“La Chiesa si fidi delle donne”

Enzo Mazzi

Da l’Unità 23 marzo 2005

 

Il referendum indetto per abrogare alcuni aspetti della legge sulla procreazione assistita è frutto di una convergenza trasversale, composita, plurale fra coscienze diverse animate tutte dall’etica della responsabilità. Non uso l’aggettivo “individuale” (responsabilità individuale), per non escludere il carattere della socializzazione e della condivisione che normalmente accompagna l’etica della responsabilità. La medesima trasversalità si era in qualche modo verificata all’interno dell’arco di coloro che hanno sostenuto l’approvazione della stessa legge oggetto ora del referendum. La trasversalità interna a ognuna delle aggregazioni che si creano in base a contrastanti opinioni e opzioni politiche attinenti direttamente all’etica è fisiologica in un sano organismo democratico basato sul primato della coscienza e sul senso di responsabilità che ne consegue.

La nostra tradizione culturale è in questo senso diversa dalle culture dove il primato è invece riconosciuto all’appartenenza comunitaria, religiosa, etnica, tribale. La cultura democratica dell’Occidente non è né migliore né peggiore: è semplicemente diversa.

Si può dire che questa cultura del primato della coscienza, della responsabilità e del pluralismo diffuso, interno alle istituzioni, è frutto anche del cristianesimo? Ritengo che si possa anzi che si debba dire. I poteri ecclesiastici hanno avversato a lungo la democrazia fin da nascere di questa. Ma il cristianesimo non è mai stato solo potere e lotta fra poteri. Il Vangelo e la profezia hanno incessantemente animato la crescita dell’umanità lungo l’asse dei valori democratici, fra cui appunto il primato della coscienza, il pluralismo, l’etica della responsabilità. Fino a quel vero e proprio spartiacque, fra Chiesa centrata sul potere e Chiesa fondata sulla centralità del “Popolo di dio”, che è stato il Concilio. Ed è in linea con gli orizzonti nuovi aperti dal Concilio il fatto che anche sul tema delle “radici cristiane” dell’Europa si è verificata una diversificazione trasversale e una mediazione politica fra coscienze responsabili e non una spaccatura fra appartenenze, fra cattolici e laici.

Che dire allora di questa chiamata all’ubbidienza verso l’autorità e all’appartenenza ecclesiale in occasione del referendum? Che ne è del primato della coscienza, che ne è del pluralismo, che ne è dell’etica della responsabilità? Che ne è della lettera e dello spirito del Concilio?

Vogliamo rileggere la magnifica apertura della “Costituzione dogmatica sulla Chiesa”? Il Concilio si serve di parole antiche, citando cioè il profeta Geremia e l’apostolo Paolo, per dire la parola nuova quasi rivoluzionaria che tanti, compreso in primo luogo Papa Giovanni, si aspettavano da tempo: “Ecco venir giorni (parola del Signore) nei quali stringerò con Israele e con Giuda un patto nuovo…Porrò la mia legge nei loro cuori e nelle loro menti l’imprimerò; essi mi avranno per Dio e io li avrò per mio popolo… Tutti essi, piccoli e grandi, mi riconosceranno, dice il Signore” (Geremia 31, 31-34). Cristo istituì questo nuovo patto, cioè la nuova alleanza nel suo sangue (cfr. I Cor. II, 25)…”.

Questo è scritto nel documento conciliare fondamentale. Se tutti hanno impressa nella loro mente e nel loro cuore la legge di Dio perché non dare fiducia agli uomini e alle donne? Perché non affidare la ricerca della verità e del giusto al gioco democratico in cui coscienze responsabili si confrontano e infine trovano mediazioni politiche? Perché forzare le coscienze col principio di autorità per fare un fronte politico contrappositivo?

Si obbietta da parte dei vertici ecclesiastici che “I parlamenti che approvano e promulgano simili leggi (le leggi abortiste, ndr) devono essere consapevoli di spingersi oltre le proprie competenze e di porsi in palese conflitto con la Legge di Dio e con la legge di natura” (Giovanni Paolo II, Memoria e identità).

E’ vero che la democrazia non è esente da errori, da ingiustizie e da misfatti anche gravi. La guerra preventiva, ma si può dire la guerra senza aggettivi, è un esempio attuale eclatante che brucia a due anni dall’inizio della guerra contro l’Iraq. Ma la soluzione è il principio di autorità? Quando l’autorità ecclesiastica gestiva, direttamente o indirettamente, il potere civile non ha forse commesso gli stessi errori e misfatti e massacri? Non è proprio in nome di Dio, facendo appello all’autorità derivante da Dio, che è accaduto il peggio del peggio nella storia? Si deve ricordare lo sterminio compiuto dai roghi nel Medioevo, le crociate, lo sterminio degli schiavi e degli indios?

No, la soluzione al problema del rapporto fra la legge umana imperfetta e la legge divina perfetta non è l’appello al principio di autorità, non è il ritorno al primato dell’appartenenza, non è un nuovo intruppamento dietro il potere che fa appello a Dio. La soluzione è quella di Gesù: la profezia disarmata, la testimonianza che rifiuta il potere e che allontana da sé la tentazione stessa del potere. Lo indica bene l’apostolo Paolo in una sua lettera: “(Gesù) pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce”.

Anche il noto scrittore, Vittorio Messori, autore fra l’altro di un libro a quattro mani addirittura con Giovanni Paolo II, in una intervista a la Repubblica del 30 dicembre 2000, sostiene che il Magistero ecclesiastico deve ritrarsi dal dettar norme etiche e occuparsi di più di Dio, di Cristo, della fede. “Cosa è questo continuo frugare tra embrioni, uteri, cellule, contraccezione, riproduzione assistita - si chiede Messori - se non un vero e proprio tentativo di ridurre la fede cristiana a semplice opzione moralistica? Gli uomini di chiesa tornino ad annunciare, prima di tutto, la fede in Cristo e la smettano di dare l’impressione di guardare solo nella camera da letto”.

L’esperienza forte e positiva di adozione che ho fatto insieme alla comunità dell’Isolotto negli anni ’50, quando l’adozione apriva faticosamente un varco nel dominio granitico del sangue, anche subendo elementi di forte conflittualità, mi indirizza più verso la maternità e paternità adottive che verso la fecondazione assistita.

Detto questo però reputo contrario allo spirito e perfino alla testimonianza concreta del Vangelo questa cultura etica dei vertici ecclesiastici. Essa rovista nell’utero della donna, manca di fiducia nel senso di responsabilità della fonte femminile della vita, mostra una vera e propria paura della emersione della soggettività femminile e del suo potere, rispolvera lo spettro del peccato, punta tutto sulla repressione, tende a separare la soggettività materna dalla soggettività dell’embrione, quasi a voler contrapporre due realtà vitali che sono in completa simbiosi, ha come obiettivo finale, inconfessato e forse inconscio, di stabilizzare il potere patriarcale sulla fonte della vita (ognuno di questi aspetti meriterebbe di essere analizzato più a fondo).

Quanto all’invito all’astensione lo ritengo un messaggio negativo, una caduta di stile rispetto ad esempio alla testimonianza altissima della Pacem in terris di papa Giovanni che valorizza la partecipazione positiva come “segno dei tempi”, sanando una frattura disastrosa che si era creata fra la Chiesa e la democrazia. Il cristianesimo ha nel suo Dna profondo la cultura della convergenza positiva non della contrapposizione.