di sororità" a cura di Catti Cifatte

da Tempi di fraternità, Giugno-Luglio 2009 

Secondo la più antica tradizione orale, prerogativa delle donne, Gesù di Nazareth venne al mondo da donna come inviato di Dio. Anche la sua morte avvenuta in modo così sconvolgente (abbandonato tra l’altro dai suoi amici ma seguito da lontano dalle donne e da Maria sua madre), viene interpretata fin dai primi anni del cristianesimo nel senso dell’avverarsi di quanto era stato annunciato dai profeti e quindi la sua morte viene letta come strettamente collegata all’idea che, in quanto inviato da Dio, fosse egli stesso profeta e proprio per la sua pratica profetica e rivoluzionaria fosse stato ucciso.

Nel più antico dei Vangeli, in Marco12, 1-12 leggiamo infatti la Parabola dei vignaiuoli
“Poi cominciò a parlare loro in parabole: «Un uomo piantò una vigna, le fece attorno una siepe, vi scavò una buca per pigiare l'uva e vi costruì una torre; l'affittò a dei vignaiuoli e se ne andò in viaggio. Al tempo della raccolta mandò a quei vignaiuoli un servo per ricevere da loro la sua parte dei frutti della vigna. Ma essi lo presero, lo picchiarono e lo rimandarono a mani vuote. Egli mandò loro un altro servo; e anche questo insultarono e ferirono alla testa. Egli ne mandò un altro, e quelli lo uccisero; poi molti altri che picchiarono o uccisero. Aveva ancora un unico figlio diletto e quello glielo mandò per ultimo, dicendo: "Avranno rispetto per mio figlio". Ma quei vignaiuoli dissero tra di loro: "Costui è l'erede; venite, uccidiamolo e l'eredità sarà nostra". Così lo presero, lo uccisero e lo gettarono fuori dalla vigna. Che farà dunque il padrone della vigna? Egli verrà, farà perire quei vignaiuoli e darà la vigna ad altri. Non avete neppure letto questa Scrittura:
"La pietra che i costruttori hanno rifiutata, è diventata pietra angolare; ciò è stato fatto dal Signore, ed è una cosa meravigliosa ai nostri occhi?"» Essi cercavano di prenderlo, ma ebbero paura della folla; perché capirono che egli aveva detto quella parabola per loro. E, lasciatolo, se ne andarono.”

E’ del tutto evidente che il padrone della vigna rappresenta Dio mentre il figlio simboleggia il destino di Gesù: in questo senso la parabola si situa nella scia della teologia profetica là dove per esempio si dice che Dio inviò i suoi profeti e messaggeri ( nella parabola i servi) a chiamare Israele al pentimento, ma essi furono respinti ed uccisi dal loro stesso popolo: Gesù dunque è anche profeta di Dio non solo in quanto premonitore della sua stessa sorte ma in quanto costruttore di un percorso alternativo verso cui orientare la propria vita: unica e filiale “possibilità” divina.

Ma a Gesù vengono attribuiti, dopo la sua morte, titoli e definizioni con funzione retorica ed apocalittica; occorreva infatti costruire modelli linguistici e metafore per dare un senso alla morte di Gesù così terribile e nello stesso tempo non disperdere i cristiani e le cristiane insieme al suo messaggio di liberazione e nella speranza del suo prossimo ritorno.

Ecco che dalla primitiva interpretazione profetica dell’ “inviato di Dio” alla attribuzione del ruolo di “figlio di Dio” il passo è stato breve, ancorché sicuramente sviluppato successivamente, come è documentato nei testi cristiani (vedi epistole di Paolo e di Giovanni) e la cristologia del figlio ha avuto il sopravvento determinando di conseguenza uno spostamento della figura di Gesù su di un piano escatologico di rilevante importanza per la codificazione del cristianesimo.

< La visione filiale divina ritrova coerenza anche con la teologia della Sapienza: proprio come Sophia non trovò luogo dove riposare e tornò al regno eterno, così anche Gesù non ricevette accoglienza benevola tra il suo/di lei popolo e quindi tornò in cielo, compiendo quindi il disegno di D** nella trasmissione di funzioni dal genitore al figlio, in cui il secondo obbedisce al primo sacrificando sé stesso ed il  primo ha un perfetto controllo del processo di piano. (v. E. Schussler Fiorenza “ Gesù figlio di Miriam, profeta della Sofia” - Claudiana) >

Con la definizione di figlio di Dio avviene anche e conseguentemente una contestuale esaltazione della figura di Maria che perde il connotato carnale ed umano legato alla persona del figlio, mentre assume  nuovo ruolo e funzione di trasmissione, sebbene in posizione subordinata, di un superiore disegno divino.

Mi domando, Maria accettò questo nuovo ruolo? Penso di sì ma purtroppo non possediamo dirette testimonianze su Maria, se non quelle riportate dalle classiche fonti canoniche maschili: sicuramente ella è presente nel gruppo delle amiche e amici di Gesù e quindi partecipa delle scelte determinanti e originarie del cristianesimo, ma mi piace pensare che vi partecipa nella consapevolezza della necessità di una prospettiva rivoluzionaria e di liberazione. Penso al Magnificat scritto da Luca entro il primo secolo dopo Cristo e situato nella scia della teologia profetica.

Infatti se si collegano da un lato la ricerca dei/delle primi/e cristiani/e di dare un senso ed una logica alla morte di Gesù, con l’intento di affermazione delle stesse donne (che egli stesso aveva sostenuto esplicitamente ed apertamente schierandosi a loro favore), si può anche capire come, nella tradizione orale, grande peso possono aver avuto le stesse donne nell’attribuzione degli appellativi che si richiamano esplicitamente alla filiazione.

Se per le donne, recuperate al discepolato di Gesù, era significativa la componente femminile del divino e quindi la tradizione della Sapienza e della Ruah, non poteva certo essere sminuita la forza liberatrice della Buona Novella anzi essa doveva acquistare sempre maggiore credibilità e forza.

Solo che per le donne non poteva non essere richiamata la figura materna di Maria con la quale venivano condivise le stesse condizioni di genere. A ben vedere infatti le stesse liturgie battesimale ed eucaristica, si richiamano strettamente a funzioni sessuate femminili del pre-parto e parto attraverso il significato corporeo della immersione nelle acque e donazione del sangue, ed in ciò chi meglio di una madre avrebbe potuto comprendere e trasmettere la figura del proprio figlio sofferente e mai abbandonato! In questo senso Maria, insieme alle altre donne, fu sempre presente lungo tutto il percorso di vita di Gesù, come è testimoniato, dalle nozze di Cana di Galilea fino alla croce.

Inoltre abbiamo visto come la sofferenza ingiusta patita da Gesù si riallaccia a quella patita dai più deboli e fra questi le donne, per le quali la condizione di subalternità al patriarcato nel giudaismo è alquanto forte. Ebbene la condizione della madre di Gesù in questo contesto è del tutto particolare: essa è quella che patisce e somma le due sofferenze in quanto madre di un morto in croce ed in quanto donna, per di più inserita sicuramente nel suo discepolato e in quanto tale riconosciuta ed additata nel contesto sociale in cui vive.

La resurrezione per lei, ma anche per tutte le donne del movimento di Gesù,  può avere quindi un duplice significato retorico: giustificazione simbolica e necessità reale come per tutti e tutte  quei “minimi” o quei nessuno/a che lottano per la sopravvivenza, per la dignità umana e la liberazione dall’oppressione.

La Madre a questo punto acquisisce un valore unico nella costruzione della teologia cristiana,  è non può essere solo una intuizione della studiose di teologia:  la madre è colei che fonda il cristianesimo non solo perché è colei che ha generato fisicamente il figlio ma anche e soprattutto perché è colei che per prima ne sa tramandare il messaggio rivoluzionario, nei secoli e nonostante tutte le avversità: è possibile anche pensare che per l’insegnamento impartito, ne fosse l’ispiratrice quindi e non solo la sostenitrice.

Ciò avvenne, nonostante i nascondimenti del ruolo di genitorialità attiva, la presunta inferiorità femminile, nonostante la volontà di sopprimere la funzione carnale, nonostante la re-imposizione ancora più forte del patriarcalismo divino, e poi, col tempo, nonostante le volontà dei Padri della Chiesa, dei Vescovi (venuti successivamente) e dei Concili vari che legifereranno contro le sue originarie volontà.

La riprova di ciò è anche nel fatto che la Madre permane nei secoli nella tradizione popolare come unico riferimento tangibile del divino: riferimento consolatorio, ombra protettrice e talvolta nascosta nelle “grotte”, fonte di contrasti tra gioie e dolori, rifugio del nostro pellegrinare. E’ una figura ‘pesante’, difficilmente sopprimibile e quindi artatamente strumentalizzata dalla chiesa ufficiale, che si è impossessata della sua immagine e della sua potenza per contenerne il ruolo dirompente che avrebbe potuto dare una prospettiva completamente diversa agli uomini e alle donne di buona volontà

Il devozionismo che si è generato e le deformazioni della sua figura nella tradizione dei culti mariani, spesso non ci possono far comprendere la reale portata della sua persona che è purtroppo, come detto, difficilmente documentabile e realmente comprensibile; tuttavia diversi sono gli studi teologici e le ricerche elaborate da donne e da teologhe femministe, che si sono sviluppate e si sviluppano intorno a Maria di Nazareth. Se la sua figura viene rivisitata e collocata dentro il percorso di liberazione delle donne non si troverà contrasto con la valorizzazione di tutte le altre donne che, come lei, hanno saputo cogliere la novità del messaggio del figlio rivoluzionario e ne hanno saputo tramandare l’essenza e la portata trascendente la storia. Il suo ruolo diventa contestualmente espressione del divino materno e segno inconfondibile di nuova sororità.