Tutto il 30° Incontro Nazionale delle Comunità Cristiane di Base

narrato da Adista n. 89/2006

 


1)

30° Incontro nazionale delle comunità cristiane di base: la passione per la democrazia, la pratica della laicità

 

Un appuntamento - il 30° Incontro Nazionale delle Comunità Cristiane di Base, svoltosi a Frascati (Roma) dall'8 al 10 dicembre sul tema: "Orizzonti di laicità. Pratiche nelle CdB e nella società" - che segna indubbiamente una tappa significativa nel percorso che le Cdb hanno costruito insieme in questi anni sul tema della laicità, in un momento - per di più - particolarmente delicato della vita del Paese, in cui grande è la confusione sulla cultura e le pratiche politiche e sociali della laicità. Vivacissima ed appassionata la presenza dei circa 350 partecipanti, tra cui una cinquantina di giovani (un dato rilevante per un movimento che, dopo 35 anni di vita, non solo non mostra la corda, ma manifesta nuovi segni di vitalità), che per tre giorni hanno riflettuto e discusso sugli orizzonti ecclesiali e politici del Paese. Certo, i recenti interventi delle gerarchie ecclesiastiche contro il progetto di regolamentazione per legge delle unioni di fatto e il drammatico caso di Piergiorgio Welby hanno reso di ancora più urgente attualità le analisi e le riflessioni svolte durante i lavori, ma in realtà il tema della laicità (e la denuncia del regime concordatario) - è stato sottolineato da Marcello Vigli nell'introduzione - è stato costantemente presente nella storia e nella riflessione delle CdB.

La prima giornata dei lavori si è aperta con il confronto tra intellettuali e politici di orientamento diverso: i rilievi e le critiche all'accentramento wojtyliano e alla gestione ruiniana degli ultimi 15 anni fatti dai relatori – credenti e non credenti - ospiti dell'incontro, mostra come ciò che fino a pochi mesi fa era lasciato ad esclusivo appannaggio di una minoranza bollata come "cattolici del dissenso" o "cattocomunisti" sembra oggi condiviso da settori sempre più larghi del mondo ecclesiale e laico. Così, durante il dibattito che ha aperto i lavori dell'incontro ("Dove va la Chiesa cattolica italiana in una società multiculturale e multireligiosa, in presenza di una crisi del sistema democratico"), forti e radicali critiche all'attuale establishment ecclesiastico ed alla sua linea politico-pastorale sono arrivati sia dalla parte laica del parterre - il filosofo Giulio Giorello, la femminista (direttora del trimestrale Marea) Monica Lanfranco - che da quella cattolica, rappresentata da Giorgio Tonini (senatore Ds-Cristiano Sociali e già presidente nazionale della Fuci) e Marinella Perroni (teologa e presidente del Coordinamento delle Teologhe Italiane).

 

Analfabetismo episcopale di ritorno

La teologa Marinella Perroni ha voluto esprimere un giudizio nettamente positivo dell'assise di Verona, cui lei stessa ha partecipato. Al Convegno ecclesiale - ha detto - "ho incontrato persone diverse dallo stereotipo che ne danno solitamente i media". Un laicato vivace che, specie nel lavoro per ambiti, ha discusso "con serietà e notevole capacità di giudizio critico". Se poi quello che emerge da questo tipo di assise è "il solito teatrino ecclesiastico", la colpa – dice la Perroni – è solo di certa "vergognosa stampa laica". Nel corso del suo intervento non ha però potuto evitare di rilevare anche un certo "disincantato cinismo" che caratterizza da qualche tempo l'azione dei laici cattolici, e il fatto che i documenti che avrebbero dovuto guidare i lavori degli ambiti siano tutti rigorosamente passati "attraverso la varechina della Cei" (e infatti – sottolinea – in molti casi sono stati criticati dai gruppi, "tanto da costringere i relatori a rettificare le linee delle relazioni iniziali"). Anche la presenza del papa è stata vissuta dall'assemblea "con grande entusiasmo, ma anche con fatica", perché ha finito per monopolizzare un'intera giornata delle tre concesse all'assemblea per portare a termine i lavori. La Perroni non ha mancato poi di sottolineare come il discorso di Benedetto XVI fosse "speculare a quello di Ruini". Sembrava quasi che "mezzo discorso dell'uno fosse stato scritto dall'altro, e viceversa". Una linea di reciproca legittimazione che - dice la presidente del Coordinamento delle Teologhe Italiane - l'assemblea in gran parte non ha condiviso. Ciononostante - ed è una contraddizione rilevata dalla stessa Perroni durante il suo intervento - ben 52 applausi hanno scandito il discorso del presidente della Cei. Insomma, anche il quadro ecclesiale tratteggiato dalla Perroni ha assunto via via tinte piuttosto fosche: la teologa ha infatti parlato di una Chiesa dove è altissimo, "forse più che in ogni altro Paese europeo", "il tasso di analfabetismo episcopale". Dove ormai tra teologi e vescovi non c'è più alcuno scontro "semplicemente perché non esiste alcuna occasione di incontro", dove è sotto gli occhi di tutti "il processo di ‘ciellenizzazione'", perché, se "sulla cattedra di Mosè sono ormai da tempo seduti i movimenti, è altrettanto vero che alcuni sono seduti più in alto di altri". Per la Perroni, tuttavia, questo stato di cose è destinato a cambiare in tempi brevi perché - afferma - è sempre più diffusa tra i credenti "la fame di una Chiesa che torni a fare la Chiesa". E poi, conclude la Perroni, i tanto sbandierati "valori non negoziabili" che oggi la gerarchia ecclesiastica difende a spada tratta in realtà non hanno senso: "non esiste nulla nell'umana realtà di non negoziabile, tanto più per la Chiesa cattolica che ha sempre negoziato tutto, anche la morte, tanto che i cattolici parlano dell'aldilà…".

 

Azzerato il laicato cattolico

Dal canto suo il senatore Tonini si è chiesto come mai (a parte l'inevitabile presenza istituzionale di Prodi e – per par condicio – anche di Berlusconi) a Verona i politici non fossero stati invitati. Al di là dell'opportunità di non trasformare il Convegno ecclesiale "in una specie di ‘Porta a Porta'", per Tonini questa scelta denuncia ancora una volta, da parte della Chiesa italiana, la difficoltà di rapportarsi con la politica dopo la scomparsa della Dc. Un imbarazzo che – spiega Tonini – nasce dal fatto che il "bipolarismo, sia nel suo aspetto politico che in quello culturale", si è ormai "incuneato in modo profondo anche nella Chiesa", che soffre oggi al suo interno di una forte stratificazione. Il primo strato - spiega Tonini - è quello rappresentato dal vertice ecclesiastico che, per più di 20 anni, è stato schiacciato dalla titanica leadership di Giovanni Paolo II che, attraverso il cardinal Ruini, ha di fatto "commissariato la Conferenza episcopale italiana". È noto infatti, chiosa il senatore Ds, che "le conclusioni delle assemblee dei vescovi fossero stampate ancor prima che iniziassero i lavori" e che il ruolo del presidente dei vescovi somigliava più a quella di un "commissario prefettizio" che a quella del presidente di una Assemblea. Così, a lungo andare, "il dibattito teologico si è spento", tanto da apparire oggi più simile ad un "dibattito filologico", ed ogni elemento di polemica o semplicemente di critica intraecclesiale è stato percepito "come elemento distruttivo". A legittimare di fatto la "stagnazione" di questo primo strato – quello gerarchico – in cui si struttura oggi la Chiesa italiana è una larga fascia di credenti, costituita da quella "opinione perbenista che vede nella Chiesa un elemento di stabilità e non ama i fermenti e le sorprese. Sono gli stessi che, significativamente, hanno applaudito Berlusconi al suo arrivo al Convegno di Verona". È vero, ammette Tonini, che nelle diocesi e nelle comunità ecclesiali è sopravvissuta una fascia di credenti "liberi" ("penso alle Caritas, all'associazionismo, alle scuole di teologia per laici, al volontariato"), che costituisce uno strato intermedio tra il vertice della Chiesa e la sua base di consenso, ma questi settori sono divenuti troppo minoritari per poter incidere realmente su assetti ormai consolidati. L'analisi di Tonini si spinge così ad affermare che, in senso proprio, non esiste più neanche un vero e proprio laicato cattolico, nel senso di personalità di spicco del modo cattolico che vivano "di luce propria", che riescano cioè ad esprimere autonomamente una propria visione della Chiesa e della società. Questo laicato, "come dimostra la vicenda delle Acli", in un passato non lontano costituiva la parte più vivace della Chiesa: oggi, "molto semplicemente è stato azzerato". Negli ultimi tempi si è aperta però - secondo Tonini - una fase di transizione per cui gli equilibri consolidatisi negli ultimi 15-20 anni sono destinati a "rompersi in tempi assai brevi". Perché, spiega il senatore Ds, è "l'impalcatura stessa della Chiesa a non reggere più", a partire dalla crisi stessa delle vocazioni presbiterali.

 

La nevrosi dell'identità

Giulio Giorello ha esordito confessando alla platea di interessarsi alle sorti della Chiesa, "più o meno quanto ad un palestinese interessa dove va Israele, o a un nord irlandese il destino del Regno Unito". Un'esperienza, quella rivendicata dal filosofo, sempre "fuori dal recinto del sacro", dentro un mondo laico che, per definizione, "non ha gerarchia, né ortodossia, né partito", e che, per questa sua caratteristica, "è costituzionalmente più debole" di fronte alle Chiese e alle fedi. Inoltre, negli ultimi anni, campi come quello della bioetica, "nati con una connotazione fortemente laica e positivista", sono diventati "terreno di egemonia religiosa, tanto che ormai nei comitati etici gli esperti e gli scienziati latitano". Da parte dei laici, urge allora comprendere che "le vere contrapposizioni non sono quelle tra credenti e non credenti, cattolici e laici, etica religiosa ed etica laica, ma tra persone che seguono una logica assolutista e altre che seguono una logica della fallibilità". Oggi infatti, rileva Giorello, c'è nel nostro Paese una "nevrosi dell'identità, che arriva ad abbracciare anche gli aspetti più minuti della quotidianità". A questa logica non è sfuggita nemmeno la Chiesa, che "da Giovanni XXIII in poi è progressivamente divenuta una burocrazia dello spirito e ha smesso di prendere in considerazione serie posizioni laiche". Peccato: perché di fronte alla Chiesa di oggi non c'è più - dice Giorello - la vecchia sfida al liberalismo o al marxismo; piuttosto, quella "dell'impresa tecnico scientifica, che ha rimodellato categorie come la morte, la vita, la famiglia, il rapporto tra il diritto e la genetica. Questioni che toccano le scelte personali quanto quelle del legislatore", e che, se non vengono affrontate con urgenza, portano a compiere scelte come quelle fatte sulla pelle di Piergiorgio Welby, "espropriato del diritto che dovrebbe essere garantito a ciascuno di poter decidere di se stesso". La sinistra, poi, "di fronte al disagio ed alla discriminazione quotidiana che in tanti oggi sono costretti a vivere", deve capire "che il conflitto è comunque preferibile al conformismo". E che scienza e tecnica rischiano di trovarsi sotto il controllo di un'etica impazzita, "che non distingue tra l'accettazione della fine della vita con il dare la morte". Così l'identità, che pure può essere un valore importante, "non deve assumere il carattere di feticcio". Se, infatti, "la cultura viene definita una volta per tutte, si finisce per creare dei ghetti – seppure di lusso – in cui le comunità vivono separate le une dalle altre". Per questo, dice Giorello, "multiculturalismo è una parola che non mi piace, perché in fondo è nell'essenza stessa del termine ‘cultura' la dinamicità. Le culture in senso statico non esistono perché vivono solo nel continuo scambio, nella contaminazione reciproca".

Un concetto fortemente sottolineato anche nell'intervento di Monica Lanfranco, che ha parlato di come la laicità, intesa come "ricerca qui ed ora di un orizzonte politico-sociale comune sul tema dei diritti", possa costituire una chiave per sconfiggere la cultura delle enclaves. Ma "la Chiesa e le fedi cercano di impedire l'esplicitazione di queste forme di libertà, che si oppongono alla logica di chi pretende di identificare reato e peccato".

(valerio gigante)

 


 

2)

"Confronti e vissuti" dalla Spagna all'Italia. ma Zapatero non abita qui”

 

Dopo il confronto sulla Chiesa italiana i lavori del XXX Incontro Nazionale delle Comunità Cristiane di Base (v. notizia precedente) sono proseguiti con una relazione del teologo spagnolo Juan José Tamayo, segretario dell'Associazione teologica spagnola Giovanni XXIII sul rapporto tra Stato e Chiesa in Spagna, in ordine alla legislazione su famiglia, insegnamento della religione nella scuola e finanziamenti statali. Ne emerge il quadro di un Paese che, uscito solo in anni recenti da una dittatura fascista, rimane in gran parte ancorato al modello dello Stato confessionale creato da Franco. "Tra le cause di questa situazione - ha detto Tamayo - è opportuno citarne due. La prima è data dalle resistenze della Chiesa Cattolica: è contraria allo stato laico, non accetta il clima di secolarizzazione, accusa il governo di fondamentalismo e laicismo; richiama l'attenzione sul crescere delle tendenze laiciste, con l'appoggio del potere politico; si sente scomoda nella democrazia. La seconda è costituita dalle contraddizioni dei successivi governi di centro, di destra o di sinistra, che per ragioni elettorali o di opportunità politica hanno continuato a mantenere i privilegi della Chiesa Cattolica". La recente visita del papa Benedetto XVI a Valencia per la chiusura del V Incontro Internazionale delle Famiglie, "organizzato da settori dell'Opus Dei, dal cardinale L¨°pez Trujillo e dal Partito Popolare", non ha fatto che rafforzare la linea di scontro frontale scelta nei confronti di Zapatero, poiché ¦ E’ stata "programmata come una specie di gigantesca messa in scena con la quale il Vaticano e la gerarchia ecclesiastica spagnola stanno incalzando l'esecutivo e il potere legislativo". Eppure, afferma il teologo, "le recenti leggi sul matrimonio approvate dal Parlamento spagnolo, sede della sovranità popolare, non attentano all'integrità della famiglia; al contrario l'appoggiano e la rafforzano. Quello che fanno è ampliare l'orizzonte dei diritti umani, difendere la libertà e l'uguaglianza, ed eliminare gli ostacoli che obbligavano alcune persone a vivere in coppia in modo clandestino e con vergogna". La risposta a questa ingerenza ecclesiastica non può però essere quella di relegare la religione a fatto unicamente privato. Piuttosto, le Chiese devono assumersi "la responsabilità sul piano etico e sociale, ma anche politico, non attraverso nuove alleanze con il potere e meno ancora costituendo esse stesse un potere, ma esercitando la critica al potere, compromettendosi nei processi di emancipazione e appoggiando i movimenti di liberazione, in modo particolare i movimenti sociali e di globalizzazione alternativa". Fermo restando che "lo Stato laico costituisce il marchio politico e giuridico più adeguato per la difesa della libertà di coscienza, della libertà religiosa, della neutralità dello Stato in materia religiosa e del principio di uguaglianza".

Mentre la giornata del 9 è stata interamente dedicata al lavoro dei laboratori, nell'ultimo giorno si è svolto un dialogo a cui hanno preso parte la sezione italiana del movimento internazionale "Noi Siamo Chiesa", l'agenzia di informazione "Adista", l'associazione di cattolici democratici "Agire politicamente", i Beati costruttori di pace, l'associazione di omosessuali cattolici "Il Guado", il centro ecumenico "Agape", la comunità "Nuovi Orizzonti" di Messina e l'associazione "Il Graal".

Senza l'intenzione di annacquare le differenze e diluire le specificità, dal XXX Incontro delle Comunit di Base emerge la volontà di costruire un percorso comune, perlomeno sulla base di alcuni obiettivi condivisi, con gruppi e associazioni che, pur esterni all'area delle Cdb, rivendicano la laicità come valore e la scelgono come metodo.

Tra coloro che sono intervenuti al dibattito, molti hanno espresso preoccupazioni in rapporto al contesto ecclesiale, politico e sociale presente. La preoccupazione di natura ecclesiale, come quella di Vittorio Bellavite ("Noi Siamo Chiesa") che, a partire dal Convegno ecclesiale di Verona, evidenzia la paura e l'arroccamento della Chiesa italiana: C’è stato dato "poco spazio al laicato", i partecipanti sono stati "rigidamente selezionati", il dibattito è stato ridotto ai minimi termini e, soprattutto, "non c'è stata nessuna indicazione conclusiva e nessun documento finale del Convegno" che, "se ci sarà, verrà scritto dalla presidenza della Conferenza episcopale italiana". O di natura politica, come quella di Maria Rosa Biggi ("Agire politicamente"), allarmata per "l'uso politico della religione" che viene fatto dai partiti con il placet della Cei. Oppure riguardanti direttamente la democrazia nel nostro Paese, come quelle di Gianni Geraci ("Il Guado") che rimprovera alla Chiesa un totale smarrimento dell'idea e del concetto di laicità, cioé "del rispetto dell'autonomia delle realtà terrene".

Più arduo fare sintesi dei diversi "propositi per il futuro" che le Cdb chiedono di esprimere: Bellavite propone di impegnarsi "fin da subito" a fare pressioni sul Parlamento perché vengano approvate leggi sulla libertà religiosa e sui Pacs; don Albino Bizzotto (Beati i costruttori di pace) suggerisce di promuovere campagne sulle questioni del disarmo, dalla pressione sulle "banche armate" alla riduzione delle spese militari; p. Felice Scalia ("Nuovi Orizzonti") e Geraci invitano a "riscoprire la vocazione profetica della Chiesa" soprattutto sui temi economici e della globalizzazione neoliberista, fonte di povertà per gran parte degli abitanti del pianeta. Ad unire tutti la necessità di lavorare insieme: "costruire una rete che possa connettere, senza sovrapposizioni, tutti coloro che esprimono un pensiero critico".

(valerio gigante e luca kocci)

 


 

Precisazione / 1

Gentile redazione,
la mia partecipazione al 30.mo convegno delle Comunità di Base tenutosi a Frascati dall'8 al 10 dicembre u.s. ha comportato che una sintesi del mio intervento alla tavola rotonda iniziale venisse riportata sul numero 89/2006 della vostra rivista. Mi rincresce dover far presente che, anche se costruita a partire da frasi virgolettate, tale sintesi sommariamente antiecclesiastica non rende ragione dell'insieme del mio pensiero, che mi è stato richiesto di sviluppare a più riprese, "dialogando" con gli altri interlocutori. Mi dispiace se il mio sforzo di presentare nel modo colloquiale richiesto dall'occasione il mio punto di vista vi ha indotto a proporre una selezione di quanto da me detto che finisce per non rispecchiare né le mie intenzioni né la mia modalità di appartenenza ecclesiale. Attribuisco alla mia connaturale mancanza di cautela non aver pensato che le mie parole, e soprattutto alcune, sarebbero state particolarmente enfatizzate in vista di finalità polemiche a me del tutto estranee come credente e del tutto lontane come ruolo ecclesiale. Vi chiedo gentilmente di rendere pubblica questa mia rettifica. Cordialmente

Marinella Perroni

Roma



Risposta di Adista


Non c'è molto da dire. Nella sua lettera, infatti, Marinella Perroni non smentisce nulla di ciò che noi abbiamo scritto nella nostra cronaca del convegno delle CdB. Ci imputa di aver riferito le sue critiche alla Chiesa italiana senza dare lo stesso rilievo agli apprezzamenti che pure a Frascati aveva manifestato. A parte il fatto che abbiamo dato sinteticamente conto anche di quelli, noi, come giornalisti, nel fare la sintesi di un intervento, cerchiamo di cogliere - non per "finalità polemiche" - ciò che ci sembra possa costituire notizia. E ci è sembrata "buona notizia" che una teologa, oltre ad apprezzare i lavori del Convegno ecclesiale di Verona, abbia manifestato delle affettuose critiche alla linea con cui la gerarchia aveva preparato e gestito l'evento.
Volevamo che le lettrici e i lettori di Adista sapessero che, grazie ad una donna teologa, si fosse squarciato il velo del silenzio entro il quale negli ultimi decenni è rimasta rintanata la teologia italiana.

 

 

 

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