Testata sito CdB
CHIUDIVAI AL SITO
FEDE, POLITICA, PROFEZIA:
LE COMUNITÀ CRISTIANE DI BASE SI INTERROGANO SUL LORO FUTURO

 

Luca Kocci

Adista notizie n. 109/2009

 

TIRRENIA (LI)-ADISTA. (dall’inviato). È uno sguardo rivolto in avanti quello delle Comunità cristiane di base italiane che hanno tenuto a Tirrenia (Li), lo scorso 3-4 ottobre, il loro collegamento nazionale sul tema “Quale futuro per le nostre comunità?”. Un collegamento allargato, a cui hanno partecipato circa ottanta persone, e “seminariale”, quindi non solo organizzativo, ma anche tematico – anche perché durante il 2009 non si è svolto l’annuale Convegno nazionale dal momento che le Cdb italiane hanno partecipato all’incontro europeo delle Cdb, a Vienna, nello scorso mese di maggio (v. Adista n. 52/09) – per riflettere, si legge nella traccia di lavoro, su “come le nostre comunità in questi anni si sono rapportate con gli altri” e per interrogarsi su “come per il futuro intendiamo rapportarci con le diverse realtà della comunità locale, nazionale, mondiale”.

Punto di partenza della due giorni, la consapevolezza che “a distanza di quarant’anni la società, la politica e la Chiesa cattolica in Italia, e non solo, sono radicalmente diverse”. I mutamenti si colgono anche dalle risposte date dalle Comunità di Base ad un questionario sui rapporti fra istituzione e profezia e fra fede e politica – nodi fondamentali nella storia e nella vita delle CdB che nacquero, dal ‘68 in poi, proprio a partire dalla dialettica su questi temi – i cui risultati sono stati presentati durante l’incontro.

Come risulta dalle risposte, il rapporto fede/politica, fondamentale all’origine del percorso di tutte le CdB, rimane importante anche oggi, ma in misura leggermente minore rispetto al passato, tanto che l’impegno nel volontariato sociale talvolta prende il posto della militanza politica anche in diversi appartenenti alle Comunità di Base, in linea del resto con la tendenza generale italiana dell’ultimo decennio. L’analisi sul mondo del volontariato, trasformato in non profit, resta però netta: le strutture dell’associazionismo “sono in profonda trasformazione per l’affermarsi della ideologia della sussidiarietà e per l’accesso al finanziamento pubblico che le spingono all’istituzionalizzazione e alla burocratizzazione”. Leggermente in calo la militanza politica in senso stretto, eppure non perde forza l’idea che “la politica sia un’espressione dell’amore per il prossimo”. Il timone rimane indirizzato verso sinistra – in tutte le sue varianti –, ma il giudizio delle CdB sulla crisi della sinistra è severo: crisi forte, non passeggera, quasi irreversibile secondo alcune comunità. L’uscita dalla crisi però non prevede che “i cristiani debbano costruire forme di presenza politica autonoma”: su questo punto il giudizio è unanime. Mentre sull’impegno delle Comunità “in quanto tali” in strutture politiche e associative, magari impegnate su temi ambientali, le posizioni sono articolate: alcuni escludono un impegno diretto delle CdB, altri invece sono più possibilisti.

I rapporti con le istituzione ecclesiastiche rimangono fortemente critici: pressoché assenti con le diocesi, occasionali con le parrocchie e con gli istituti religiosi, migliori con le associazioni ecclesiali. Anche perché le comunità di base, fedeli alla loro origine, piuttosto che cercare relazioni con le strutture istituzionali preferiscono rivolgersi direttamente alla base, al popolo di Dio, prendendo posizioni, assai spesso negli ultimi anni, su questioni etiche, politiche e anche teologiche. Ma il “dissenso” nei confronti dell’istituzione, prima quasi esclusivo delle Comunità di Base, si sta trasformando in “disagio” e si sta allargando ad altri settori della “base della comunità ecclesiale”, che mentre prima rimanevano in silenzio, negli ultimi anni manifestano “timidi segni di iniziativa”, come in occasione del convegno di Firenze dello scorso 16 maggio sul tema “Il Vangelo che abbiamo ricevuto” (v. Adista nn. 30, 45, 48, 52, 59, 60, 69 e 80/09). Disagio che spesso viene espresso anche da singoli credenti, per lo più preti, ma su queste ‘avanguardie’ il giudizio delle CdB è interlocutorio, positivo sui contenuti ma critico sulle modalità di espressione: “Sono aumentati i ‘profeti solitari’, singoli e gruppi – dicono – caratterizzati da forte autoreferenzialità, favoriti dal diffondersi dei sistemi di comunicazione informatici (blog, mailing list, siti ecc.) che danno a molti l’illusione di avere udienza ed efficacia”. La strada privilegiata rimane non quella della protesta solitaria ma della scelta collettiva: “Coltivare speranza è possibile – dicono Mario Campli e Marcello Vigli nella loro analisi – se si fonda sulla consapevolezza che nella generale crisi di equilibri possano trovare spazio realtà anche modeste che hanno mantenuto vivo un patrimonio teologico e di prassi per farne una proposta di Chiesa altra impegnata ad evangelizzare il nostro tempo”, assumendosi la responsabilità “di raccontare oggi la buona novella storicizzandola, cioè desacralizzandola e contaminandola con il cammino degli uomini e delle donne di questo tempo”.


 

LE CDB: DIALOGARE CON I “CATTOLICI DEL DISAGIO”
PER ALLARGARE IL CONFRONTO SULLA CHIESA “ALTRA”

 

TIRRENIA (LI)-ADISTA. (dall’inviato). Continuare a costruire “una Chiesa altra per un altro mondo possibile” – il sottotitolo del recente libro di Mario Campli e Marcello Vigli (Coltivare la speranza, Tracce, 2009, v. Adista n. 60/09) che ripercorre il quarantennale cammino delle Comunità di Base Italiane – rimane ancora il desiderio e l’obiettivo delle Cdb che a Tirrenia, lo scorso 3-4 ottobre, hanno tenuto il loro collegamento nazionale (v. notizia precedente). Le proposte e le prospettive per il futuro – tema principale del collegamento – vengono elaborate e condivise nel secondo giorno dell’incontro, mediante un processo di “scrittura collettiva”, in modo tale che “la sintesi di tutti arrivi dalla somma delle parzialità di ciascuno”.

La natura delle Cdb, viene detto nelle conclusioni, “è legata alla capacità di fare continua esperienza delle lotte e delle sofferenze vecchie e nuove degli ultimi e delle ultime della Terra – in particolare disoccupati e immigrati, verrà precisato –, di dare più spazio alle donne e di contrastare fondamentalismi e patriarcalismi. Le comunità, come all’inizio della loro esperienza, dovrebbero ritrovare il fuoco della rabbia e dell’indignazione di fronte alle ingiustizie, cogliere e mettersi in relazione con tutti quei focolai di fermento che, anche se in misura ridotta rispetto al passato, sono presenti nella nostra società”. È importante, proseguono, “portare la nostra specificità di cristiani di base nelle attività e relazioni con l’esterno”, precisando che tali relazioni vanno ricercate soprattutto “tra coloro che vivono il disagio dentro la Chiesa cattolica e nella società” e percorrendo due strade, non necessariamente alternative fra loro: “Seguitare ad essere spina nel fianco dell’istituzione ecclesiastica”, continuando a sviluppare il senso critico nei confronti della “gerarchia” e della “ortodossia”; preoccuparsi di diffondere e rendere fruibile la loro ricerca alla comunità ecclesiale e alla società, cercando di essere “testimonianza per tutti quei cattolici che pensano in maniera autonoma e critica”. “Apertura e contaminazione verso l’esterno”, quindi, mantenendo nello stesso tempo “salda l’identità”, per “continuare ad essere una Chiesa altra e non un’altra Chiesa”.

Per quanto riguarda la vita nelle comunità – luoghi dove “si sperimenta la libertà” e dove si possono socializzare i valori più essenziali della vita” –, si colgono alcuni aspetti problematici da trasformare in attenzioni per il futuro: evitare di farsi “condizionare ed ingabbiare da obiettivi troppo rigidi”, “superare la centralità del leader (in genere il presbitero) attraverso l’assunzione di responsabilità da parte di tutte e tutti”, tentare di “intrecciarsi con le nuove generazioni”. Anche “trasformando il linguaggio delle nostre comunità”, che talvolta rischia di essere escludente, “liberandoci da schemi vecchi” e “sforzandoci di cogliere i segni nuovi che arrivano dai giovani”. Il metodo è quello dei “piccoli passi”, da muovere con convinzione ed entusiasmo, “coltivando la speranza che nelle nostre comunità suscitano ancora le parabole del chicco di senape, del sale e del lievito nella pasta, credendo cioè nel valore intrinseco della creatività della profezia”. (luca kocci)