La “virtù” della laicità



di Pier Giorgio Rauzi


Da L’invito n. 197.2004

Per i 25 anni di vita del quindicinale d’informazione QT (QuestoTrentino), nato appunto nel 1981, il direttore dello stesso mi chiedeva di commentare e chiosare quella porzione di notizie e commenti che in questo 5 lustri l’archivio elettronico del periodico ha raccolto sotto le voci: “Società/Cattolici” e “Istituzioni/Curia”. Da questa lettura postuma ho ricavato alcune riflessioni che mi piace riprendere qui per gli abbonati e lettori de L’INVITO con qualche modifica e alcuni approfondimenti.

A un primo scorrere di quegli articoli che l’archivio mi ha messo in rassegna si ha quasi la sensazione che, per certi aspetti almeno, il tempo si sia fermato a rimestare sotto i ponti la stessa acqua di 25 anni fa. Nel 1981 infatti stavamo parlando, discutendo e scrivendo del referendum per abrogare la legge 194, che disciplina l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG), e il quindicinale trattava l’argomento con un’intervista alla teologa Wilma Gozzini, la quale, alla domanda dell’intervistatore se lei, teologa cattolica, “considerava la legge in vigore una legge abortista, un male minore, un bene da difendere”, rispondeva: “Un bene da difendere, ma soprattutto da attuare. La legge – continuava – vuole rimuovere le cause che spingono una donna ad abortire; essa chiama alla partecipazione, alla solidarietà: ogni ragazzino che viene al mondo è ‘roba nostra’, ci sta a cuore. Al di là delle sterili, prive di fondamento, tragicamente vuote polemiche del cosiddetto ‘movimento per la vita’ – come se tutti gli altri ‘si muovessero’ per la morte! – il compito che abbiamo davanti è attuare la legge”. C’era poi un articolo di fondo che nel titolo sintetizzava le ragioni del NO all’abrogazione di quella legge: “L’autodeterminazione della donna, la sua libertà, la sua dignità”. Successivamente i commenti al risultato elettorale del referendum inducevano a riflettere quanto i promotori dello stesso e i loro improvvidi sostenitori della destra cattolica integralista dovessero prendere atto che la società italiana non era come loro la immaginavano o la desideravano. Il risultato referendario poteva addirittura rivestire i caratteri di una buona notizia perfino per molti fedeli cattolici credenti e praticanti.
Oggi – autunno 2004 - siamo qui a commentare la raccolta di firme per abrogare una legge datata 2004 (quella sulla fecondazione assistita) che in un recente convegno di studio promosso dalla Facoltà di Giurisprudenza dell’Ateneo trentino si conveniva definire, da parte di tutti gli esperti lì riuniti, “un mostro giuridico” e qualcuno aggiungeva “con evidenti caratteri clerico/fascisti più che confessionali”. Sono passati 25 anni, ma la disputa sembra essere ancora lì a girare intorno allo statuto dell’embrione, alla dignità e alla libertà della donna, alla scientificità dell’assunto, con la scienza e gli scienziati stiracchiati al di qua e al di là dai due campi avversi (senza che nessuno avanzi riserve su quella strana “fede nella scienza” che chi scrive da tempo considera un ossimoro da cui prendere laicamente le distanze). Oggi c’è solo un rovesciamento di campo, forse non irrilevante, che ritengo sarebbe opportuno porre in evidenza: allora erano i clericali e i reazionari di complemento a promuovere la raccolta di firme per il referendum abrogativo e a promuoverlo, mentre oggi l’iniziativa referendaria è passata nelle mani dei radicali (che già sono riusciti a svuotare di credibilità presso troppi cittadini questo “straordinario” mezzo democratico) e di larga parte delle forze di centrosinistra. Ma resta evidente che il vero obiettivo della legge che oggi i raccoglitori delle firme vogliono abrogare e di chi l’ha voluta e approvata, è quello di porre le premesse per cancellare la 194, che il referendum del 1981 aveva confermato a furor di popolo. Sarà il risultato della campagna per il referendum, se questo andrà in porto, a dirci se questi 25 anni hanno lasciato dei segni anche nella società civile o se anche questa (e la distinzione non sembri peregrina) si stia invece adeguando alla società politica che esprime maggioranze e governi di centrodestra che queste leggi impongono al paese. E il risultato delle elezioni americane (accanto al recente arruolamento tra le file di coloro che non possono non dirsi cristiani di “laici”(?) stagionati come Pera e come Ferrara che si sentono crocifissi uno a destra e l’altro a sinistra del “martire” Bottiglione, povera vittima di complotti europei anticristiani) dovrebbe dare qualche segnale quantomeno di problematicità delle forze in campo.

Questo argomento ci permette di introdurre, accanto alle riflessioni sugli eventi che anche noi su L’INVITO abbiamo registrato e chiosato nei nostri 26 anni di vita, una serie ulteriore di riflessioni sul problema sempre più intrigante della laicità. Anche qui non è facile intendersi quando si fa ricorso a questo termine: la explicatio terminorum (= la spiegazione dei termini) di antica memoria, in premessa del discorso che s’intende fare, è metodologicamente preziosa e importante, ma non sempre facile né semplice né univoca.
Laicità come metodo? Come valore? Come virtù? Come laicismo?
In molti contesti si tende a far coincidere laicità con “laicismo” come frutto prezioso che dall’illuminismo in poi ha sottratto la società e l’individuo, ma anche la scienza e il sapere, lo stato moderno e la famiglia, la vita nell’aldiqua e la storia, al dominio e al controllo ecclesiastico/clericale. Ed è una coincidenza, quella tra laicità e laicismo come se fossero sinonimi, che il potere ecclesiastico tende ad alimentare tutte le volte che cerca di conservare un proprio spazio di potere o di riconquistare avamposti perduti, così nel rinnovo di concordati e di intese, nella scuola, nell’elargizione dell’8 per mille, nell’elaborazioni delle leggi, là dove cerca di costringere i “cattolici in politica” a legiferare sul “peccato” come “reato” o su un modello unico di famiglia ideologicamente connotato o sul riconoscimento giuridico della personalità dell’embrione e in svariati altri ambiti del vivere civile, pretendendo che i laici cattolici credenti e praticanti si adeguino ossequienti alle direttive del magistero anche lì dove questo procede a progressive riduzioni della fede a religione, della religione a etica e dell’etica a ideologia perlopiù conservatrice di un potere autoritario. In tutte queste occasioni le firme “laiche” della stampa e dell’opinione pubblica (dove, prima delle ultime defezioni dei vari Pera e Ferrara con rispettivi adepti di cui abbiamo fatto cenno, come laici si qualificano e si propongono gli agnostici e i non praticanti) trovano alimento e legittimazione alla loro collocazione, fino a pensare e a scrivere - spesso con buone ragioni - che senza la o le religioni il mondo funzionerebbe meglio, sarebbe più pacifico e le convivenze tra umani sarebbero più ragionevoli. Ma forse non sarebbe male se qualche volta queste stesse firme rivolgessero anche qualche pensiero di riconoscenza proprio a quell’ora di religione o a quella catechesi o a quella prevaricazione ecclesiastica e clericale che è riuscita a far loro conquistare quegli spazi di libertà interiore ed esteriore che una fede, garantita dall’ortodossia istituzionale e a essa succube, tendeva a barrierare con ossequio acritico e sacrale. “Ateo per grazia di dio” – si riteneva Bunuel, dopo un’adolescenza e una giovinezza passata alla scuola dei gesuiti spagnoli dei suoi tempi. E questo per evitare di cadere in un laicismo ideologico e scientista tutt’altro che sinonimo di laicità in cui non è difficile imbattersi e che Bunuel stigmatizzava e continua a stgmatizzare efficacemente nel suo film “La via lattea”.
Ma se per laicità s’intendesse invece un “valore” o addirittura una “virtù” di precisa e diretta derivazione biblico/evangelica, ecco che l’approccio cambierebbe (e per chi scrive cambia) di segno. A partire dalla constatazione troppo spesso trascurata che Gesù era rigorosamente laico, non faceva parte della tribù di Levi e con la casta sacerdotale è andato in rotta di collisione fino a morirne, ma non per questo si sentiva autorizzato a sottrarsi al senso di appartenenza al suo popolo (Gesù era e resta un ebreo), né all’osservanza della legge di cui interpretava e praticava lo spirito (il sabato per l’uomo e non l’uomo per il sabato), né agli adempimenti rituali e al rispetto dell’autorità religiosa del suo tempo. Se prendiamo la tradizione biblica vediamo come l’aspetto profetico laico e l’aspetto istituzionale sacro si snodino paralleli, quasi sistematicamente conflittuali, il primo attento al mutamento e promotore dello stesso, il secondo arroccato nella conservazione e nella gestione sacrale del potere; il primo vigile e pronto a denunciare le degenerazioni del potere a cui non concede mai il carattere di assolutezza sacrale, il secondo indaffarato a delegittimare, quando non a perseguitare, questi fastidiosi rompiscatole; i profeti tesi a promuovere lo spirito della legge cogliendone nello spirito l’autorevolezza di Dio, l’istituzione preoccupata a declinare la lettera in codici e pandette attingendo all’autorità di gerarchie autoreferenzialmente dichiarate sacre e infallibili. Nessuno dubita che Gesù s’inserisca a pieno titolo nel filone laico profetico. Ma questo doppio filone dialettico e conflittuale è facilmente individuabile anche dopo la tradizione biblica nella storia del cristianesimo e della chiesa fino ai giorni nostri, in un intreccio dove il filone profetico spesso costretto per lunghi periodi a percorsi carsici, riesce talvolta a riemergere e a far breccia nella stessa sacralità dell’istituzione. L’esempio più recente e significativo ci sembra quello di papa Giovanni e del concilio Vaticano II, dopo il quale peraltro l’istituzione/apparato tende a prendersi progressivamente la rivincita fino a neutralizzarne in buona parte l’efficacia, rivincita che simbolicamente trova la sua sanzione quando impudicamente riesce ad appaiare nella gloria del Bernini Giovanni XXIII con Pio IX.
La “laicità” dunque come virtù anche per i credenti e come “metodo” che dà spazio e dignità alla collaborazione tra laici agnostici e laici credenti per il bene comune. E in questa accezione di “laicità” è possibile paradossalmente, ma legittimamente collocare perfino qualche chierico, come quel don Piero Rattin, il quale, intervistato sul quindicinale di cui si festeggiano le nozze d’argento con il Trentino da un agnostico dichiarato (felice sintesi delle due tipologie di laicità), si rifà al compito profetico della chiesa che – afferma -“se mette il silenziatore alla profezia”… finisce col “ridursi ad agenzia di servizi religiosi”.

In questa luce possiamo andare al di là di quella sensazione di immobilità che ci è venuta dal primo argomento che abbiamo affrontato in queste note e vedere come in questi 25 anni gli eventi che si sono succeduti, per restare nell’ambito dove quest’indagine d’archivio mi ha collocato, possono essere visti e, da qualcheduno vissuti, come indicatori di questa costante contrapposizione sacro/profano, istituzione/profezia, chierici/laici probabilmente non superabile e addirittura feconda: dal referendum sulla 194 e relativi esiti agli intriganti viaggi del papa in America Latina con la condanna della teologia della liberazione e le strette di mano a feroci dittatori grondanti sangue e repressione; dalla revisione del concordato con le ricadute sull’insegnamento della religione cattolica nella realtà dell’autonomia locale alle valutazioni sull’8 per mille e relativa destinazione dei proventi che ne derivano; dall’arrivo del vescovo Sartori scelto dall’on. Piccoli e sodali per “normalizzare” la diocesi di Trento al conseguente licenziamento di don Cristelli dalla direzione di Vita Trentina; dalla visita “festiva” del papa a Trento alle strane battaglie di cristianità del vescovo Sartori fino alla sua morte che gli yesmen di cui si era circondato hanno contribuito a rendere “selvaggia” più che cristiana – come la connota in questa distinzione Ph. Ariés; dall’attesa della designazione del nuovo vescovo all’arrivo dello stesso nella persona del trentino mons. Luigi Bressan; dalle speranze di un rinnovamento vivificante alle delusioni di una routine quasi rassegnata; dalla morte del vescovo emerito mons. Gottardi alla chiesa del silenziatore.
Questo per limitarci a eventi salienti registrati in questo archivio di riferimento.
Agli eventi poi vanno aggiunti gli argomenti che vi ricorrono con maggior frequenza, argomenti che affrontano con rilievi critici la severità del magistero ecclesiastico a proposito dell’etica sessuale a fronte dell’indulgenza dello stesso magistero e dei suoi silenzi profondi quando si passa all’etica degli affari; rilevano poi, sempre con attenzione critica, vari altri pronunciamenti del magistero dei quali si mettono in luce le contraddizioni: esaltazione della donna e misoginia, pari dignità delle varie religioni e Christus Dominus indicato da Ratzinger come unica via di salvezza e via discutendo fino alla recentissima scoperta del comunismo come “male necessario”. Si possono poi aggiungere argomenti che vanno dal problema dei cattolici in politica (dove l’accostamento tra don Baget Bozzo e padre Alex Zanotelli, tra Buttiglione e Prodi fa subito emergere le incompatibilità più che le convergenze) fino al più vasto tema dei rapporti tra fede religiosa e politica nel mondo islamico come nell’occidente cristiano (dove molti vescovi cattolici americani preferiscono il fondamentalismo protestante di Bush alla tolleranza cattolica di Kerry); dalla religione degli italiani al rapporto di questa con la secolarizzazione del mondo moderno (“Forza della religione debolezza della fede – come titola un rapporto di ricerca sulla religiosità in Italia); dalle questioni della pace e della guerra fino ai problemi che pone la presenza dell’Islam nel nostro contesto trentino, italiano e occidentale; dall’importanza di un diritto “mite” che laici credenti e agnostici ritengono la strada maestra per legiferare efficacemente e credibilmente in materie controverse e sperimentali alla rigidità di un diritto “forte” scelto da clericali e neoconservatori credenti e agnostici in santa alleanza; e l’elenco di queste endiadi contrapposte potrebbe continuare fino ad annoiare il lettore.
Ritengo sufficienti queste esemplificazioni per dimostrare quanto la laicità come virtù e come metodo sia preziosa e a momenti indispensabile per collocarsi nella storia e nella quotidianità in questo rapporto dialettico e conflittuale che ci aiuta a evitare, credenti e agnostici insieme, le derive fondamentaliste sia di matrice religiosa che di matrice profana. Anche se non sarà sempre facile, pur con l’aiuto di questa virtù, tenere la barra dritta per navigare indenni nel mare periglioso della storia evitando sia di arenarsi nelle secche attraenti e rassicuranti dell’alienazione (religiosa o profana che sia) che di naufragare sugli scogli dell’anomia irti di crisi identitarie.