David Gabrielli 

Ruini e il silenzio degli innocenti

Da Confronti - novembre 2005

     In ottobre, durante il Sinodo dei vescovi, un prelato ha invitato i confratelli a rimanere ottimisti, pur nelle difficoltà che un mondo secolarizzato pone loro; del resto, egli ha sottolineato, «non saremo mai politicamente corretti; nemmeno Gesù lo è stato».

     Questa affermazione, che bene riassume, sia pure in negativo, il compito di ogni Chiesa rispetto all’annunzio dell’Evangelo, fa da controluce a quella negli stessi giorni proclamata dai vertici della Conferenza episcopale italiana (Cei), presieduta dal card. Camillo Ruini: «Non ci faremo intimidire». L’eroica resistenza era annunciata ai quattro venti dopo che i «laici» avevano contestato l’accusa di «incostituzionalità» fatta dal porporato contro il Pacs, il patto civile di solidarietà proposto dall’Unione per dare una normativa giuridica alle coppie di fatto. Alle tesi del cardinale già hanno replicato Prodi ed altri responsabili dell’Unione (anche se, per lo più, sono apparsi deboli nel rivendicare la laicità dello Stato, e nel ricordare il dovere della Cei di rispettare i limiti della sua azione, da essa accolti, dietro compenso di succosi vantaggi economici e istituzionali, nel Concordato dell’84). 

     Qui, piuttosto, vogliamo guardare a come il variegato corpo della Chiesa cattolica italiana abbia accolto l’accorato «non ci faremo intimidire» dei vertici della Cei, quasi che agenti del KGB fossero sguinzagliati per Roma per arrestare i vescovi disposti al martirio pur di annunciare – per quanto politically incorrect – Gesù Cristo morto e risorto.

     A parte le rigorose critiche dei giuristi «laici» contro le tesi ecclesiastiche, è intervenuta una fortuita coincidenza a denudare il trucco di Ruini. Infatti, l’eco del grido di dolore del cardinale non si era ancora spenta che un decreto legge del governo – poi, a metà ottobre, «provvisoriamente ritirato» – prevedeva l’esenzione totale, per la Chiesa cattolica italiana, dal pagamento dell’Ici anche per gli immobili destinati esclusivamente a fini commerciali (come alberghi o ristoranti).

     Curie, Avvenire, e anche il frate custode del Sacro Convento di Assisi, hanno difeso a spada tratta il progetto di Berlusconi (il quale, per ottenere l’appoggio della Cei in vista delle prossime politiche, sarebbe magari disposto a proporre il carcere per i cattolici divorziati e risposati; naturalmente escludendo se stesso, con una legge ad personam, dal meritato castigo); progetto invece criticato da autorevoli esponenti delle comunità evangeliche, ebraiche ed islamiche, che si sono domandati come sia possibile garantire «privilegi» ad una religione che, proprio per il Concordato dell’84, non è più la «sola religione dello Stato».

     Ma altre sono i nostri interrogativi. E’ difendendo l’esenzione dall’Ici che la Cei osa, in nome di Gesù, il politicamente in-corretto? O forse pretendendo di determinare, come nel caso del Pacs, la «costituzionalità» di una legge civile? O nella pretesa che le leggi dello Stato traducano i suoi desiderata?

     Però la nostra domanda più stringente va a quei cattolici italiani che sono in forte disaccordo sulla linea ruiniana impressa alla Cei. Parliamo soprattutto di quelli che – per la cattedra che occupano, per il carisma che possiedono, per la ospitalità sui mass-media di cui godono, per l’alone profetico che li circonda, per la rete assistenziale o editoriale che controllano, per la moltitudine di gente che li acclama – hanno una grande autorità morale nella Chiesa italiana. Ebbene, salvo poche e belle eccezioni, assordante è stato il loro silenzio sulle ultime uscite di Ruini (per non parlare della loro latitanza pubblica di fronte all’invito episcopale di far fallire il quorum nel referendum di giugno sulla procreazione assistita). A noi sembra che tale silenzio sia una gravissima omissione. Essi sì dovrebbero gridare a Ruini «non ci faremo intimidire»; essi dovrebbero dire «basta», in nome dell’Evangelo politically incorrect, a questa gestione episcopale; ad essi, soprattutto, l’onere di denunciare uno stile di «presenza» tipo «impero», e che comporta uno stravolgimento profondo del modo di essere Chiesa delineato dal Concilio Vaticano II. Se non loro, chi? Se non in Italia, dove? Se non ora, quando? [David Gabrielli]