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DEMOCRAZIA INCOMPIUTA

Rubrica "Tempi di sororità" a cura di Catti Cifatte

da Tempi di fraternità, giugno-luglio 2008

Alla fine del mese di marzo scorso, sono stata invitata dalla Prof. Liviana Gazzetta, lettrice della rivista, e dal Comune di Este, Assessorato alle pari opportunità, per intervenire in un dibattito pubblico sul tema “donne, diritti e politica”. Mio compito era  esprimere un punto di vista di donna credente sulle tematiche relative alla nostra ‘democrazia incompiuta’, sul voto e rappresentanza femminile, su quanto le donne siano condizionate dalle tradizioni religiose e culturali, con attenzione alle nuove condizioni delle famiglie e alla condizione della cosiddetta ‘società liquida’. 

Alla conferenza hanno partecipato diversi esponenti politici, donne e uomini, ed un discreto pubblico , prevalentemente femminile, molto attento ed interessato a nuovi percorsi di riflessione culturale compreso il nostro percorso di ricerca teologica femminista. Partendo da questa esperienza ‘di una serata’ che considero significativa e stimolante, ancorché periferica e ristretta, voglio soffermarmi a fare alcune considerazioni sull’ attuale situazione politica,  percorrendo un sentiero inusuale della rubrica tempi di sororità, ma che sento particolarmente importante in questo momento  di fronte al dibattito che si è aperto nei diversi gruppi di relazione che si collocano a sinistra.

In questi ultimi tempi, se avete seguito i telegiornali, le rubriche politiche, i vari contesti di riflessione e discussione pilotati dai media, avrete visto quasi esclusivamente visi maschili; anche gli stessi intervistatori sono maschi! Tutti gli esponenti dei partiti, delle coalizioni, delle istituzioni, degli intervistati ed in genere dei soggetti inquadrati sul monitor, sono volti noti ai telespettatori e alle telespettatrici, le/i quali ne conoscono ormai vita morte e miracoli: come sono vestiti, quale montatura di occhiali portano, quali cravatte e di quali colori, se hanno una moglie e se questa compare accanto a loro, altrimenti con quali compagne di vita o amiche si intrattengono, se si sono separati recentemente dalla moglie, se hanno avuto altre relazioni sessuali, con quali donne hanno o stanno facendo famiglia, se hanno figli o figlie, se vanno a messa la domenica ed, eventualmente, con quale coerenza vivono rispetto ai dettami delle gerarchie cattoliche, dove vanno in vacanza ecc…ecc...

L’interesse medio dei cittadini italiani è stato spostato, ad opera del ‘grande burattinaio’ che governa le nostre menti, su questi argomenti d’immagine, che ovviamente colpiscono il livello più superficiale della persona e in questo stesso modo allontanano sempre più il confronto con le questioni della vita reale su cui invece coloro che esercitano la politica hanno forti responsabilità. I temi del caro vita, dei salari, dell’occupazione dei giovani e delle donne, della partecipazione alle cosiddette missioni militari di pace, delle grandi infrastrutture e delle devastazioni dell’ambiente, della casa per tutti, delle spese per gli armamenti, della ridistribuzione delle maggiori entrate derivanti dalla lotta all’evasione fiscale, ecc..ecc….sono stati oggetto di scarsa discussione ed approfondimento, al di là delle ripetute promesse elettorali appunto, quasi uguali sulle bocche degli avversari dei due più grandi partiti.

Le elezioni politiche hanno una volta di più rivelato, anche a causa della pessima legge elettorale in vigore con la quale eravamo già andati ad eleggere il parlamento due anni fa, il rifiuto e la sfiducia negli attuali meccanismi di rappresentanza. Questa volta vi è stato il più basso livello di partecipazione dal dopoguerra e in conseguenza la scarsa rappresentatività degli eletti rispetto ad una buona fetta di elettorato:  il 19,50% degli elettori ha disertato le urne, a questo dato occorre aggiungere una buona percentuale di elettori ed elettrici intorno al 4,5% che ha votato scheda bianca o nulla, nonché il 10%  che ha votato per tanti partiti che non hanno raggiunto le quote di sbarramento, compresa “la sinistra l’arcobaleno”, che tra questi ultimi è stato comunque il partito più votato ( media nazionale 3,2%).

Pertanto possiamo affermare che oggi la rappresentanza politica dello stato cosiddetto democratico, a ben vedere esprime solo il 66% degli italiani perché un buon 34%, per un motivo o per l’altro non è rappresentato, Mi si dirà che ciò sta avvenendo ormai nella maggior parte dei paesi occidentali e più evoluti: la cosa non è consolante.

 Dall’analisi più articolata del voto, emerge poi che la lontananza dagli eletti si nota maggiormente nei confronti delle donne che, non solo sono scarsamente rappresentate nei due rami del parlamento congiunti dove la rappresentanza femminile non arriva al 20% , ma si situano ben lontane dai partiti, dai centri di potere e si trovano di fronte ed in pieno contrasto con un ‘far politica’ ed una cultura della classe politica quanto mai prevaricante. Come è ormai tradizione il non voto è espressione prevalente dei ‘maschi giovani’ (distacco ed indifferenza)  e delle ‘femmine anziane’ ( stanchezza e difficoltà fisica) , ma questa volta, probabilmente si sono aggiunti maschi e femmine dell’età media per chiara espressione della protesta (i dati specifici benché facilmente rilevabili a venti giorni dalle elezioni non sono ancora pubblicati).

Mi vien da dire sinteticamente: una  politica d’impronta maschile sempre più lontana dalle giovani generazioni e dalle donne ed, in generale, dalla gente ha come logica conseguenza che i giovani, le donne e la  gente restino sempre più lontane/i dalla politica così concepita. Una politica maschile che strumentalizza il voto femminile, che richiede alle donne un adeguamento alla sua organizzazione autoritaria, che pretende di governarne la rappresentanza anche con l’istituzione delle cosiddette ‘quote rosa’, non può che essere sempre più distante dalla volontà femminile di partecipazione e di coinvolgimento: sono le due facce della stessa medaglia. Ma occorre approfondire per non fermarci anche noi alla sola apparenza.

            La nostra democrazia è incompiuta dunque non solo per la scarsa rappresentatività ma anche per la sua impostazione culturale, per l’impronta della struttura rappresentativa che si rivela ed è espressione soltanto di apparati di partiti. I partiti sono  organizzazioni che spesso si muovono per interessi ed ideologie; oggi più che mai si situano lontani dalla vita reale della società civile, e, nella misura in cui stabiliscono rapporti interni di tipo gerarchico- patriarcale  tradiscono una cultura dominante che è estremamente difficile poter accettare.

Anche nei partiti di nuova costituzione, pur rilevando che vi è un notevole sforzo per ricercare ancoraggi con la società civile (vedi la vicenda delle primarie nel partito democratico), sotto le nuove etichette si nascondono le stesse logiche di spartizione  e di organizzazione che sono difficili da scardinare: tutti, a sinistra, sono concordi nell’affermare che c’è stata una oggettiva lontananza dal territorio, e per territorio s’intendono i cittadini e le cittadine con i loro problemi quotidiani.

Sono d’accordo con l’analisi che ha fatto Lidia Menapace prima della sconfitta elettorale delle sinistre: “(…) Credo che dobbiamo laicamente indagare se non esistano forme della politica che non siano i partiti, ma non invece dei partiti. In altri termini, non penso di "abolire" il partito, penso però che non possa più pretendere di essere l’unica riassuntiva sintetica forma politica, degradando tutte le altre ad essere solo rivendicative o instabili. Ci sono movimenti "politici", pienamente politici, cioè di sguardo universale oggi, che hanno altre forme organizzative, altri linguaggi, altri insediamenti sociali. Detto in breve: politico e partitico non coincidono. Vi è uno spazio della politica che non è partito. Ad esempio la magistratura è "politica", essendo un potere dello stato, ma non è un partito, il movimento delle donne è "politico", anche se non si organizza in partito, tutti i temi della cittadinanza sono temi politicissimi, ma non sono di competenza dei partiti ecc .ecc. Non si possono definire astrattamente le forme della politica, che sono mezzi e non fini dell’azione. Il partito è uno dei mezzi, uno dei possibili strumenti, non il fine della politica e nemmeno del programma e nemmeno delle analisi di fase ecc. Se il partito diventa un fine o il fine, allora la politica scompare. Se è un mezzo, bisogna dire a che fine e con quali processi.”

Deve svilupparsi la volontà di ricercare altre forme d’espressione politica e di come esprimere e trasmettere ruoli e fiducia, di non limitarci alla delega in questo contesto storico; specialmente quelle donne che si sentono estranee a logiche spartitorie e di potere, le femministe che hanno fatto scelte radicali e sviluppato teorie e pratiche che valorizzano ed esaltano le differenze in una logica di condivisione e partecipazione, non vogliono estraniarsi dalla politica ma chiedono che si operi  una seria riflessione sul modo di farla e che si esercitino quindi tutte le conoscenze e le capacità progettuali per sviluppare proposte di un nuovo modo di  agire  politico.

Come credente vorrei inoltre evidenziare un argomento che ho trattato anche ad Este rivolgendomi alle donne e alle  compagne ed amiche che scelgono l’impegno politico, quello della necessità di non trascurare la cosiddetta ‘sfera spirituale’: viviamo in un mondo in cui il confronto spirituale, anche fra persone di fedi diverse è più che mai necessario. Una nuova politica non solo non può trascurare la realtà di coloro che vivono una fede religiosa, che viene prima e va oltre la necessaria autonomia del politico dal religioso, ma l’assume come forza che aiuta a  saper convivere con le diversità, ad esprimere solidarietà e cura verso i deboli, a  tutelare le diversità d’espressione, a partecipare attivamente a lotte di affermazione in una società multietnica, interculturale e anche interreligiosa.

Quello che non convince di una politica che si dice di sinistra  è che  molto spesso vive la questione del rapporto con la realtà religiosa delle persone con distacco e senza confronto profondo, a causa di scarsa  conoscenza e/o superficialità nell’approccio alle problematiche religiose, appiattendosi spesso, anche nella contrapposizione, alle posizione della gerarchia ecclesiastica. Politici che delegano  alle gerarchie ecclesiastiche le scelte etiche e comportamenti sociali senza fare distinzione tra i ruoli e le responsabilità, senza evidenziare e denunciare abbastanza le strutture patriarcale   delle gerarchie ecclesiastiche cattoliche e non solo.

Sappiamo invece che non esiste percorso di decostruzione del patriarcato, di cui sono ancora oggi impregnate sia le chiese sia la nostra società,  se non ottenuto attraverso una rilettura critica femminista della scrittura, della parola, degli insegnamenti delle chiese, che per noi donne significa anche fare chiarezza sul ruolo avuto dalle religioni nella concezione della famiglia, della relazione sessuale, del sacro. Un percorso necessario per consentire di vivere fin d’ora la nostra spiritualità in modo radicalmente diverso dalle prescrizioni impartite: una nuova visione che ci porti più facilmente alla trasformazione dei linguaggi e dei comportamenti  relazionali, compresi quelli politici.