Enzo Mazzi

Il dibattito sulla pillola abortiva

 

Da La Repubblica/Firenze 27 ottobre 2005

 

La pillola abortiva è causa di forti tensioni. Il tema, poiché tocca punti nevralgici dell’etica riproduttiva, è di quelli che si prestano a generare contraddizioni e contrapposizioni forti. Qui in Toscana il confronto è meno aspro. Non è forse sorprendente che la storica terra dei contrasti sia oggi un modello di cultura del dialogo, della partecipazione critica e costruttiva e della convergenza, su temi così delicati ma anche su tanti altri di carattere più specificamente politico forse meno delicati ma non meno coinvolgenti? Sorprendente sì, ma non casuale. Il conflitto che nei suoi vari aspetti, politici, culturali e religiosi, ha contraddistinto la nostra regione durante tutto il secolo scorso, non era generato e gestito da fanatismo frutto di arretratezza e immaturità culturale, quanto piuttosto da lungimiranza creativa. Ed ora se ne godono i frutti. Dunque dialogo costruttivo sul tema dell’aborto e delle tecniche che lo rendono più rispettoso dell’integrità fisica e psichica della donna e meno rischioso. Tecniche a proposito delle quali del resto è la stessa legge 194 che all’art. 15 chiede ai sanitari di tenersi sempre aggiornati, in modo da ridurre il più possibile il carattere aggressivo dell’intervento abortivo sulla generatrice della vita. E questo è già un punto da mettere in chiaro non secondario ma anzi fondamentale. La cultura del dialogo e della convergenza richiede di essere alimentata proprio dalla chiarezza e sincerità dei punti di vista. I quali come si sa provengono sempre, in un modo o nell’altro, da esperienze di vita. Esperienze che nel campo della sessualità e della procreazione sono spesso altamente traumatiche. Parliamo in primo luogo dei drammi delle donne, così poco presenti nel parlare e nello sparlare dei temi della riproduzione da parte dei diversi patriarcalismi, politici, medici, religiosi, divisi su tutto meno che sull’affermazione del diritto di decidere in relazione alla fonte femminile della vita. Ma parliamo anche dei traumi subiti di riflesso da chi si trova a contatto dei drammi della donna: soprattutto medici e preti. Immaginate un giovane immaturo poco più che ventenne, vissuto ed educato nell’ambiente asettico del seminario, lontano dai problemi della vita, infilato improvvisamente in un confessionale, che si trova a decidere se assolvere o condannare una donna che gli confessa di voler abortire senza recedere o di averlo già fatto senza vero pentimento. Voi direte che ormai la confessione è disattesa e l’assoluzione o la condanna ininfluenti. Ma i preti e i prelati che sentenziano oggi sulla pillola abortiva sono proprio quelli che hanno vissuto la loro missione pastorale giovanile nel pieno di quelle condizioni. E le donne che abortivano erano tante e lo facevano con doppia drammaticità perché l’aborto era inevitabilmente clandestino e perseguibile penalmente. Ebbene quel pretino se assolve la donna condanna se stesso perché gli hanno insegnato che non ci può essere pietà per il peccatore impenitente. Se nega l’assoluzione condanna ugualmente se stesso perché viene a trovarsi in contrasto col Gesù del Vangelo: “chi è senza peccato scagli la prima pietra, nessuno ti ha condannata, nemmeno io ti condanno”, ed era un’adultera da lapidare. Quel prete o viene indotto a intraprendere un cammino di liberazione rispetto al lavaggio del cervello che ha ricevuto in seminario e rispetto alla omologazione teologica e pastorale o si chiude in un intristimento senza speranza che egli tenterà di razionalizzare scaricando il suo senso di colpa e la sua angoscia su chi ritiene, per lo più inconsciamente, la causa delle sue sofferenze, e in primo luogo la donna. Mi spiego così, per diretta esperienza e non per sentito dire né per prevenzione ideologica, questo insistere sulla colpevolizzazione femminile, sull’aborto come violazione gravissima del diritto alla vita e come assassinio o addirittura come genocidio dei feti e ora questo accanimento contro la metodologia farmacologica e questa grave sfiducia verso la donna considerata inaffidabile, incapace di distinguere un aborto da un “mal di testa” e quindi propensa ad assumere la pillola abortiva come si prende un’aspirina. La vita è un valore troppo grande per essere ancora rinchiuso nella gabbia della cultura patriarcale. La cultura femminile è essenziale oggi per un superamento delle vecchie prigioni delle anime e dei corpi.