Lidia Menapace

Primo messaggio "erga omnes"

La nonviolenza è in cammino n. 1266/2006

 

Chi e come ringraziare? rispondo direttamente ai moltissimi messaggi che mi arrivano e che testimoniano una grande cerchia di donne (e uomini) affettuose partecipi attente, una vera speranza per la politica e la vita.  Ma vorrei anche dire qualcosa di “programmatico”, in modo da cominciare subito a cercar di dare un accento, un segno, una nota diversa alla mia presenza nelle istituzioni. Davvero insperata con questo successo.  Le Donne del Forum di Rifondazione Comunista sono quelle che questa volta hanno fatto una tenace difficile lotta per farmi candidare - altre volte una pressione con molte firme, ospitata da “Avvenimenti”, ebbe risposta negativa dai Ds e settemila firme raccolte per iniziativa del Comitato 8 marzo di Perugia per farmi senatrice a vita non ebbero effetto su Ciampi. Sembra che l’elettorato sia stato di diversa opinione.

Già il Forum aveva ottenuto che Rifondazione Comunista mettesse in lista molte donne (il 40% dei candidati, più di qualsiasi altro partito) e in posizione da poter essere elette. Nelle analisi del voto il contributo dell’elettorato femminile non è però ancora stato valutato ed è la prima arrabbiatura di questa per me felice circostanza. Le elettrici erano le più astensioniste: siamo riuscite a intercettare il loro rientro? e “i” giovani quanto sono anche “le” giovani? e verso quali partiti o liste si sono indirizzati/e? le differenze di percentuale tra Camera e Senato possono essere lette anche dal punto di vista di genere? ecco un argomento che non è apparso nelle infinite discussioni sulle vincite e sulle perdite.

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A me era stato destinato il posto di capolista al Senato in un collegio, quello del Friuli Venezia Giulia, poco sicuro; in seguito, dopo il caso Ferrando, tra alcuni nomi indicati per la sostituzione, di nuovo Donne del Forum avanzavano la proposta del mio nel collegio dell’Abruzzo, che era anche più sicuro. Ho accettato anche la seconda candidatura come capolista e ho fatto la campagna elettorale senza risparmio di lavoro, trovando in ambedue le regioni una accoglienza molto calorosa e coinvolgente, una ospitalità commovente e generosa. Forse una procedura diffusa di primarie consentirebbe all’elettorato di aiutare i partiti a non fare troppi errori nella scelta di chi candidare.

I dibattiti e le varie iniziative mi hanno consentito di svolgere una campagna molto puntata sui contenuti, sottraendomi così alla stupidità di rispondere a Berlusconi (il che mi pareva sbagliato: comunque potevo permettermelo essendo fuori del circuito mediatico, che ha escluso del tutto le donne). La risposta e l’attenzione di chi veniva ad ascoltarmi sono state molto promettenti e di nuovo hanno segnato una fame di politica che fa ben sperare, se naturalmente la politica è - come deve essere - affrontamento di problemi, espressione di passioni, azione tra gli umani per costruire una abitabile sede di vita, una città giusta: non ho mancato di sottolineare ogni volta che una città giusta non può essere fatta solo per una metà (scarsa) degli umani, e che fino a quando  nel nostro paese “naturalmente”, senza forzature, spontaneamente, nella rappresentanza non saranno presenti ambedue i generi in modo equilibrato non si potrà parlare di democrazia, dato che noi donne siamo addirittura la maggioranza della popolazione e nessuno vorrà negare che - anche con un pò più di rosa nel parlamento uscito or ora - siamo ancora abbondantemente sottorappresentate non solo per numero, ma politicamente culturalmente ecc. ecc. Questo vale anche - tra gli uomini - per immigrati, disoccupati, lavoratori ecc. Mettere l’accento e l’attenzione sulla più grande tra le esclusioni attira l’attenzione su tutte le esclusioni.

Ho sottolineato la pericolosità del governo Berlusconi e del berlusconismo, tra applausi scroscianti: insomma davvero tutto molto interessante ricco appassionante.

I risultati per quanto mi riguarda sono stati molto positivi.

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Non si può stare nemmeno un giorno tranquille, perchè appena finite le elezioni, in tv si sono visti solo uomini a commentare i risultati, a fare analisi, prospettive, progetti come se noi donne elette non potessimo avere niente da dire: ho subito protestato e mi riprometto di chiedere una par condicio di genere nell’accesso ai media, se vogliamo, tra cinque anni, avere un bel gruppo di donne preparate a parlare in tv, e anche più uomini invece dei soliti mezzibusti che troviamo a pranzo e a cena nei tg, e poi da Vespa, a Ballarò, a Matrix, sempre quelli, sempre loro, che se registrassero un programma e poi lo girassero in tutte le reti risparmierebbero tempo e fatica e denaro e noi tempo e noia. Sono certa che se le voci le facce le teste le pance fossero diverse e più numerose, il tutto sarebbe più interessante.

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Mi riprometto di inviare via e-mail ogni due settimane un racconto di quello che succede al Senato perchè credo che invece di “curare il collegio” bisogna attivare strumenti per rendere possibile la famosa “democrazia partecipata” che abbiamo scritto nel programma di voler fare. Se dovessi occuparmi - a titolo di esempio - di riconversione di fabbriche d’armi per avviare una economia di pace, chi fa parte delle associazioni pacifiste e antimilitariste sarà interessato/a a che scriviamo una legge, una interrogazione, costruiamo una manifestazione, insomma facciamo una o più azioni politiche coordinate: ciò darà forza alle scelte politiche e ci consentirà di pesare anche oltre le nostre materiali presenze.

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Mi interessa molto cercar di mutare le forme e il linguaggio della politica perchè una certa rigidità delle espressioni non solo rende meno comunicativo ciò che diciamo, ma influisce sulle nostre sinapsi cerebrali.  Avere avviato anni fa una campagna per il disinquinamento del linguaggio politico dal simbolico militare, giova: se invece che di strategie tattiche schieramenti parlassimo - come si usa nel femminismo - di buone pratiche e di relazioni più o meno conflittuali, ci sentiremmo meno gradi sul berretto e ci faremmo capire da tutti/e; le umane attività sono molte, e usare solo il linguaggio della guerra fa sì che la politica si rappresenti come una attività che si prolunga nella guerra (la guerra è la politica continuata con altri mezzi, come sosteneva von Clausewitz) invece che volta a costruire attraverso la gestione nonviolenta dei conflitti una terra abitabile e ospitale. Mi domando perchè più nessun politico è in grado di incominciare un documento così: “un fantasma si aggira per l’Europa ecc.”: i nostri linguaggi sono prevedibili, il nostro vocabolario trito e ritrito.  Abbasso il politichese! parliamo come mangiamo, cioè come ci ha insegnato quella che ci ha nutrito e insegnato a parlare, l’alma mater.  A risentirci.