Giancarla Codrignani

Chiesa  e Politica 

Koinonia Forum 86  Febbr.2008

 

Laici e cattolici, se in questo periodo parlano di chiesa istituzionale, debbono sapere che parlano soltanto di politica. E di politica impropria.  Ciò dà ragione a chi pensa che i credenti sensibili al bisogno di rifarsi a quel Gesù di Nazaret pochissimo nominato da chi intende parlare a suo nome si debbano configurare come protocristiani del nostro tempo. Infatti, la gerarchia avanza argomentazioni e problemi che non corrispondono né alle richieste spirituali di una società a disagio nella modernità, né alla continuità di una chiesa-visibile nel contesto di un futuro difficile per le religioni, nonostante l’apparente rivalutazione del sacro.  E’per questo necessario non solo riflettere più profondamente a partire dalla “pluralità” culturale delle società del nostro tempo, e ancor più delle pluralità religiose interne alle chiese.

Ho partecipato recentemente a un Convegno di Biblia, associazione laica di cultura ebraico-cristiana, che aveva per oggetto la conoscenza delle posizioni, fra il I e il II secolo, di ebrei e cristiani, nella complessa relazionalità fra chi si sentiva ebreo innovatore oppure già dissociato dalla sinagoga e chi pagano in ricerca. La chiesa-istituzione, nella sua funzione storica di coordinamento e organizzazione (necessaria, come dimostrano i musulmani, che hanno tratto ben altre difficoltà dall’assenza di un Vaticano islamico), doveva - e poteva - essere di servizio, mentre, fin da Teodosio è stata di potere.

Oggi il ritorno al “regime di cristianità” è diventato impensabile e una chiesa che aspiri al potere non poggia più su basi tradizionalmente osservanti, bensì sulla irrilevanza di messaggi e riti la cui simbologia resta estranea a chi non ne percepisce più il senso. Di qui la disponibilità alle mediazioni con i poteri costituiti e con i poteri forti della comunicazione e alle alleanze con gli atei devoti, se portatori di interessi compatibili per strumentalizzazioni in cui non si sa chi vince e chi perde, se la posta sono i finanziamenti alle opere di religione o le garanzie formali “per la vita”.

Uno spettacolino mediatico come quello messo su da Giuliano Ferrara in piena sintonia con il card.Ruini e diventato subito gioco politico contro il governo Prodi non si era mai visto. Si racconta che Ferrara transiti di frequente a casa del card.Biffi per approfondire la sua originale contraddizione fra ateismo e devozione. La cosa potrebbe non avere alcuna rilevanza, se i progetti elettoral-televisivi - che sostituiscono (per ora) le “madonne che piangono”- non avessero il potere di far mutare il clima politico. Non solo l’azione (e la reazione) maldestra dell’Università di Roma con l’inaugurazione dell’anno accademico affidata al Papa, ma la strumentale analogia fra l’aborto - responsabilità individuale non obbligante - e la pena di morte - deliberata e resa legittima dagli Stati - producono disorientamento. Si mescolano gli interventi (e i controinterventi) sul degrado della Roma del sindaco Veltroni, il riorientamento dell’altare nella cappella Sistina, il sostegno all’Udc di Casini (divorzio a parte), la preghiera per la conversione degli ebrei, l’intervento del direttore dell’Avvenire in tv per reclamare un partito cattolico, i miracoli di Vespa a Lourdes Se così cambia il clima “ufficiale”.

Quello che è successo pochi giorni fa è effetto di questo clima: anche se non vi sono singoli atti illegali da denunciare, non si era mai sentito che la polizia intervenisse in forze (sette agenti) su denuncia anonima in un ospedale pubblico dove una signora alla sua prima gravidanza aveva chiesto l’interruzione, dopo aver conosciuto la grave malformazione che attendeva la nuova vita. E’successo a Napoli, dove ognuno pensa che la polizia, invece di interrogare una persona appena uscita da un’anestesia per un intervento anche psicologicamente doloroso o invece di sequestrare il feto (corpo di reato?) avrebbe ben altro da fare: ai tempi fortunatamente lontani della clandestinità le questure e la magistratura non si curavano delle innumerevoli pratiche abortive, silenziosamente adeguati alla correità della doppia morale. Oggi qualcuno torna a chiamare assassine le donne e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: supporto alla politica reazionaria, distacco dalla chiesa per molte donne.  Il bisogno di laicità viene condizionato dall’equivoco della “sana” laicità e dalla condanna di agnosticismo o di relativismo per chi distingue le scelte personali, di gruppo o di parte e il diritto di tutti al rispetto per pensieri ed esigenze sociali, che non obbligano nessuno anche quando per legge sono consentite. Le società riflettono la storia; e la storia delle religioni - lo sappiamo bene - racconta violenze ormai inaccettabili proprio per chi ha a cuore l’interesse religioso.  Qualcuno potrebbe sostenere, infatti, che la chiesa legittimamente denunci pratiche di peccato. Se fosse vero, lo ricorderebbe non ai governi, ma ai fedeli di tutti i paesi e non limiterebbe le riprovazioni solo all’Italia e alla Spagna, paesi entrambi in vigilia di elezioni. Inoltre, se avesse pietà per le donne che ricorrono all’aborto, evangelizzerebbe i maschi.  Infatti, chi volesse porre fine all’interruzione “volontaria” di gravidanza, dovrebbe smettere di credere che le donne concepiscono per partenogenesi o che sono così masochiste da volere i ferri del chirurgo.  L’aspirazione alla “maternità libera e responsabile” si scontra con l’irresponsabilità dei loro compagni. La lettura femminista della Bibbia consente di vedere esemplare il comportamento del dio cristiano: l’angelo viene inviato a Maria non per comunicarle un fatto, ma per annunciarglielo.  Maria poteva dire di no: disse di sì “liberamente”; e questa è la sua gloria. Mai nessuna autorità cattolica interpreta il passo, in piena omertà con l’egoismo maschile che, per la presunzione di pulsioni incontenibili, si fa proprietario del corpo della donna. Quando la politica usa il corpo delle donne, la reazione femminile non è più quella di chi “subiva”. Essere umiliate comporta la reazione contro la prevaricazione.  La preoccupazione diventa sempre più rilevante, perché neppure gli uomini si sentono bene dentro la loro chiesa. Mentre c’è bisogno di spiritualità e di valori più alti in una vita che corre sempre più rapidamente verso mete complesse e generatrici di incertezze, nascono paure, che la gente può avere, le chiese no. Invece l’istituzione è oggi così intimorita dal futuro che, in un tempo assolutamente galileiano, si rifugia nella tradizione tridentina, nel culto liturgico formale, nei divieti imposti senza argomentazione alla scienza, nella limitazione della libertà di ricerca teologica.

Tutto ciò è grave. Non perché tradizione e conservazione siano brutte parole, ma perché è urgente che i giovani sappiano che si può rileggere la parola del Signore secondo interpretazioni, che rifacciano propri i valori, laici ed evangelici; infatti, la vita trasforma i comportamenti senza necessariamente escludere le virtù e tutti dobbiamo essere in relazione con una chiesa che dà segni di speranza nel nome di un dio che, creatore, non nega gli neutroni, protoni, elettroni originari. E in relazione con fratelli le cui esigenze diverse non possono diventare pietra d’inciampo nella competizione connaturata a questo sistema che anche il Papa ritiene non giusto. Vivere la globalizzazione deve poter significare creare convivialità, capacità di incontro fra istanze diverse, fra messaggi di fede diversi, pluralità di culture e non regime di cristianità.  Ne va del futuro del Cristianesimo. Le religioni, infatti, possono esaurire il loro messaggio per nostra incapacità di realizzarlo: negli altri, induisti, ebrei, musulmani, confuciani, buddisti vediamo rispecchiate le nostre difficoltà e, soprattutto, le difficoltà dei più giovani a credere responsabilmente e senza fanatismo. I principi non negoziabili sono i valori di credenze che non si esauriscono in un tempo o una regione: sono assoluti, come la libertà, la giustizia, la nonviolenza; ma non sono “già dati” e il loro conseguimento ha bisogno di scansioni responsabili, di mediazioni coraggiose, di comprensione del limite. Termini nuovi con cui nominiamo ancora una volta la conversione, pratica sempre difficile, mai come oggi.