Peppino Coscione

Lettera a Liberazione sul relativismo

da Liberazione 4 maggio 2005

 

Cara Liberazione, ho letto con grande interesse l’articolo di Massimo Canevacci di giovedì 28 perché in sintonia con quanto ho avuto modo di dire alla tavola rotonda conclusiva del convegno delle Comunità cristiane di base. E’ tempo di lasciare che parlino, che si esprimano le molteplicità presenti nella vita concreta degli uomini e delle donne, dei popoli, delle culture, delle religioni, nella consapevolezza che soltanto un insieme di parzialità possono fare di questo terra che abitiamo la terra delle differenze conviviali ed arricchenti.

E’ possibile leggere e vivere il messaggio di Gesù al di fuori di una dinamica totalizzante ed escludente come pretendono le gerarchie, non solo quella cattolica?  Molti/e cristiani/e pensano che non solo ciò sia possibile ma necessario di fronte alla presa di coscienza che molteplici sono le fonti, le confluenze, i percorsi, i cammini del nascere e del morire, del vivere anche  l’esperienza religiosa, per chi ha deciso di viverla.

Da secoli, la gerarchia cattolico- romana ha pensato se stessa come vertice di un  impero spirituale sottomettendo ( con un dispotismo più o meno illuminato ) le altre chiese e il resto dei cristiani: noi delle comunità di base assieme ad altre esperienze comunitarie siamo impegnati ad infrangere questo modello a partire proprio da una riscoperta del messaggio evangelico che ponendo al centro le persone povere ed escluse dai potenti, non si pensa e non agisce come centro esclusivo e dominativo.

Un sostegno in questo impegno deve venirci  da chi  si sforza di leggere la complessità di una Chiesa come quella cattolica  cogliendone ed esprimendone anche nel linguaggio le necessarie distinzioni, la distinzione tra chiesa e gerarchia ecclesiastica, tra popolo di dio e magistero, tra la macchina istituzionale e le molteplici realtà di base che Marco Politi ha documentato nel suo viaggio tra i cattolici d’Italia.

Del resto, non possiamo né dobbiamo attenderci molto dagli apparati istituzionali delle chiese, chi più chi meno segnata da un maschilismo, da un paternalismo, incapace di riconoscere i movimenti profondi che scuotono la società, i molteplici rivoli che irrigano le terre rese secche da un lungo e soffocante dominio, gli intrecci tra culture ed esperienze religiose che danno vita a quel sincretismo che,  come dice Canevacci, “favorisce l’intreccio mutante, fluido e plurale di tratti culturali diversi”.

Rimane  da sottolineare che anche l’antropologia più attenta alle molteplicità sincretiche non può mancare di  fare i conti con la parte femminile della storia e della vita se vuole cogliere appieno le molteplicità perché esse non ripetano in modo diffuso lo schema patriarcale tradizionale…ma questo è un campo ancora in via di esplorazione.

Peppino Coscione.