XXVI Incontro nazionale delle cdb

Felice Scalia

Relazione al gruppo giovani (non contenuta negli atti pubblicati)

 

Il  nostro  gruppo  è  un  fatto  nuovo  nei convegni delle Comunità di Base. Una

quarantina  di ragazzi, da diverse parti d’Italia. Abbiamo trattato un argomento

in   qualche  modo  trasversale  rispetto  agli  altri  laboratori,  e  tuttavia

fondamentale.   Il   tema   “Ma  che  vi  sta  succedendo,  ragazzi’’  era  solo

provocatorio.  Voleva  saggiare la percezione che i ragazzi hanno della posta in

gioco  e  la  loro  disponibilità  a  porsi come davvero alternativi all’attuale

andazzo  di  vita.  La  loro risposta ci coinvolge tutti. Abbiamo infatti un bel

parlare  di speranza se poi non sappiamo a chi affidarla. Ecco: a chi affideremo

le nostre speranze.

 

Avremmo  diritto  a sperare se i giovani non si rendessero conto  di quale mondo

si stia costruendo, di quale avvenire li aspetti se tutto rimane così come è.

 

In   una  sollecitazione previa, che voleva essere uno stimolo, ci siamo fermati

su tre parole chiave: globalizzazione, speranza, diversità.

 

a)   La  globalizzazione  cosi come è attuata oggi prevede l’esclusione di masse

enormi  di  uomini  e donne dal diritto alla vita. Un miliardo e 260 milioni gli

‘esuberi  umani’  che vengono tranquillamente censiti dalla Banca Mondiale oggi.

Il sistema prevede l’accentramento della ricchezza in mano a pochissimi. Prevede

il mercato come unica legge con corollari di violenza interna ed estera (tramite

polizia  e  interventi militari) per  sedare  gli oppositori. Il lavoro più duro

sarà  riservato  sempre più a popolazioni povere ed ai nuovi schiavi. La tecnica

‘informatica  compresa - sarà in mano ad un numero minoritario e sarà a servizio

dell’accumulazione di ricchezza, non a servizio della vita di tutti.

 

Si  prevede  in  particolare  l’abolizione  pratica e teorica dei diritti umani.

L’uomo, ridotto a pura merce, è solo una ‘cosa’ di fronte alla quale ci si situa

con il solito collaudato criterio di ‘usa e getta’.

 

E  tutto  questo  lo  si   guarda  come  ‘fine  della  storia’:  punto di arrivo

dell’evoluzione.  Realtà  non  più  culturale (voluta da uomini) ma dalla stessa

natura. Ciascun si arrangi come può ‘ si dice ‘ ‘perché questa è la vita’.

 

Come   elemento   disturbante   (non  voluto,  ma  previsto)  si  guarda  ad  un

inarrestabile  assedio  dei poveri che accerchieranno i paesi ricchi, o le città

opulente. Così i ‘diversi’ sono schiavi da sfruttare o nemici da eliminare.

 

b) La speranza.

 

Di fronte ad una tale situazione si può avere “speranza’’.

 

 

Partiamo  dal  presupposto che l’uomo ha sempre risolto i suoi problemi anche in

tempi  in cui tutto sembrava crollare. Come l’individuo così anche la società può

affrontare e superare ciò che impedisce la vita.

 

C’è  anche  il fatto che la realtà non è solo ciò che si vede. Come c’è un ‘homo

absconditus’  in  ciascuno  di  noi,  una  potenzialità  esistente ma non ancora

dispiegata  ,  così  c’è una umanità ‘nascosta’, una ‘societas abscondita’ che è

realtà  ma viene, giunge, si costruisce per quanto non sempre per le vie che noi

vorremmo.  In  quanto  detto  si riconosce, fra l’altro, il pensiero di E. Bloch

esposto in “Principio speranza”.

 

Ma  il motivo più grande della nostra speranza è la nostra sofferenza, il nostro

disagio.  Esso  è tanto grande che non può non diventare proposta. Ci accorgiamo

di  avere  una  povertà  dentro  ,  di soffrire, anche quando ci adattiamo forse

soffocando  la  stessa  sofferenza.  E’  stato  ricordato Don Milani. E’ lui che

diceva:  ‘Il  futuro  è  dei poveri’ perché i ricchi, i soddisfatti perpetuano il

presente.  Per  essi  la  storia  è  mantenimento dello status quo, annullamento

della storia.

 

In questo atteggiamento di speranza entrano i giovani? E come?

 

c) La diversità.

 

Qualcosa  sta  capitando  fra  i  giovani. Qualcosa che ci rende particolarmente

preoccupati. Sono  troppi i casi di cronaca che ci inducono a pensare come questi

ragazzi siano a rischio di abolizione di affetti, di famiglia, di legami amicali

a  favore  di  ‘cose da ottenere’. Si passa sopra l’uomo pur di avere. Sembra di

dovere  constatare  un  pauroso  cedimento  giovanile  alle ‘cose’ da volere, da

pretendere,  a  tutti  i  costi, anche con il delitto che fa notizia, oppure coi

mille  piccoli  tradimenti  quotidiani.  Aleggia  il  caso  Erika e Omar di Novi

Ligure.

 

Ma  chi  mette  le  cose  prima  delle  persone  non è “ricco’’ Ed i ricchi sono

funzionali al sistema lottano per inserirsi in esso, non per cambiarlo.

 

I  ragazzi sembrano a rischio di sprecare lo stesso amore . Troppi i casi in cui

appare che la ragazza è nulla più di un giocattolo da possedere con esclusività,

fino  al  punto  che se questo ‘giocattolo’ si ribella, viene eliminato. ‘Se non

mia, di nessuno’ ‘ sembra uno slogan abbastanza in voga. Troppi gli assassini di

giovani donne a partire dalla seconda metà degli anni 90.

 

Ma  un giovane che non crede più nell’amore, un giovane che vede, perfino in chi

dice di amare, una cosa di usare, non è omogeneo a questo mondo? Che appiglio dà

alla speranza?

 

 Molti   atteggiamenti   abnormi   non  sono  altro  che  l’esito  delittuoso  e

straordinario   di   stili  di  vita  quotidiani  e  accettati.  Stili  di  vita

perfettamente  in  linea  con  la  logica  che  presiede  alla  attuale  fase di

capitalismo selvaggio e di globalizzazione.

 

Sorge  a  questo punto una domanda cruciale: ci sono o no giovani ‘diversi’, non

omogenei  alla  mentalità di questo mondo? Giovani disposti a distanziarsi dalle

cose come vanno per sognare un mondo diverso, più giusto, più umano, più felice?

 

Una  società  come  la nostra ha bisogno di giovani diversi, alternativi, che non

accettano questo avvenire e ne vogliono un altro.

 

Di  giovani che si dicono ‘alternativi’ ne incontriamo quanti ne vogliamo. Ma di

che ‘alternativa’ si tratta’ . C’è un disagio giovanile che si  esprime in mille

modi.  Ma sembra un disagio ‘povero’, ancora fragile. Basta una kefia per essere

alternativi?  O uno spinello? O una pettinatura strana? O vestiti stracciati con

arte’  Questo  modo  di  uscire  dal  ‘branco’  per  la  via  facile della ‘moda

giovanile’,  entrando  in  un  altro e non meno rigido branco di ‘moda diversa’,

autorizza a parlare di vera ‘Alternativa’?

 

A questo punto si lanciano al laboratorio dei ragazzi alcune domande:

 

- Voi che siete qui, vi rendete conto della posta in gioco?

 

-  Se  vi  sentite  ‘diversi’  rispetto  ad un mondo globalizzato, in che sta la

diversità’ Rispetto a chi, a cosa siete alternativi?

 

- La vostra  fede che c’entra in tutto questo?

 

- Avete paura di essere davvero diversi?

 

- E colui che incontrate ed è diverso, vi fa paura?

 

Le  risposte, tante e non tutte espresse in assemblea, possono forse essere così

raggruppate

 

1)     C’è che ridimensiona il problema.

 

   Quei  giovani  che  sono  alternativi lo sono solo ad una moda non ad altro.

   Prendono  un  binario piuttosto che un altro. Cerchiamo la massa che è comoda

   che  non  ci  fa  pensare.  Siamo  una  generazione  cresciuta con stereotipi

   imposti. Ci dicevano ‘chi’ dovevamo essere per figurare tra i ‘vincenti’. Non

   ci  hanno  dato  la  possibilità di crescere; tutto è stato preordinato. Così

   avvertiamo   insicurezza  e  stanchezza.  Ne  segue una domanda implacabile:

   “Perché  allora  volete addossare a noi un mondo che voi avete fatto e che vi

   fa paura?”

 

  Anche  la  speranza  va  ridimensionata:  ‘Io  non  voglio sperare, io voglio

   agire’.

 

2) C’è chi accenna ad una “diversa diversità”, ad una alternativa seria.

 

   -  Scoprire  la propria unicità e le immense ricchezze di ciascuno. Ascoltare

   la propria anima, al di là delle facile etichette.

 

   - Diventare ‘esseri pensanti’, avere idee, credere in qualcosa.

 

   - Uscire dall’apatia.

 

   - Muoversi camminare insieme è alternativo mentre ci vogliono automi e zombi.

 

   - Unire ai ‘bei discorsi’ l’azione, anche quando raccoglie manganellate dalla

   polizia.

 

   -  Informare , agire, ‘prendere la  parola’. ‘Questo lo possiamo fare tutti’.

   ‘Noi  possiamo informare, possiamo prendere la parola, perché sappiamo. Siamo

   dei privilegiati’.

 

   - Rispettare la cultura degli altri e non vederli come nemici da eliminare.

 

 

   -  Non  stare  all’indifferenza. ‘La pensino come vogliono, ma non sopporto

   l’indifferenza’.    ‘Dobbiamo scegliere il campo del <mi importa>‘.

 

   -  Uscire  dall’ineluttabile.  Non  è vero che il mondo deve essere diviso in

   ‘barboni  e  borghesi’.  ‘Non  è  vero  che le cose devono andare come stanno

   andando;  noi  possiamo  cambiarle’.  ‘L’uomo  ha infinite capacità, dobbiamo

   crederci’.  ‘L’uomo  ha dei limiti; accettarli è salvezza, perché ci mette in

   relazione  gli  uni  con gli altri. Tutti abbiamo bisogno di tutti e possiamo

   donare a tutti’.

 

   3) C’è  chi prendendo la parola ‘diverso’ per designare un individuo che non è

   omologato  al  gruppo  per  stili, razza, comportamenti, si dichiara non solo

   contrario   alla  mentalità   di  chi  vede  il  ‘diverso’  come un nemico da

   eliminare,  ma nota la sua funzione: ‘Mi ha fatto crescere e piangere, mi ha

   spinto a capire come può ragionare un altro, mi ha arricchita’.

 

   4) C’è  chi  fa  notare  che  esistono giovani davvero ‘alternativi’, e quindi

   pericolosi  per il sistema. ‘Se ci facciamo bastonare come popolo di Seattle,

   vuol  dire che crediamo che tutto può cambiare’. ‘E questo ‘tutto’ ‘ aggiunge

   un altro ‘ è la costruzione di una società, di una città in cui tutti abbiano

   diritto alla dignità e alla salute. Perché dobbiamo ritenere ineluttabile che

   ci  siano  zingarelle  che  rubano  per  vivere,  barboni  ridotti a stracci,

   ubriaconi maleodoranti di cui abbiamo ribrezzo? ’

 

   5)  C’è  chi  fa  notare  la difficoltà ad essere veri ‘alternativi’. ‘Non mi

   ascoltano.  Non  sono  gradite le persone  che pensano, che fanno riflettere.

   Sono giudicata noiosa e peggio’.

 

   Concludendo.

 

   La  discussione è stata animata e ad un certo punto si è dovuto scegliere tra

   la  continuazione  dello scambio di impressioni ed esperienze, ed il gioco di

   simulazione  sulla  globalizzazione.  Come si può vedere dagli interventi, la

   funzione  della  fede  nell’essere  alternativi o nell’uscire dalla paura del

   ‘diverso’   per   incontrarlo   in   fraternità,   è  sottintesa,  pochissimo

   esplicitata, oppure in qualche caso, dichiarata ininfluente.

 

   Se  fino  ad  ora  ho  riferito  sul ‘laboratorio-ragazzi’, vorrei aggiungere

   qualcosa in merito a tutto il convegno.

 

     -    Questo  è  il  primo  Convegno  delle  Comunità  di  Base dopo il

     12.03.2000,  dopo la richiesta papale di perdono. Una chiesa che si accorge

     dei  suoi  errori avrebbe fatto gioire Padre Balducci. Fa gioire anche noi.

     E’  un  fatto  inedito,  controverso, proprio come la celebre preghiera del

     papa ad Assisi per la pace. Mi chiedo: questa chiesa ‘diversa’ fa ‘diverse’

     le  Comunità  di  Base,  nate  in  altro  contesto culturale? Questa chiesa

     ‘diversa’  è  quella  del ‘popolo di Dio’, del Vaticano II, quella vicina a

     tante  aspirazioni delle CdB. Non è la chiesa dell’ ‘antivaticano secondo’,

     pur presente e, in alcuni settori, forse vincente.

 

     -    Nella  chiesa  ci  sono  due  anime.  Nello cuore del papa c’è la

     critica  al  liberismo  e  la  nomina  di  vescovi in America Latina legati

     all’Opus Dei. C’è la ‘nuova evangelizzazione’ e il ‘Catechismo della chiesa

     cattolica’.  La  chiesa  è percorsa da questa dualità. Cosa possono fare le

     Comunità di Base per far crescere quell’anima che ci sembra più rispondente

     ai segni dei tempi’

 

     -     Se le CdB non sono una “altra chiesa”, ma una “chiesa altra”, sono

     possibili dialoghi, collaborazioni con chi realmente ‘e non a parole ‘ sta

     tentando una nuova evangelizzazione’

 

     -     Infine,  un  ultimo  interrogativo, forse quello che mi sta più a

     cuore  e  che,  in qualche modo, mi riporta al ‘laboratorio trasversale’. I

     giovani al Convegno sono una novità. Che pensiamo di fare? Troveranno nelle

     CdB  anche la cultura e la fede per dialogare non solo con altre culture ma

     anche  con  i  propri  fratelli di battesimo? Una risposta siamo chiamati a

     darla. Ed è in gioco tutto il nostro senso di responsabilità cristiana