Parma: Il sacro si riconcilia con la vita

Enzo Mazzi

Da Adista n. 9.2005

 

Nella opulenta Parma 31 immigrati trovano lavoro nero supersfruttato e ruderi di una cartiera abbandonata come improbabile sistemazione alloggiativa.

È la sorte comune a migliaia di loro compagni di immigrazione. Di questa nuova schiavitù abbiamo bisogno. Non di uomini liberi che attenterebbero al nostro benessere e alle nostre sicurezze. Abbiamo una paura fobica dell'invasione di fieri barbari. Ci servono esseri subumani da spremere a piacimento, senza diritti e senza futuro, e da restituire, ancora a piacimento, alle discariche mondiali dei rifiuti umani.

E vennero solerti vigili urbani a sloggiare con la forza i trenta neri dai ruderi della cartiera abbandonata al degrado, ma considerata più preziosa delle vite di schiavi senza valore.

I neri subiscono la violenza. Si sentono umiliati e oppressi. E scatta in loro un impulso ancestrale: appellarsi al diritto di asilo dello spazio sacro. È una risorsa dei perseguitati e schiavizzati di tutti i tempi. È una forma di ribellione nonviolenta sotto la protezione sperata, spesso vanamente, di ciò che è alla radice di tutto, dello stesso potere che li opprime. Ma oggi perfino gli dèi sono sordi al grido degli oppressi. E il diritto di asilo nello spazio sacro non viene riconosciuto. Salvo eccezioni.

A Parma hanno trovato una di tali eccezioni: una comunità parrocchiale aperta e accogliente. E l'occupazione si è trasformata in condivisione.

Durante l'occupazione è stata celebrata l'eucarestia. Il rispetto del diritto d'asilo l'ho visto come riscatto di un rito che non di rado appare vuoto. Sarà una visione soggettiva. Ma non forzata. Lo spezzare il pane e il vino non è stato un gesto sacro separato dalla vita reale, come normalmente accade. Il sacro e la vita si sono riconciliati. Come fu per Gesù quando disse "prendete e mangiate, questo pane è il mio corpo…". Nel racconto della cena pasquale, prima della morte di Gesù, è stato inserito un elemento che avrebbe potuto essere rivoluzionario se non fosse stato devitalizzato: l'identificazione fra pane e corpo e fra vino e sangue, la fusio-ne cioè fra il sacro e la vita. La condivisione della cena pasquale di Gesù prima di essere crocifisso coinvolge insieme al pane e al vino tutta la esistenza umana, corpo e sangue e apertura alla trascendenza. È una condivisione esistenziale e sociale. Dare la vita, versare il sangue per la giustizia sono più che un gesto eroico. Sono il motore intimo della lotta inesausta per la giustizia, oltre ogni traguardo politico, oltre ogni conquista storica.

È proprio questa eliminazione della separazione fra il sacro e la vita, fra il sacro e la storia, l'esperienza che fecero le comunità del primo annuncio del Vangelo. I primi cristiani vivevano al di fuori delle strutture sacrali: celebravano l'eucaristia in casa, non nel tempio, anzi furono gettati fuori dal tempio, non avevano sacerdoti, i loro ministri erano presbiteri, cioè anziani, rifiutarono le parole sacrali. Il loro momento espressivo era la cena; non c'erano fra di loro gerarchie ma ministeri, quindi anche questa struttura sacrale della gerarchia non esisteva. La loro collocazione nella società era di tipo "laico". Quando è avvenuto l'inserimento delle comunità cristiane negli spazi del potere c'è stata la sacralizzazione della chiesa. Il cristianesimopotere ha rovesciato il senso della simbologia dell'ultima cena. Sancita la transustanziazione. Il pane non è più pane perché si trasforma nel sacro corpo di Cristo. Il pane e il corpo dell'uomo-dio sono di nuovo contrapposti. La vita, la natura e il sacro di nuovo separati; alla lotta pacifica per la giustizia è stata tolta l'anima, l'eucaristia è stata devitalizzata. E al posto della giustizia e del diritto si è insediata la "carità cristiana" (E. Balducci).

Il rispetto del diritto d'asilo nello spazio sacro ha in qualche modo riscattato l'eucarestia. Il pane, senza cessare di essere segno sacro con tutte le valenze della memoria di Gesù, è tornato ad essere vero pane condiviso, non come elemosina ma come diritto, diritto d'asilo.

Tutto ciò ha creato scandalo. La parrocchia di S. Cristina si trova in centro, nella zona più opulenta di una città opulenta. La contaminazione fra il sacro e la vita ha prodotto sconcerto. Il gesto sacro, il sacramento, è visto e vissuto infatti come uno strumento per lavare la coscienza dalla corresponsabilità almeno oggettiva con le ingiustizie. Se di fronte alla fame nel mondo viene a mancare questo filtro provvidenziale, questa mediazione sacra che, unita alla carità, ti consente quasi di riciclare e candeggiare l'anima sporca, si entra in una situazione di angoscia. E anche il clero è colpito perché perde il proprio ruolo di gestore del sacro separato dalla vita e dalla storia.

A ben vedere però il vero scandalo è il fatto che siano eccezione le chiese aperte al diritto d'asilo e accoglienti come quella di S. Cristina. Ma nel '68 non c'era nemmeno l'eccezione.

Il 14 settembre 1968; alle 16.30, un gruppo di circa quaranta giovani entrò nella cattedrale di Parma, dispose alcune sedie in cerchio e iniziò a discutere i temi della povertà, del posto dei laici nella Chiesa, dell'autoritarismo della gerarchia, della compromissione della Chiesa con il potere costituito, economico e politico. Diritto d'asilo? Mi sembra proprio di sì. La persecuzione non è solo quella fisica. È persecuzione anche quella di una società religiosa che non ammette la diversità, il dissenso creativo, il riferimento esplicito e cogente ai valori evangelici della povertà, della debolezza, della rinuncia al potere. Gli eremiti un tempo esprimevano il loro dissenso creativo verso la società e la Chiesa corrotte rifugiandosi nei deserti e nelle grotte, tempio sacro della natura. Francesco d'Assisi si rifugiò negli anfratti della Verna per poter vivere con sorella povertà e i giovani fiorentini del Dugento, i Servi di Maria, nelle grotte del Monte Senario. I giovani cattolici parmensi del '68 trovarono rifugio nel deserto urbano della cattedrale che si voleva dismettere per costruirne una nuova più funzionale e più bella spendendo alcuni miliardi di lire. Un vero schiaffo ai poveri e senza casa. Il rifugio nello spazio sacro per affermare una la loro coerenza evangelica e riscattare così lo stesso spazio sacro dalle compromissioni con la ricchezza e il potere, non è forse da considerare una versione moderna del diritto d'asilo?

Alle 18.15 i giovani si spostarono nella cripta per partecipare alla celebrazione della Messa. Il sacerdote negò loro duramente la possibilità di intervenire. Poi, l'irruzione - richiesta - della polizia in assetto antisommossa sgomberò con la forza la cattedrale dai pacifici "occupanti". Seguì una denuncia per "vilipendio alla religione di Stato" e un intervento del papa che stigmatizzò l'occupazione accusando gli occupanti di mancanza di amore per la Chiesa, di essere impoveriti e svuotati di amore apostolico fino a divenire molesti e nocivi alla Chiesa di Dio. La vicenda coinvolse tre parrocchie fiorentine, fra cui l'Isolotto, che espressero solidarietà agli occupanti. Il prezzo della solidarietà fu alto.

Da allora, un cambiamento positivo c'è stato. Nel '68 si chiamò la polizia per negare il diritto d'asilo. Oggi la parrocchia di S. Cristina sarà pure una eccezione, ma lì, in quello spazio sacro il diritto d'asilo è stato rispettato e l'accoglienza del diverso ha avuto esito positivo. Che nascano eccezioni è una "buona notizia" per gli schiavi moderni, per gli oppressi e anche per gli "eretici" di oggi tipo Francesco di Assisi.

 

* della Comunità di Base dell'Isolotto di Firenze